Abstract: I partiti sovranisti aumentano i loro consensi nei Paesi europei ma continuano ad essere sottorappresentati in sede di Parlamento europeo . Eppure se i partiti e movimenti sovranisti unissero le loro forze nel Parlamento europeo costituirebbero il terzo più importante gruppo a Strasburgo. La divisione e talvolta contrapposizione, basata spesso non su contenuti politici bensì su avversioni personalistiche dei vari leader, costituisce uno dei problemi atavici dello schieramento di destra, contribuendo alla sua sottorappresentazione
Radici Cristiane. n. 179 marzo 2023
Perché l’ascesa del sovranismo in Europa
di Giuseppe Brienza
Quest’anno due dei partiti sovranisti europei maggiormente in crescita e che potrebbero a breve essere coinvolti nelle responsabilità di governo nazionali o locali del loro Paese compiranno il decimo “compleanno”. Il movimento Alternativa per la Germania (Alternative für Deutschland–AfD) è stato fondato infatti nel febbraio 2013 da Bernd Lucke, Alexander Gauland ed ex membri fuoriusciti dall’Unione Cristiano-Democratica (CDU) in opposizione alle politiche della zona euro e anche VOX di Santiago Abascal è nato il 17 dicembre 2013 da una scissione di esponenti del Partito popolare spagnolo(Pp).
Entrambi i partiti, si può dire, hanno ormai consolidato il proprio bagaglio ideale e struttura organizzativa oltre che fidelizzato il relativo elettorato. Non sarà più attendibile chi vorrà continuare a demonizzarne i leader oppure ad additarne l’estemporaneità o prossima volatizzazione. Il discorso però è piuttosto diverso con riguardo alla loro effettiva influenza politica, oltre che a quella di tutti gli altri partiti e movimenti sovranisti, nell’ambito dell’Unione europea. AfD e VOX, infatti, nonostante i profili di affinità culturale e programmatica, militano in gruppi parlamentari diversi in seno all’Assemblea di Strasburogo. Mentre il primo partito appartiene al gruppo Identità e Democrazia (ID) del Parlamento europeo, il secondo è membro dell’European Conservatives and Reformists Group (Ecr), il gruppo già presieduto da Giorgia Meloni e attualmente capitanato dall’europarlamentare polacco Ryszard Legutko (Diritto e Giustizia, PiS) e dal responsabile del Dipartimento Ambiente ed Energia di Fratelli d’Italia Nicola Procaccini.
I sovranisti a Strasburgo
La divisione e talvolta contrapposizione, basata spesso non su contenuti politici bensì su avversioni personalistiche dei vari leader, costituisce uno dei problemi atavici dello schieramento di destra, contribuendo alla sua sottorappresentazione (tranne rare eccezioni) politica ed elettorale sia a livello nazionale sia europeo.
Se i partiti e movimenti sovranisti unissero le loro forze nel Parlamento europeo costituirebbero il terzo più importante gruppo a Strasburgo. Considerando infatti la consistenza complessiva del gruppo di ID e di quello di Ecr – entrambi contano 64 eurodeputati cadauno -, si comprende bene come i complessivi 128 parlamentari di destra potrebbero mettere sicuramente in difficoltà i due schieramenti egemoni del PPE (176 componenti) e dell’Alleanza progressista di socialisti e democratici–S&D (144), da almeno tre decenni uniti a doppio filo nel perseguimento dell’agenda globalista e antinazionale a livello Ue. Senza parlare poi della presenza dispersiva nell’ulteriore e terzo gruppo, quello dei “Non iscritti” (NI), cui appartengono 13 eurodeputati sovranisti ungheresi, 12 appartenenti al partito attualmente al Governo Fidesz e uno al movimento di estrema destra Jobbik.
Un passo avanti verso l’unione delle forze del sovranismo europeo sembrava essere la sottoscrizione, il 2 luglio 2021, di quella che i media hanno presentato come la Carta dei Valori, sottoscritta dai leader di 16 partiti di destra, in parte di Governo e in parte all’opposizione nei rispettivi Paesi, appartenenti a tutti e tre i sopra citati gruppi parlamentari a Strasburgo. Si sperava che tale iniziativa, fortemente voluta dal segretario federale della Lega Matteo Salvini e dai premier ungherese Viktor Orbán (Fidesz) e polacco Mateusz Morawiecki (Diritto e Giustizia), avrebbe segnato l’avvio di una Internazionale sovranista, la guerra in Ucraina e le conseguenti opposte posizioni assunte dai vari leader e movimenti, oltre che altri fattori legati alla politica interna, hanno finora frustato comunque ogni aspettativa in tal senso.
