di Massimo Introvigne
Su mons. Marcel Lefebvre (1905-1991) la letteratura è abbondante, ma le opere che apportano effettivamente informazioni storiche di prima mano non sono numerose. Alla fine, la biografia apologetica scritta da uno dei quattro vescovi da lui consacrati nel 1988, mons. Bernard Tissier de Mallerais (Mons. Marcel Lefebvre. Una vita, trad. it., Tabula fati, Chieti 2005), rimane per molti versi la fonte più attendibile.
Come fa notare lo storico Florian Michel nella sua Postfazione (pp. 465-476) al volume, «la testimonianza di padre Béguerie non è neutrale – non più di quella di Tissier de Mallerais. Il suo discorso è impegnato – troppo impegnato, penseranno senz’altro certuni» (p. 471). Béguerie, in effetti è «padre» in quanto egli stesso spiritano, cioè membro della Congregazione dello Spirito Santo, fino al 1963, anno in cui ottiene di esserne esclaustrato e incardinato nell’Arcidiocesi di Parigi come sacerdote secolare proprio in ragione della sua opposizione a mons. Lefebvre.
Non soltanto don Béguerie sarà più tardi uno dei protagonisti dell’applicazione della riforma liturgica in Francia, ma il suo progressismo teologico appare evidente anche al lettore superficiale quando per esempio nel testo, senza altre spiegazioni, definisce quello secondo cui «Lucifero è il capo degli angeli ribelli» (p. 269) come «un mito del Medioevo» (ibid.).
Testimonianza francamente di parte, il che non dovrebbe mai essere dimenticato dal lettore, il testo di don Béguerie è nondimeno prezioso soprattutto perché a ogni gruppo di capitoli fa seguito una parte documentale. Si tratta di cinquantatre documenti, in parte assolutamente inediti e in parte noti ma difficili da reperire. Ne emerge una storia narrata – per evidenti motivi – in un tono partigiano, mai sfiorato dal dubbio che gli avversari di mons. Lefebvre possano avere avuto qualche torto, e le cui grandi linee tuttavia possono essere ricostruite obiettivamente anche solo dai documenti.
La Congregazione dello Spirito Santo, fondata nel 1703 a Rennes da Claude-François Poullart des Places (1679-1709), nasce per gestire seminari per candidati al sacerdozio poveri, ma nel corso del secolo XVIII si specializza nelle missioni estere. Nel 1848 si fonde con un’altra congregazione missionaria, quella del Cuore Immacolato di Maria fondata dall’ebreo convertito François Libermann (1802-1852), che diventa superiore degli Spiritani di cui è considerato il secondo fondatore.
Nel 1961, alla vigilia del Concilio Ecumenico Vaticano II, gli Spiritani contano 3.381 religiosi sacerdoti, di cui 1.094 francesi, con numerosi vescovi, di cui quarantasei saranno presenti al Concilio. Si tratta di una congregazione essenzialmente missionaria, con un’attività limitata nei Paesi di tradizione cattolica, che ha tuttavia in Francia la casa madre, il seminario – a Chevilly, alle porte di Parigi – e un sistema di orfanatrofi che ha «ereditato», l’Opera di Auteuil.
Mons. Lefebvre è stato per decenni un fiore all’occhiello della congregazione. Missionario esemplare in Africa, è diventato arcivescovo di Dakar, nel Senegal, e delegato pontificio per tutta l’immensa Africa francofona, uno dei pochi uomini di fiducia del venerabile Pio XII (1939-1958) nel continente africano. Tuttavia – e qui comincia propriamente la storia narrata da don Béguerie – le cose sono cambiate con il nuovo Pontefice, il beato Giovanni XXIII (1958-1963).
Il Papa che succede a Pio XII è stato nunzio apostolico in Francia, e ha avuto modo di scontrarsi con mons. Lefebvre sulla questione delle conseguenze della decisione di Papa Pio XI (1922-1939) di rendere pubblica nel 1926 la condanna del movimento monarchico Action Française, che il Sant’Uffizio aveva pronunciato nel 1914 con un decreto che Papa san Pio X (1903-1914) aveva confermato ma aveva ordinato di non pubblicare per ragioni di opportunità.
