Anno VII, nuova serie, n.7, 7 febbraio 2015
La de-mitizzazione del sesso come arma di battaglia del progressimo anglosassone e internazionale e la sua riconduzione a un benefico rapporto totale fra persone nella fine analisi del filosofo conservatore inglese
di Roger Scruton
Is Sex Necessary? [Il sesso è necessario?] [1], una penetrante satira della rivoluzione sessuale in America, fu pubblicata da E.flwyn] B.[rooks] White (1899-1985) e James Thurber (1894-1961) nel 1929, poco prima che la storia avesse davvero inizio, e questo ci segnala come già allora il sesso fosse un’arena dove si scontravano l’individuo e la società. Conservare l’ordine sociale significava allora canalizzare e nascondere le emozioni di natura sessuale e aderire al tacito accordo di non parlarne mai, almeno non direttamente e in esplicito. Le cose anti-convenzionali si potevano fare in privato, ma renderle pubbliche era tabù.
Naturalmente questa regola fu mandata all’aria da Sigmund Freud (1856-1939) e dai freudiani, ma almeno essi trattarono la questione con un linguaggio medico, che stemperava il fascino delle cose descritte. A parte qualche romanziere volgare come Henry Miller (1891-1980), gli americani credevano che la decenza proibisse di far mostra delle proprie inclinazioni e che le norme sociali borghesi dovessero perdurare indisturbate. Questo era vero tanto a sinistra quanto a destra, e rimase vero anche durante l’esplosione del baby boom [2] dopo la seconda guerra mondiale. Le tesi dell’ideologia liberal degli anni Sessanta e Settanta del XX secolo trovarono espressione nel movimento per i diritti civili e nelle proteste contro la guerra nel Vietnam, cioè in una serie di rivendicazioni della giustizia sociale a casa e della pace nel mondo. L’idea che la politica avesse davvero qualcosa a che fare con il sesso e con la liberazione dell’individuo dai vincoli della famiglia borghese, fu importata dall’Europa e allora aveva poca o nessuna attinenza con i problemi di attualità del tempo. Le voci di protesta di Howard Zinn (1922-2010) e di Noam Chomsky, di Joan Baez e di Martin Luther King Jr. (1929-1968) si rivolgevano a un popolo americano e a una società di famiglie ancora incerti su “che cosa raccontare ai genitori” riguardo al sesso.
Ma la profezia di Thurber e White relativa all’avvento di una nuova politica a sfondo sessuale stava per avverarsi. Negli anni 1950 Erich Fromm (1900-1980), Wilhelm Reich (1897-1957) e Herbert Marcuse (18989-1979) crearono una contagiosa miscela di Karl Marx (1818-1883) e di Freud, secondo la quale le classi oppresse potevano liberarsi attraverso una vita sessuale libera, che nel frattempo questi nuovi guru iniziavano già a mettere in pratica. E i Rapporti Kinsey [3], il primo dei quali fu pubblicato nel 1948, spinsero molti americani a credere che tutti si comportassero allo stesso modo e che fosse quindi giunto il momento di prendersi anch’essi una fetta della torta.
Il sesso, sebbene ampiamente praticato dai suoi attivisti, tuttavia non era al primo posto nell’agenda dei radicali degli anni I960 e 1970. Le tesi prioritarie persero però presto mordente, perché il popolo di sinistra cominciò a convincersi che ormai scarseggiavano le occasioni per protestare contro singoli casi di comportamento razzista, come pure le opportunità di difendere le varie affermative action [4] dai ricorsi legali contro di esse, e che quindi non vi era più molto da fare per migliorare la situazione degli afroamericani.
Il ritiro dal Vietnam pose fine anche a quest’altra battaglia: la palese inutilità di quella guerra spinse un po’ tutto lo spettro politico a coltivare sentimenti isolazionistici, almeno fino all’attacco alle Torri Gemelle del 2001. Fu dunque quando la cultura protestataria degli anni 1970 si esaurì che la liberazione sessuale venne spostata in testa al programma liberal e questo per la semplice ragione che non vi era più niente da anteporle.
