Corrispondenza Romana n.1316 del 6 novembre 2013
Danilo Quinto
Volano gli stracci nel Partito Democratico. Baci e abbracci quando si vedono, ma sotto sotto Gianni Cuperlo e Matteo Renzi si fanno la guerra in vista delle primarie dell’8 dicembre. A colpi di pacchetti di tessere di iscritti, di brogli denunciati dall’una e dall’altra parte per le votazioni congressuali.
Dice il commissario inviato in Puglia, roberto Morassut: «Il dato drammatico è che sta emergendo la natura di un partito diviso non in correnti, che nel bene e nel male sono espressione di posizioni politiche, ma in piccole cordate che mirano solo alla gestione del potere. E dobbiamo porre rimedio subito, perché i partiti della Prima Repubblica sono morti proprio così, quando è sparita la politica ed è rimasta solo la lotta per il potere». Cuperlo, di fronte ai casi più clamorosi, che sono sparsi in tutt’Italia, parla di «degenerazione».
“renziani” denunciano che sin da otto mesi fa sono state inviate alle sedi provinciali centinaia di migliaia di tessere in bianco, il 150% di quelle emesse nel 2009, anno in cui ci sono stati più iscritti al Pd. Si parla di “chili di tessere”, di “controlli”, di coinvolgimento diretto di Renzi, da parte dei suoi avversari. Ci si chiede cosa avverrà alle primarie, aperte questa volta a tutti.
Renzi sta alla finestra e aspetta fiducioso di conquistare il partito, che gli serve come trampolino di lancio per la nomina a successore di Letta. Ma quale partito troverà? Quello dov’è morta la politica ed è rimasta solo la voglia di potere o ancora peggio? Si è aperto a Monza, qualche settimana fa, il processo sulle presunte tangenti del “Sistema Sesto”, nel quale è imputato anche l’ex presidente PD della Provincia di Milano, Filippo Penati, ex capo della segreteria politica di Pierluigi Bersani. Si parlerà di un sistema di tangenti che avrebbe condizionato in maniera pesante, per molti anni, l’attività politica e imprenditoriale in un vasto territorio della Lombardia. In Puglia, mezzo PD – tra consiglieri regionali, sindaci e uomini di apparato – ha ricevuto, insieme al Presidente della Regione, Nichi Vendola, un’informazione di garanzia per il reato di disastro ambientale nella vicenda Ilva
A Siena, è iniziato ad ottobre il primo dei processi che coinvolge gli ex uomini di vertice del Monte dei Paschi: un’inchiesta fuori dell’ordinario e gravissima di cui l’informazione della grande stampa poco scrive, perché poco si deve sapere. Tanto non si deve sapere che nessuno si chiede quando quella Banca – che è alle prese con un piano di contenimento dei costi che entro il 2015 si prevede porterà allo smantellamento di 400 filiali e al licenziamento di 4.600 dipendenti – restituirà i 4 miliardi di euro circa di prestito ricevuti dal Governo di Mario Monti per salvarsi.
Nella roccaforte del Pd, l’Emilia Romagna, esplode in questi giorni l’inchiesta giudiziaria sui rimborsi spesa dei consiglieri regionali. Un enorme montagna di denaro pubblico a uso e consumo della politica. Lì come altrove.
L’elenco potrebbe continuare, ma non è necessario, perché a dare il quadro della situazione – complicata, per usare un eufemismo – bastano i casi citati, rispetto ai quali naturalmente vale la presunzione d’innocenza. Come dovrebbe accadere per gli esponenti del centrodestra raggiunti da provvedimenti della magistratura, che invece vengono messi sistematicamente alla gogna pubblica. Sempre e comunque. Certo è che chi vincerà le primarie, chiunque esso sia, dovrà pur dare qualche risposta sul “sistema politico PD”, che da oltre vent’anni – dall’inchiesta “tangentopoli” in poi – trova le risorse per auto-rigenerarsi, senza sostanzialmente pagare nessun prezzo per questa sua disperata ansia di conquistare il potere. Maramaldeggiare va bene, ma quando è troppo, è troppo.