Mons. Lefebvre era stato allievo del Seminario Francese di Roma ai tempi in cui ne era superiore padre Henri Le Floch C.S.Sp. (1862-1950), che si era dimesso nel 1927 proprio per dissensi con Pio XI sul tema dell’Action Française. Don Béguerie aggiunge sul punto un curioso aneddoto, che afferma di poter provare con documenti degli archivi spiritani: nel 1926 padre Le Floch avrebbe cercato d’impedire la pubblicazione del documento di san Pio X sottraendolo dagli archivi del Sant’Uffizio e cercando poi di far passare per pazzo il confratello spiritano che aveva denunciato la sottrazione a Pio XI, il quale alla fine si sarebbe accorto del sotterfugio. Il beato Giovanni XXIII, fiero sostenitore della condanna dell’Action Française, sarebbe rimasto scandalizzato dalla difesa pubblica e privata di padre Le Floch da parte di mons. Lefebvre.
Sul punto, la documentazione di don Béguerie è massiccia. Il beato Giovanni XXIII, eletto Papa, fa subito sapere a mons. Lefebvre che si trova nella sua attuale posizione nonostante il parere negativo che aveva dato come nunzio apostolico, ne accetta le dimissioni dalle cariche in Africa e – mentre mons. Lefebvre, in quanto arcivescovo, si aspetta di essere trasferito in Francia alla diocesi arciepiscopale di Albi, che è vacante – lo nomina vescovo di Tulle, che non è sede arcivescovile. Il prelato mantiene il titolo, ma non le funzioni di arcivescovo.
Il fatto non è privo d’importanza perché – prima della fondazione in Francia di un Conferenza Episcopale – la guida di fatto della Chiesa Cattolica francese è esercitata dall’Assemblea dei cardinali e degli arcivescovi, la quale – con l’appoggio di Roma – dichiara che un arcivescovo che non governa una sede arciepiscopale non ha titolo per farne parte, dichiarazione – come don Béguerie fa giustamente notare – tagliata su misura per il solo caso di mons. Lefebvre.
Perché dunque all’inizio degli anni 1960 mons. Lefebvre è già in conflitto con la grande maggioranza dei vescovi francesi ed è malvisto dal Papa? Il dossier messo insieme da don Béguerie cita diverse ragioni, di cui tre sono fondamentali. La prima è l’opposizione intransigente di mons. Lefebvre a ogni forma d’innovazione in campo teologico, liturgico e sociale.
La seconda è il giudizio molto duro sull’islam – e in particolare, in epoca di Guerra Fredda, sulle affinità naturali tra islam e comunismo – che determina un duro conflitto con il primo presidente del Senegal indipendente, Léopold Sédar Senghor (1906-2001). L’uomo politico chiede a Roma che mons.
Lefebvre sia rimosso dalla sede arciepiscopale di Dakar, dopo che il prelato ha scritto – nel 1959 – che «i metodi comunisti [sono] piuttosto simili a quelli dell’islam: fanatismo, collettivismo, schiavismo nei confronti dei deboli sono la tradizione stessa dell’islam» (pp. 71-72). In terzo luogo – e don Béguerie conferma quanto ho scritto io stesso sul punto, pubblicando documenti ulteriori – molto più importante di quanto altri abbiano potuto pensare è lo scontro sulla Cité Catholique, l’associazione cattolica contro-rivoluzionaria guidata da Jean Ousset (1914-1994), sostenuta e difesa da mons. Lefebvre ma avversata dalla maggioranza dell’episcopato francese.
Don Béguerie – all’epoca egli stesso autore di un dossier su questi «problemi» di mons. Lefebvre, preparato con l’intento d’impedirne l’elezione a superiore generale degli Spiritani – documenta i diversi incidenti con dovizia di particolari, ma l’analisi è molto carente e spesso veramente troppo faziosa. Nonostante tanti avvenimenti successivi, l’autore non è nemmeno sfiorato dall’idea che – per quanto effettivamente mons.
Lefebvre si esprima in modo talora eccessivamente schematico, o anche volutamente provocatorio – un certo irenismo cattolico nei confronti dell’islam e una certa teologia progressista abbiano fatto danni tali da giustificare molte delle riserve del presule francese. Sulla Cité Catholique, poi, don Béguerie si limita non solo a ripetere la vulgata ostile dell’epoca, ma per gli sviluppi successivi in Argentina – per cui mi permetto, ancora, di rimandare al mio studio in materia – cita una fonte del tutto squalificata qual è il libro scandalistico della giornalista Marie-Monique Robin.