* * *
In ogni modo, la liberazione sessuale non è un problema semplice. Il suo pioniere, Wilhelm Reich, scrivendo negli anni 1930, credeva che l’orgasmo ne fosse la soluzione, ma non riuscì mai a definire bene la questione. Le sue eccentriche terapie erano palesemente espressione della sua ossessione sessuale e, a parte qualche solitario, nessuno ormai vi presta più attenzione.
Ma resta la domanda: se il sesso va liberato, da che cosa va liberato e per che cosa va liberato? Che mancasse una risposta chiara a tali quesiti divenne immediatamente evidente nel movimento femminista. Le donne attuano davvero la propria liberazione scegliendosi più partner, violando le convenzioni del matrimonio e facendo figli in maniera casuale con gli uomini del cui amplesso hanno goduto? Oppure un simile atteggiamento viene a frustrare il bisogno più profondo di una famiglia stabile? Le
donne hanno veramente ottenuto la liberazione se gli uomini possono abbandonarle a loro piacimento? Non sono forse così solo ancor più profondamente asservite? Il divorzio facile equivale a negare a una donna il potere di trattenere presso di sé il padre dei suoi figli e il protettore della sua casa. E questo è un guadagno o una perdita di libertà per la donna? E se la liberazione si riduce a essere liberi di avere molti partner, che genere di libertà si può garantire a chi è brutto oppure timido?
Queste erano domande reali, il cui primo effetto fu di generare all’interno del movimento delle donne un’altra e ancor più radicale proposta di liberazione sessuale: non la liberazione nel rapporto con gli uomini, ma la liberazione dagli uomini. Se la liberazione sessuale consiste nel vivere senza regole sessuali, cercando di conseguire il piacere in qualunque modo, che cosa c’è di così speciale negli uomini? Perché correre il rischio di mettersi nelle mani di un partner dominante, il cui curriculum quanto ad autostima batte quello di qualunque donna che non sia al livello di Cleopatra (69-30 a.C.) o di Caterina di Russia (1729-1796) nella scala sociale? Così, una parte del movimento delle donne ha cominciato a trasformarsi in attivismo lesbico. Con una donna sai di essere al sicuro: non userà il piacere sessuale come mezzo per ridurti in schiavitù, ma ne riconoscerà il vero carattere di legame reciproco, legame in cui i partner godono di eguale libertà e di pari diritti.
Tuttavia, anche questo tentativo di riconquistare, sebbene in forma adulterata, il nocciolo amoroso dell’unione sessuale e d’inserirlo in un nuovo regime familiare si presentava come un’anomalia dal punto di vista della rivoluzione sessuale. Nelle opere di Reich, di Marcuse e di Fromm la liberazione era vista come una liberazione del vero “io”, l”‘io” interiore, dalle catene della società borghese e lo scopo di questa liberazione non era di creare una nuova forma di vita familiare, dal momento che questa è soltanto una nuova forma di schiavitù: lo scopo era invece di auto-esprimersi e, in particolare, di ricercare piaceri auto-valorizzanti, anche se proibiti dalle norme sociali.
La medesima opinione fu divulgata dai Rapporti Kinsey. Largamente considerate oggi come opere di fiction, le due relazioni sottolineano tuttavia due tesi che sono diventate una sorta di ortodossia culturale. La prima è che il sesso equivale al piacere e che il piacere sessuale è di tipo sensoriale, localizzato nelle “zone erogene” del corpo, nonché attuabile in una varietà di modi e praticabile con diversi partner. La seconda, che questo piacere è di per sé moralmente neutro, sì che il tentativo di sopprimere ogni modalità “speciale” con cui insorge o qualsiasi mezzo particolare di ottenerlo costituisce una grave violazione della libertà individuale e un atto di prevaricazione.
