Tempi 22 marzo 2017
Stretti tra Fratelli musulmani e Isis, subiscono attentati e violenze. Storia di un odio antico contro una comunità accusata di intelligenza col nemico occidentale.
di Rodolfo Casadei
Al cuore dell’insurrezione islamista del Sinai iniziata nel febbraio 2011 con attentati al gasdotto che serve Israele e la Giordania ci sono i jihadisti di Ansar Bait al-Maqdis che nel novembre 2014 sono confluiti nell’Isis. In questi sei anni i ribelli si sono dimostrati capaci di abbattere elicotteri delle forze armate egiziane, assalire caserme e commissariati di polizia, tendere imboscate a reparti dell’esercito, uccidere centinaia di soldati e poliziotti.
Perché mai una temibile organizzazione armata capace di sfidare le forze dello Stato ha deciso di prendere a bersaglio privilegiato una piccola comunità di civili indifesi com’è quella dei cristiani copti residenti nel Sinai? Nel solo mese di febbraio sette di loro sono stati trucidati con omicidi mirati e 259 famiglie si sono date alla fuga dopo che la provincia egiziana dello Stato islamico ha dichiarato ufficialmente guerra ai copti con un video diffuso il 19 febbraio scorso. Fino ad allora solo l’Isis libico aveva prodotto due video contro i copti, uno all’indomani del massacro dei 21 cristiani egiziani, lavoratori migranti in Libia, sgozzati sulla spiaggia di Sirte nel febbraio 2015 e un altro un anno dopo.
Il nuovo video si intitola “E combattete tutti assieme i politeisti” (citazione dal Corano 9, 36). Esso mostra atti pubblici dei copti giudicati repellenti da un punto di vista islamista: manifestazioni di strada di cristiani che rivendicano diritti civili, processioni con la croce all’aperto, dichiarazioni di copti che dicono di essere «gli egiziani originari abitatori del paese»; sono messi in evidenza i gesti di simpatia e di solidarietà delle autorità egiziane nei loro confronti e le espressioni di stima di Tawadros II (il papa della Chiesa copta) nei confronti del presidente al-Sisi, poi le immagini di vittime degli attacchi dell’aviazione egiziana nel Sinai.
La voce narrante definisce i copti «la più grande minoranza crociata in Medio Oriente», anche se le attribuisce solo quattro milioni di appartenenti, mentre loro esponenti vantano cifre più che doppie di quella. Sono accusati (falsamente) di «controllare più del 40 per cento dell’economia egiziana» e di insultare il profeta Maometto (riferimento a trasmissioni televisive condotte da un sacerdote copto con base a Cipro).
Nel finale si vedono immagini dell’attentato alla cattedrale copta del Cairo che nel dicembre scorso causò 29 morti, quasi tutti donne e bambini, con il commento: «Per quanto riguarda voi crociati d’Egitto, l’operazione che ha colpito il vostro tempio pagano è solo la prima, se Allah vuole, perché voi siete la nostra priorità e la nostra preda preferita».
La chiave di lettura della nuova strategia la fornisce Alberto M. Fernandez, vice direttore del Middle East Media Research Institute (Memri): «Il video presuppone che ci sia terreno fertile per un messaggio del genere, che ci sia un fanatismo radicato e diffuso contro questa minoranza religiosa in larghi strati del mondo musulmano egiziano. Nessuno dei temi considerati dall’Isis è nuovo, e tutti possono essere ritrovati nella propaganda anticopta degli anni Settanta, l’epoca in cui questi gruppi cominciarono a proliferare nell’Egitto di Sadat e presero i cristiani a bersaglio per rapine e omicidi».
Minoranza cristiana nell’Egitto islamizzato, i copti hanno conosciuto problemi nel corso dei secoli e solo nel 1855 sono stati affrancati dal pagamento della tassa di sottomissione (la jizya) ai musulmani. Nelle campagne gli incidenti a sfondo comunitario religioso ci sono sempre stati, innescati da vicende personali (adulteri, rapporti extraconiugali fra persone di religione diversa), liti di vicinato e opposizione dei musulmani alla costruzione di nuove chiese, ma le persecuzioni su base ideologica con attentati veri e propri sono cominciate negli anni Settanta per mano di terroristi di Jamaat Islamiya e di Jihad islamico egiziano, un certo numero dei quali provenienti dalle file dei Fratelli Musulmani. A quel punto anche le faide di paese hanno assunto peso politico e connotati di guerra di religione.