I documenti riprodotti, peraltro, si prestano anche a un’altra lettura. La critica più «ufficiale» dell’episcopato francese contro la Cité Catholique non nega la legittimità di una scelta per la scuola cattolica contro-rivoluzionaria: condanna soltanto la presentazione di questa scelta come l’unica possibile e di fatto obbligatoria per tutti i cattolici. Per altro verso, i vescovi esprimono forti riserve su associazioni laicali come la Cité Catholique dirette non da sacerdoti, ma da laici. Paradossalmente, quando Ousset non lo seguirà nella sua critica al Concilio Ecumenico Vaticano II, mons. Lefebvre solleverà nei suoi confronti la stessa obiezione.
Come si comprende, l’opposizione a mons. Lefebvre non viene soltanto dai vescovi francesi o dal beato Giovanni XXIII. Esiste anche tra gli Spiritani, particolarmente nel corpo docente del seminario di Chevilly, dove lo stesso don Béguerie insegna all’epoca Esegesi biblica. Il fatto che Chevilly cerchi di orientare l’elezione di delegati per il Capitolo Generale che dovrà scegliere, nel 1962, il nuovo superiore generale verso padri ostili a mons. Lefebvre provoca ricorsi a Roma e l’annullamento di una prima tornata elettorale.
Alla fine, i delegati sono scelti e un Capitolo molto combattuto – che contrappone gli Spiritani francesi, tranne coloro che si occupano dell’Opera di Auteuil, a quelli, più conservatori, dei paesi di missione – elegge il 25 luglio 1962 mons. Lefebvre. Trattandosi di un vescovo, l’elezione dev’essere confermata dal Papa. La conferma arriva, anche se don Béguerie dedica molte pagine a una controversia su cui la documentazione non permette in verità conclusioni nette. Secondo l’autore – all’epoca parte in causa, come attivo protagonista del fronte anti-Lefebvre – il prelato avrebbe fatto credere che il beato Giovanni XXIII fosse favorevole alla sua elezione, mentre il Papa avrebbe semplicemente detto che, pur non gradendola, non l’avrebbe ostacolata rispettando la libertà del Capitolo.
Mons. Lefebvre si trova così a essere il superiore generale della sua congregazione durante il Concilio Ecumenico Vaticano II. L’attività del prelato al Concilio è oggetto di numerosi studi, e la presentazione che ne fa don Béguerie – al solito malevola – non aggiunge nulla a quanto si sa da altre fonti, ancorché sia utile e pratica la raccolta di una serie di lettere sulle varie sessioni conciliari scritte ai confratelli da mons. Lefebvre. Benché gli altri vescovi spiritani, influenzati dai confratelli francesi, si dichiarino imbarazzati per la distanza del loro superiore dalle posizioni progressiste della maggioranza dell’episcopato francofono, è interessante notare che alla fine, secondo don Béguerie, non è tanto l’atteggiamento di mons. Lefebvre al Concilio che determina un dissidio radicale con una percentuale significativa dei membri del suo ordine, ma tre episodi specifici.
Il primo riguarda, ancora una volta, il sostegno di mons. Lefebvre a Ousset, che continua ad alimentare polemiche, anche perché il prelato si fa assistere al Concilio come perito da un sacerdote diocesano che è vicino a Ousset, non è uno spiritano ed è in pessimi rapporti con molti vescovi francesi, don Victor Berto (1900-1968). Il secondo è la questione della talare, che mons. Lefebvre – sulla base di una sua circolare dell’11 febbraio 1963 – vuole imporre agli Spiritani francesi e anche ai novizi seminaristi, in un momento in cui molti altri ordini religiosi passano al clergyman o direttamente all’abito borghese.