La psicologia freudiana ha alimentato queste due convinzioni. Infatti, anche se le idee di Freud si sono evolute nel tempo, è stato Freud che per primo ha resa popolare, nei suoi scritti giovanili, l’idea di “zona erogena” e ha dato una definizione riduttiva del piacere sessuale come sensazione corporea. L’idea di liberazione sessuale è stata in parte ispirata dalla teoria freudiana della repressione, che descrive il desiderio sessuale come una sorta di forza idraulica, che esplode in forme imprevedibili, a meno che non venga “rimosso” dal Super-Ego. L’immaginario freudiano era in questo di gran lunga più potente rispetto alla realtà, dal momento che portava a una visione completamente nuova del comportamento sessuale. Il sesso era ormai visto come lo scatenamento dei desideri che scaturivano dal “vero io”, interno a ciascuno. Liberare quei desideri equivaleva a produrre un piacere innocente e regolato, reprimerli equivaleva invece a “imbrigliare” delle pulsioni che, se compresse e non lasciate libere di fluire senza costrizione, diventavano pericolose. Negare la liberazione di tali pulsioni significava reprimerle e la repressione del desiderio sessuale era anche oppressione dell’individuo.
La repressione sessuale veniva così a sostituire l’oppressione nel ruolo di forza politica malvagia. E poiché si trattava di una forza che veniva esercitata in nome delle vecchie forme di unione familiare, era evidente come la repressione fosse intrinseca all’ordine borghese, il quale doveva essere rovesciato in nome della libertà più autentica. Dalle opere di Marcuse e di Reich prese corpo quindi un nuovo programma rivoluzionario Questo programma indossò la forma mentis del marxismo, senza però abbracciarne il relativo contenuto, con l’immenso vantaggio rispetto alle vecchie idee marxiste che per il nuovo tipo di rivoluzione si poteva lottare da soli, facendo a meno di un movimento di massa che la sostenesse e senza fare altro sforzo se non quello di sedurre chiunque volesse prendere parte al gioco.
Questo è il motivo, credo, per cui la liberazione sessuale non solo è balzata in testa al programma progressista, ma vi è pure rimasta. Le battaglie liberal di un tempo si combattevano in nome di soggetti altri: gli schiavi, i lavoratori, le minoranze etniche, le donne, i dannati della terra: tutti quelli che avevano bisogno di una battaglia che li liberasse dalle loro catene. La politica progressista consisteva nell’unirsi ad altri per liberare via via ogni nuova categoria di presunte vittime. Al contrario, la battaglia per la liberazione sessuale si poteva combattere non in nome di qualcun’altro, ma di se stessi, cioè di qualcosa allo stesso tempo più astratto e più interno di quanto potesse essere qualunque delle vittime trovate nel mondo esterno: una battaglia che si poteva combattere e vincere da soli. La delusione provocata da battaglie radicali di segno più “altruistico” era quindi compensata da una nuova spinta del tutto egocentrica: una battaglia contro qualunque austerità morale si ponesse come ostacolo alla realizzazione individuale, e una battaglia in nome del vero “io”, cui era stato rubato il diritto al piacere.
Nelle rivolte del 1968, e in particolare in quella che ebbe il suo epicentro a Parigi nel maggio di quell’anno, vediamo già palesarsi questo spostamento di focus. Gli “altri” per conto dei quali si allora combatteva erano definiti in maniera vaga e imprecisa. In un primo momento furono i lavoratori, sottintendendo che, essendo incapaci di esprimersi, non vi fosse bisogno di consultarli. Però, quando i lavoratori iniziarono a protestare contro gli studenti perché bruciavano le loro automobili, il proletariato uscì rapidamente di scena. Divenne allora più facile schierarsi con i lontani e sconosciuti contadini del Vietnam e della Cambogia che non battersi in nome di una vittima più alla mano. La scommessa più azzeccata fu quella di protestare contro l’ordine borghese e di lasciare alla storia di decidere a favore di che cosa uno doveva essere, come testimonia lo slogan rivoluzionario «C’est interdit d’interdire», «Vietato vietare». E dal momento che gli studenti erano giovani, agiati e con parecchio tempo a disposizione, quello che fu proibito fu di vietare i loro piaceri.