La polemica anticopta è stata poi ripresa e internazionalizzata da Al Qaeda attraverso gli elementi egiziani della sua leadership come Ayman al Zawahiri. Quando Stato islamico dell’Iraq sotto la guida di al-Baghdadi faceva ancora parte di Al Qaeda, l’assalto durante il quale un gruppo di suoi terroristi uccise 45 cristiani il 31 ottobre 2010 dentro alla chiesa di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso a Baghdad fu motivato fra le altre cose come “vendetta” per la sorte riservata dal clero copto a Camilia Shehata e Wafa Costantine, due donne cristiane che secondo gli islamisti si erano convertite all’islam ma erano state segregate presso due monasteri per costringerle a tornare sui loro passi. Un comunicato di rivendicazione a nome di Al Qaeda dell’epoca li definiva «monasteri di miscredenza e chiese di politeismo».
Una banda sovversiva
La vicenda delle due donne, mai veramente chiarita, è sintomatica di un fenomeno sociale reale: non riuscendo ad ottenere dalla Chiesa copta il permesso di divorziare dai loro mariti (diversamente dalla maggior parte delle Chiese orientali, quella copta è rigorista in questa materia), un certo numero di donne cristiane egiziane opta per la conversione all’islam, condizione che permette loro di rivolgersi a un tribunale islamico e ottenere immediatamente il divorzio che cercavano.
Nel video dell’Isis del 2015 che mostra gli sgozzamenti dei cristiani egiziani a Sirte viene di nuovo rievocata la vicenda delle due “convertite” sequestrate in monastero. In mezzo fra i due eventi si collocano le spedizioni punitive contro le chiese e gli esercizi commerciali cristiani nell’agosto 2013 da parte dei simpatizzanti dei Fratelli Musulmani e di altri gruppi islamisti, all’indomani del golpe di al-Sisi contro il presidente Morsi: 42 chiese e istituti religiosi furono attaccati, 37 dei quali riportarono gravissimi danni; centinaia di edifici residenziali, esercizi commerciali e autoveicoli proprietà di cristiani furono razziati e dati alle fiamme.
L’Isis d’Egitto è concentrata nel Sinai e composta principalmente di beduini, da sempre ostili ai governi che si succedono al Cairo e dediti a ogni genere di commercio illegale: armi, droga, tratta dei migranti. Le tribù del Sinai settentrionale hanno aderito alle successive ondate di organizzazioni jihadiste soprattutto per protesta contro la loro marginalizzazione economica e sociale (i beduini non sono ammessi nei ranghi della polizia e dell’esercito, non possono rivendicare diritti fondiari e sono tagliati fuori dall’industria turistica) e per potere continuare a gestire i lucrosi traffici criminali di cui sono esperti.
Come allargare la base di reclutamento alla popolazione egiziana vera e propria? L’Isis è convinto che sia una scelta intelligente fare concorrenza ai Fratelli Musulmani e ai salafiti sul piano dell’ostilità verso i copti. E che di concorrenza si possa parlare senza tema di smentite lo dimostrano innumerevoli fatti.
I video e i magazine del califfato accusano l’ex presidente Mohamed Morsi e i Fratelli Musulmani di apostasia per una serie di motivi: la repressione contro i ribelli “monoteisti” del Sinai durante il suo anno di presidenza, i buoni rapporti con l’Iran sciita, la scelta del parlamentarismo. Anche i salafiti del partito al Nour, tuttora legale in Egitto, vengono accusati di apostasia per la loro complicità col regime militare.
Ma quando si tratta di puntare il dito contro i copti, le convergenze sono molte più delle divergenze. Il caso più significativo è quello di Ayat Oraby, giornalista della tivù egiziana esule in America attivista dei Fratelli Musulmani e sostenitrice del deposto presidente Mohamed Morsi, la cui foto fa da sfondo alla sua pagina Facebook. Dal settembre dell’anno scorso la Oraby promuove una campagna di boicottaggio economico contro i cristiani egiziani per la loro asserita complicità col regime militare egiziano, campagna che ha promosso con un video dai contenuti inequivocabili.