Il terzo è la collaborazione di mons. Lefebvre – con nome, cognome e titolo di superiore generale – al settimanale di destra Rivarol, dove esprime giudizi sul Concilio molto più duri di quelli che appaiono nelle sue lettere ufficiali ai confratelli. Del resto, i suoi oppositori rimproverano a mons. Lefebvre di fare esporre nelle case spiritane solo pubblicazioni politicamente orientate a destra, fra cui l’italiano il Borghese, noto certo per le sue critiche ai cattolici progressisti ma anche per le sue «immagini piuttosto sconce» (p. 413), un problema solo parzialmente risolto facendone «strappare tutte le copertine» (ibid.).
A poco a poco, mons. Lefebvre si rende conto che la maggioranza degli Spiritani non lo segue. Alcuni, come lo stesso don Béguerie, protestano abbandonando la congregazione. Altri preparano la successione, di cui dà occasione il decreto del servo di Dio Papa Paolo VI (1963-1978) Perfectae Caritatis (1965) che impone agli ordini religiosi la convocazione di capitoli straordinari per procedere all’aggiornamento post-conciliare. Quello degli Spiritani è preceduto da notevoli schermaglie procedurali, perché all’inizio mons. Lefebvre pensa di poterlo controllare. Ma alla fine annuncia che al Capitolo del 9 settembre 1968 si presenterà dimissionario.
Aperto il Capitolo, una controversia su una questione di procedura – interpretata come una mancanza di rispetto – spinge mons. Lefebvre ad abbandonare l’assemblea l’11 settembre. Vi farò ritorno per un breve discorso il 30 settembre, prima della vittoria del «partito di Chevilly» a lui ostile. A novembre, lascerà gli Spiritani e comincerà a preparare l’avventura di Écône e della Fraternità Sacerdotale San Pio X, che non è oggetto del libro di don Béguerie.
Come fa notare Michel nella postfazione, il volume non chiude ma apre una serie di problemi storiografici relativi a mons. Lefebvre. Ribadisce che il suo contrasto con la maggioranza dei vescovi francesi non risale al Concilio Ecumenico Vaticano II, e non è dunque una conseguenza del Concilio, ma si manifesta dall’inizio del pontificato del beato Giovanni XXIII, con prodromi persino precedenti. Michel pone, a mio avviso, un problema reale quando alla fine della sua postfazione mette in dubbio il carattere unitario delle posizioni di mons. Lefebvre nel corso della sua lunga vicenda di vescovo, ipotesi sostenuta nella biografia di mons. Tissier de Mallerais ma, nota lo storico, «pesante e a priori non necessaria sul piano epistemologico» (p. 476), dove forse «maschera momenti di rottura: prima del Concilio, prima del 1970, prima del 1974, prima del 1988» (ibid.).
Anche se i testi di Rivarol – e della rivista Itinéraires – hanno un tono parzialmente diverso dai pronunciamenti ufficiali in ambito spiritano, si rimane colpiti non solo dalla fiducia che – fino al termine delle vicende narrate da don Béguerie (certamente non dopo) – mons. Lefebvre manifesta quanto all’interpretazione del Concilio nei confronti del servo di Dio Paolo VI, di cui talora propone – in implicita ma evidente contrapposizione al beato Giovanni XXIII – un vero «panegirico» (p. 250), ma anche dalla lettera di convocazione, a Concilio finito, del Capitolo Generale dove si presenterà dimissionario. In questa lettera, del 6 gennaio 1966, il presule invita a distinguere fra i «testi conciliari» (p. 381) e le loro interpretazioni abusive.
Mons. Lefebvre spiega agli Spiritani che per «profittare dell’opera reale del Concilio, del risultato dei suoi lavori che solo conta in definitiva, dobbiamo dedicarci allo studio dei testi con una reale devozione, cioè con un desiderio sincero di ricevere la luce che vi si trova per le nostre intelligenze e la grazia di santificazione per le nostre anime, insieme alle direttive necessarie alla nostra attività personale e pastorale» (ibid.).
L’invito è a «profittare ampiamente delle grazie del Concilio e a sottometterci perfettamente alla Santa Volontà di Dio che si manifesta in tutti i documenti che ha emanato» (p. 383, corsivo mio). Questo, certamente, non è il mons. Lefebvre degli anni 1980. I problemi storiografici su quando e come il presule francese cambi il suo giudizio sui documenti del Concilio rimangono. Il libro di don Béguerie è troppo orientato per risolverli. Ma può contribuire a impostarli, e a ricordarci che esistono.