Questo spostamento di focus si può vedere con la massima chiarezza negli scritti di Michel Foucault (1926-1984), la cui figura è inseparabile da quella del Sessantotto. I suoi primi lavori furono appelli alla liberazione di chi si trovava imprigionato, vuoi per crimini commessi, vuoi per “follia” oppure per malattia. Ma ben presto la sua attenzione si spostò dalla liberazione di casi particolari alla condanna generale Foucault non usava il linguaggio della “repressione”, ma era fermamente convinto che la vera minaccia per la società borghese era chi esprimeva ciò che realmente era attraverso il crimine, attraverso 1′”irrazionalità” (déraison) oppure attraverso qualsiasi impulso ribelle che lo avesse portato a essere confinato dentro cliniche, carceri e istituti di correzione. Chi si poneva sulla strada di essere se stesso, di esternare i propri impulsi e le proprie visioni in gesti autentici, combatteva in nome di tutti contro le menzogne, le distorsioni e le manipolazioni dell’ordine borghese.
Quindi, chi si opponeva all’idea di normalità sessuale e perseguiva piaceri proibiti era per Foucault il vero eroe del suo tempo. Ed egli stesso era poi uno di questi eroi, i suoi strenui sforzi di liberare se stesso lo condussero infatti, notte dopo notte, a vagare per le saune sadomasochiste di San Francisco, spingendolo verso il “martirio” da AIDS. Quando morì era totalmente immerso nella scrittura della sua Storia della sessualità [5] in quattro volumi, che lasciò sulla sua scrivania, incompiuta. Ma vi è una storia curiosa da raccontare su questo poderoso lavoro scientifico.
Se il matrimonio e i rapporti sessuali in generale sono solo piacere, un piacere da scambiare e da conseguire attraverso delle transazioni corporee che riguardano solo i relativi partner, allora è possibile credere che le vecchie norme di comportamento sessuale siano soltanto il risultato di un gioco di potere. Foucault inizia il suo studio ponendosi questa domanda: “Perché il comportamento sessuale e le attività e i piaceri a esso inerenti, formano oggetto di preoccupazione morale? Perché esiste una preoccupazione etica?”. Le sue ricerche lo condussero però nella direzione opposta a quella suggerita da questa domanda, poiché, quando si propose di dimostrare l’inconsistenza delle norme in materia sessuale, scoprì che tali norme non sono transitorie o flessibili, bensì incastonate nel cuore stesso del nostro modo d’intendere la società. Nel secondo volume dell’opera, dal titolo L’uso del piacere. Foucault ha studiato una varietà di testi antichi che trattano dell’attrazione sessuale, tentando in un primo momento, come indica il titolo del libro, di leggere il fenomeno sessuale principalmente in chiave di piacere, scoprendo tuttavia che i testi studiati non riguardavano affatto il piacere sessuale.
Per i greci e per i romani, infatti, nell’atto sessuale, così come nelle relazioni che lo preparano, l’essere umano modellava e simbolizzava la sua posizione sociale. Il sesso non era mai semplicemente sesso: era intrinsecamente “problematizzato”, come apprende a dire a chi si forma nella terminologia di Foucault. Sullo sfondo dell’impulso primitivo del desiderio s’insinuavano i concetti di onore e di virtù e persino le relazioni fra uomini e adolescenti, per chi le praticava, sollevavano la questione di come distinguere il modo onorevole da quello disonorevole di goderne. Platone (428/427-348/347 a.C.) notoriamente sosteneva che si dovesse trascendere l’elemento del piacere sensuale e sostituirlo con il desiderio di educare.