«Il clero di questa Chiesa costituisce una banda che intende creare un mini-stato copto», afferma l’attivista. «Ha interesse in comune coi militari da molto tempo. Al potere ci sono i militari, ma dietro a tirare i fili c’è la Chiesa copta; o per lo meno condividono la guida. Sono i militari che controllano la grande proprietà fondiaria e le grandi attività economiche, ma subito dopo vengono le proprietà ecclesiastiche. La Chiesa possiede tantissima terra inutilizzata attorno ai suoi monasteri, gestisce attività economiche che sono pari a quelle di un piccolo stato. È una vera mafia, di cui non sappiamo quasi nulla. E questa mafia non paga le tasse sulle sue attività economiche. Non solo: dentro alle chiese vengono nascoste armi. Il clero usa i fedeli cristiani per fare la guerra ai musulmani. Cercate alternative ai negozianti cristiani, perché essi versano un decimo dei loro profitti alla Chiesa, che li usa per creare il ministato copto e per insultare i musulmani. Devono capire che la mezzaluna sarà sempre al di sopra della croce! È inconcepibile che 4,5 milioni di cristiani abbiano potere su 86 milioni di musulmani».
La Oraby riesce in tre minuti nell’impresa di fare proprie e rilanciare tutte le false accuse che gli islamisti radicali hanno formulato contro i copti negli ultimi quarant’anni. Le prime denunce secondo cui i copti volevano creare uno stato indipendente risalgono al 1981, quando l’allora papa Shenouda III aveva promosso e guidato personalmente manifestazioni di protesta per le pesanti restrizioni in materia di edilizia ecclesiastica: riparare chiese esistenti e costruirne delle nuove era diventato quasi impossibile sotto la presidenza di Anwar el Sadat, il presidente che si era alleato agli islamisti contro le opposizioni laiche e di sinistra (prima di essere assassinato dagli stessi estremisti che aveva incoraggiato, a causa del trattato di pace firmato con Israele). Shenouda fu messo agli arresti domiciliari, e gli attacchi contro i copti si moltiplicarono.
Presunte ricchezze
Anche le accuse di accumulare armi dentro ai monasteri in vista di un’insurrezione sono state ripetute da molti in passato. Non più tardi del settembre 2010 le avvalorò, in un’intervista ad al Jazeera, una figura prestigiosa come Muhammad Salim al-Awa, segretario generale dell’Unione internazionale degli studiosi musulmani (successivamente candidato alle elezioni presidenziali del 2012). Si disse convinto che le armi venivano accumulate per essere usate contro i musulmani e che si voleva dividere l’Egitto in due o tre stati, di cui uno riservato ai copti.
Prima di lui accuse analoghe erano state formulate da Ayman al-Zahawiri, il vice e poi successore di Osama Bin Laden a capo di Al Qaeda. Quattro mesi dopo l’intervista ad al Jazeera un attentatore suicida causava 23 morti e un centinaio di feriti facendosi esplodere all’ingresso di una chiesa ad Alessandria.
Quanto poi alle presunte ricchezze dei copti, soprattutto in termini di proprietà fondiarie, che scandalizzano tanto l’Isis quanto i Fratelli Musulmani, va detto che le loro accuse sono anacronistiche. Secondo un censimento britannico del 1919, i copti possedevano il 20 per cento dei terreni agricoli del paese, cifra che allora era probabilmente pari al doppio del loro peso demografico relativo al totale della popolazione egiziana. Ma negli anni Cinquanta la riforma agraria del presidente Gamal Abdel Nasser, un militare panarabista e terzomondista, colpì gli interessi dei copti non per ragioni settarie ma politico-economiche: i latifondisti copti praticamente scomparvero. Si calcola che i copti abbiano perso allora il 75 per cento delle loro proprietà.
Naturalmente non tutti gli egiziani sono affetti da coptofobia, e non tutta la storia moderna egiziana è segnata dal pregiudizio contro i cristiani. Il simbolo congiunto della croce e della mezzaluna onnipresente in piazza Tahrir durante le proteste del febbraio 2011 e nei mesi successivi non rappresentava una novità, ma la ripresa di un precedente storico: nel 1919 in quella stessa piazza musulmani e cristiani avevano manifestato insieme all’ombra dei due simboli congiunti chiedendo l’indipendenza dell’Egitto dal protettorato britannico.
Il 30 agosto dell’anno scorso, al momento dell’approvazione parlamentare di una nuova legge che riduce gli ostacoli alla costruzione di nuove chiese in Egitto, i deputati hanno cantato «Lunga vita all’Egitto, lunga vita alla mezzaluna e alla croce!». L’Isis, al contrario e contro la verità storica, insiste a presentare i copti come longa manus del cristianesimo mondiale, quindi degli interessi politici occidentali. Il video del 2015 degli sgozzamenti dei 21 copti a Sirte si concludeva con il monito «Conquisteremo Roma, se Allah vuole». Quello del mese scorso mette in bella evidenza la foto dell’incontro a Roma del maggio 2013 dove papa Tawadros II e papa Francesco compaiono fianco a fianco.