Nel terzo volume, La Cura di sé, Foucault sostiene che nel mondo antico l’attività sessuale, in un primo momento era concepita come un simbolo dello status sociale dei partecipanti, per poi gradualmente “privatizzarsi”, in quanto le preoccupazioni relative all’onore persero d’importanza e l’attenzione si spostò sulla “cura di se stessi”. Questa, egli suggerisce, è la causa della crescente enfasi posta sulla purezza, sulla verginità e sulla fedeltà nel matrimonio. Ma, come egli riconosce, «l’intensificazione della cura di sé va di pari passo con la valorizzazione dell’altro». Prima della fine del libro il lettore si rende conto che il sesso, nel mondo di Plinio il Vecchio (23-79) e di Plutarco (46/48-125/127), non riguardava affatto il piacere, se non come effetto collaterale accidentale, e ancora meno il potere e il dominio, ma riguardava la mutua dipendenza dei partner e la cura dei figli.
Foucault non trasse alcuna morale dalle sue scoperte. Egli adottò una posizione di distacco, come se il piacere fosse rimasto l’oggetto primario della condotta sessuale e le strutture sociali la via preferita per raggiungerlo. E questo rimase la premessa fondante della battaglia per la liberazione sessuale. Lo stile di Foucault fu tuttavia circospetto e, prendendo seriamente posizione per le donne e per i bambini, egli si avvicinò a conoscere la verità, cioè che non il piacere, bensì l’amore fa girare il mondo.
Ci sono diverse lezioni importanti che desidero trarre dall’esempio di Foucault. Una è che il piacere sessuale non è una sensazione piacevole, come quella che deriva da un bagno caldo o dal sapore di zucchero. E un piacere che ha una direzione, come il piacere che si prova guardando un bambino mentre gioca. È un piacere in e con un’altra persona. Non è riducibile ad alcuna sensazione del corpo o dei suoi organi, ma coinvolge tutto l’atteggiamento verso l’altro, che è il vero oggetto del desiderio. Non si può mai slegare il piacere sessuale dalle circostanze sociali in cui si presenta — dalla civiltà, in altre parole — più di quanto non si possa separare l’amore dall’amato o la paura da un pericolo imminente.
Analogamente, il desiderio sessuale non è una forza “idraulica” come quella descritta dai freudiani, bensì un desiderio che ha un orientamento, un modo di riconoscere l’altro e di rivolgersi a lui o a lei. È in essenza sia un compromesso, sia qualcosa di compromettente e non può essere esteriorizzato senza affrontare la questione se sia esternato in maniera giusta e giustamente recepito. Il sesso non ci salta addosso come un appetito neutro, che viene in seguito “problematizzato”: è un’esperienza interpersonale, che viviamo responsabilmente e che va intesa come un dono. Vergogna, turbamento, tenerezza, repulsione: tutti questi sentimenti vivono allo stato incipiente al suo interno e tutti dipendono dalla mutua donazione dei partecipanti.
Se il sesso fosse solo una questione di piacere fisico, allora la libertà di goderne diventerebbe la tesi morale sottintesa. E la domanda ulteriore sarebbe solo che uso fare di questo piacere. Qualcosa del genere è implicito nel titolo di Foucault L’uso dei piaceri. Questo modo di vedere le cose dà origine a due altre ortodossie culturali del nostro tempo: primo, il mio piacere è mio e, se tu me lo vieti, vuol dire che mi stai reprimendo. Quindi la liberazione sessuale non è solo una liberazione, ma un dovere e, lasciare che il desiderio si scateni, non è solo una sfida all’ordine borghese, ma un punto segnato a favore della libertà in generale. L’auto-gratificazione assume così il fascino e la gloria morale di una lotta eroica. Per la generazione dell’ “io” non c’è cosa più gratificante di sposare una battaglia morale: chi ne fa parte diventa totalmente virtuoso, pur essendo totalmente egoista.
Seconda cosa, diventa più facile vedere il sesso in un rapporto costi-benefici. A misura che nella società si restringe l’esperienza, ormai residuale, del sacro e del proibito, è facile osservare che il sesso non sta più in una relazione speciale con l’amore e ha perso la sua aura sacrale. Così qualcuno cerca di ricostruire la moralità sessuale in termini utilitaristici. I piaceri possono essere valutati in termini d’intensità e di durata e, se non esiste altro in relazione al sesso se non il piacere, è possibile istituire una chiara e definitiva distinzione fra “sesso buono” e “sesso cattivo”, qualificata moralmente solo dal principio del consenso. In questi termini l’ethos della liberazione sessuale si esprime oggi attraverso il “sesso buono”, cioè un sesso ritenuto il prodotto naturale di un desiderio autenticamente liberato e auto-espressivo, in quanto il desiderio è proprio un desiderio di piacere.
Se vediamo il sesso in questo modo, cioè come liberazione del vero “io” interno, la cui remunerazione è il piacere, allora la rivoluzione sessuale non porta all'”estinzione dello Stato”, secondo la predizione dei marxisti, bensì conduce all’estinzione della società. Quando il legame primario fra un uomo e una donna perde il suo status privilegiato e non è più protetto dalle istituzioni, allora tutto ciò che la civiltà ha costruito su quel legame comincia a vacillare. La morale borghese rottamata da Reich, Marcuse e Foucault non consisteva solo in un sistema di vincoli arbitrari: era un modo d’incanalare la grande forza del desiderio sessuale in una forma di amore e d’impegno di cui non erano beneficiari i soli partner, ma ancor di più la generazione non ancora nata, risultato di lungo termine della loro unione. Ecco perché il matrimonio è sempre stato protetto come “rito di passaggio” e perché la Chiesa cattolica lo ha definito un sacramento. Ecco perché il desiderio sessuale stesso può essere visto come una sorta di consacrazione dell’altro, il quale nell’atto unitivo è assorbito ma anche onorato, e in cui riceve nella misura in cui dà.
Questa visione tradizionale del sesso era ed è un ostacolo sulla strada dell’agenda liberal. Il sesso, come era concepito prima, non riguardava, lo sottolineo, l’ “io” e il suo piacere, ma il “tu” e l’impegno reciproco dei due. Il sesso era concepito come un vincolo che incombeva sul vivente e come un impegno verso chi non era ancora nato. Contro la visione tradizionale del sesso si è schierato non solo il progetto di liberazione sessuale, ma anche quello molto più insidioso di “educazione sessuale”, attraverso il quale, alla fine del ventesimo secolo, una sorta di anti-moralità moralistica si è insinuata nelle nostre scuole. È stato rilevato che i bambini hanno una naturale tendenza ad associare il sesso con la vergogna, con il turbamento e con il disgusto. Le loro anime dovevano quindi essere ripulite da questi detriti borghesi, in modo che potessero anch’esse prepararsi alla vita con un “io” autentico e liberato.
Ecco perché i liberal hanno insistito e continuano a insistere sull’educazione sessuale come un bene da rendere obbligatorio per i piccoli, le cui anime sarebbero altrimenti messe in pericolo dalle forze repressive e auto-distruttive che le circondano. Ai bambini viene insegnato che la vergogna è un sentimento negativo, da superare a tutti i costi, che tutta l’attività sessuale, se consensuale, prima facie è, in tesi, “sana”, è una piacevole “liberazione” da tensioni che potrebbero essere altrimenti represse e diventare pericolose. E se per caso i bambini non lo capiscono, si propongono loro immagini e modelli indecenti, per convincerli che il sesso non riguarda l’amore fra le persone, ma la frizione fra i loro organi sessuali.
Alla luce di tutto ciò, non dovremmo sorprenderci se molti dei grandi temi della politica liberal di oggi dipendono dal tema della liberazione sessuale. Il “diritto all’aborto”, il “matrimonio” gay, il programma LGBT [6]: sono tutte battaglie che, in determinate circostanze, riflettono una genuina preoccupazione per la nostra comune umanità, così come esprimono il senso comune sui limiti della morale, delle leggi e del costume. Ma troppo spesso si sposano a uno spirito di radicale intransigenza, sono viste come modi per distaccare il sesso dalle istituzioni civilizzatrici che lo hanno espresso e temperato per legarlo invece alla liberazione dell’ “io”.
Per questo motivo, i sostenitori del “diritto” all’aborto spesso non pongono limiti alle loro rivendicazioni, né per alcun motivo rinunciano a sopprimere la vittima non nata, la quale non è vista neppure come una vittima, bensì come una “presenza estranea” in un corpo di donna da cui essa ha il diritto di liberarsi, dato che è il frutto del suo piacere innocente. Allo stesso modo, il “matrimonio” gay è sempre più spesso visto dai suoi sostenitori non come una via per includere gli omosessuali all’interno di una istituzione che incanala il desiderio sessuale in una forma di amore e d’impegno, bensì come un modo per decostruire il matrimonio, perché esso perda il suo carattere sacrale e divenga solo un contratto che regola “l’uso del piacere”.
Le istituzioni, una volta distrutte, non si possono ricreare. Come diceva Ludwig Wittgenstein (1889-1951), far rivivere una tradizione è come cercare di riparare una ragnatela strappata con le dita [7]. Ciononostante, il risultato della rivoluzione sessuale è sotto gli occhi di tutti ed è molto più allarmante e devastante per la prossima generazione di qualsiasi cosa Thurber e White avessero previsto. Siamo stati liberati dalla vecchia moralità, ma a essa è stata sostituita un’anti-moralità puritana.
I piaceri promessi sono divenuti stantii, dimostrando che in ogni caso non era il piacere che volevamo. Vestigia della vecchia moralità riappaiono nel crescente panico della pedofilia; nei nuovi tentativi di controllare ciò che in materia sessuale avviene nelle scuole e nelle università, in forme di educazione sessuale che oggi pongono l’accento sulle “relazioni stabili” piuttosto che sul “sesso buono”. Qualunque altra cosa questi nuovi sviluppi indichino, essi ci ricordano che gli esseri umani rimangono quelli che sono, cioè creature affamate di amore e d’impegno scambievole, che hanno un gran bisogno di dare come di prendere e in cerca di forme di vita sociale che rendano possibile l’amare e il dare.
Potranno ritrovare tutto ciò? E se no, saranno capaci di fare quello che fino a ora hanno sempre fatto per istinto, cioè farsi una casa durevole per i propri figli e insegnare a questi figli a farsi, a loro volta, una casa che duri?
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Note
(*) Traduzione redazionale dell’articolo Is Sex Necessary? On the poverty of progressivism’s fixation on sexual liberation, apparso sulla rivista newyorchese First Things di dicembre 2014. Le note redazionali aggiunte alle originali sono fra parentesi quadre
[1] Cfr. Is Sex Necessary? Or Why You Feel the Way You Do, Harper & Bros., Londra 1929 [trad. it, Il sesso è necessario?, Bompiani, Milano 1970].
[2] Dopo il secondo conflitto mondiale le nascite di bambini (baby) subirono un forte incremento (boom).
[3] I Rapporti Knsey sono due libri-inchiesta sul comportamento sessuale dell’uomo e della donna: Sexual Behaviour in the Human Male (trad. it, Il comportamento sessuale dell’uomo, 1948, Bompiani, Milano 1950) e Sexual Behaviour in the Human Female (trad. it, Il comportamento sessuale della donna, 1953, Bompiani, Milano 1965), scritti da Alfred Kinsey (1894-1956), Wardel Baxter Pomeroy (1913-2001 ) e altri. Kinsey era un biologo presso l’Università dell’Indiana e il fondatore dell’Istituto Kinsey.
[4] L’affermative action (azione volta ad affermare un principio) è uno strumento di azione politica, in genere d’iniziativa governativa, che vuole stabilire e promuovere princìpi di pari opportunità in materia razziale, etnica, sessuale e sociale.
[5] Cfr. Michael Focault, Storia della sessualità, trad. it., 4 voll., Feltrinelli, Milano 2013
[6] LGBT è l’acronimo di “Lesbian, Gay, Bi-sexual and Transgender”.
[7] Cfr. «[..] als sollten wir ein zerstörtes Spinnennetz mit unsern Fingern in Ordnimg hingen» (Ludwig Wittgunstein, Philosophische Untersuchungen, n. ed., Suhrkamp Verlag Berlino 2010, n. 106).