Il gruppo “Identità e Democrazia”
Al Gruppo Identità e Democrazia a Strasburgo, il cui presidente è l’ex europarlamentare del Movimento 5 Stelle (dal 2014 al 2019) Marco Zanni, ora nella Lega, appartengono oltre al partito di Salvini quello francese di Marine Le Pen, ovvero il Rassemblement National (RN) e il già citato movimento AfD. Per il resto ID ha componenti provenienti da dieci diversi Stati membri fra i quali la Finlandia, il cui Finns Party (Perussuomalaiset – abbreviato “Perus S” – nella lingua nazionale), meriterebbe di essere menzionato poiché sta acquisendo visibilità e autorevolezza con prospettive di probabile prossimo coinvolgimento nel Governo nazionale.
Il leader del Perus S, l’ex europarlamentare (2014-2019) Jussi Halla-aho, è stato eletto nel 2019 nel parlamento finlandese, a capo di quello che è diventato il secondo partito nazionale e, con il 17,48% dei voti, è stato designato presidente di un organismo-chiave nello scenario geopolitico come la Commissione Affari Esteri. Promuovendo l’adesione del suo Paese (oltre a quello della Svezia) alla NATO, Halla-aho ha avuto di recente voce in capitolo nella preparazione della conferenza sulla sicurezza internazionale tenutasi a Monaco di Baviera dal 17 al 19 febbraio 2023 che, concentratasi principalmente sulla crisi ucraina, ha avuto appunto all’ordine del giorno l’obiettivo del futuro ingresso della Finlandia nell’Alleanza Atlantica.
Il ruolo acquisito dal leader del Perus S è il frutto di quasi trent’anni di costante lavoro sui territori e nei media all’insegna di un’agenda di orientamento nazional-conservatore, anti-ambientalista ed “euroscettica” (il Finns Party è stato fondato nel 1995 a seguito della dissoluzione del Partito Rurale Finlandese).
I sovranisti al potere: Polonia e UngheriaOltre al nostro, due sono i Paesi attualmente governati da partiti sovranisti, la Polonia e l’Ungheria, divisi a livello geopolitico per l’atteggiamento diametralmente opposto nei confronti del ruolo della Russia e conseguentemente delle vicende della guerra in Ucraina (il primo è filo-Nato, il secondo filo-Putin).Il capo dello Stato polacco dal 2015, l’avvocato amministrativista Andrzej Duda, è come noto espressione diretta del movimento conservatore e anti-euro Diritto e Giustizia (PiS), fondato nel marzo del 2001 dai gemelli Jarosław e Lech Kaczyński (1949-2010) dall’unione di una parte dell’Azione Elettorale Solidarność con il partito Accordo di Centro. Nonostante l’ostracismo di quasi tutti i grandi media internazionali, Duda è stato riconfermato a presidente della Repubblica alle elezioni del luglio 2020, battendo il suo rivale Rafal Trzaskowski, leader di “Piattaforma Civica”, partito liberal e filo-Ue e filo-Lgbt, con un’apprezzabile percentuale del 51,21%.
Entrato in politica al fianco dell’ex Capo dello Stato Lech Kaczynski, il cofondatore di Diritto e Giustizia morto tragicamente nel 2010 nell’incidente aereo di Smolensk, il giovane studioso si è presentato agli elettori come l’uomo del futuro, capace di guidare la riscossa polacca e, per questo, ha saputo attrarre anche i ceti moderati.
La linea politica di Duda rimanda in effetti all’eredità del pensiero cristiano-sociale classico: aiuti economici per il sostegno della natalità e delle famiglie coniugate con figli, promozione della piccola e media impresa («piccolo è bello ed efficiente», è solito affermare), proibizione penale di aborto e fecondazione artificiale, costituzionalizzazione del matrimonio come unione fra un uomo e una donna, abbassamento dell’età pensionabile, protezione dell’agricoltura nazionale e, infine, incentivi alla casa al fine di favorirne la proprietà da parte di ogni cittadino polacco, compresi i meno abbienti.
Duda si è fatto molto apprezzare dalla Chiesa cattolica polacca per aver ridimensionato notevolmente la legislazione abortista paradossalmente introdotta nel suo Paese nel 1993, dopo la caduta cioè del regime comunista. La normativa da lui promossa e attualmente in vigore risulta la più restrittiva, insieme a quella maltese, fra tutte quelle esistenti fra i Paesi dell’Unione europea. Sono ormai trascorsi oltre due anni da quel 27 gennaio 2021, data in cui è entrata in vigore la fatidica sentenza del 22 ottobre 2020 del Tribunale costituzionale della Polonia che ha vietato l’aborto in quasi tutte le circostanze, con un impatto rilevante anche dal punto di vista della natalità.
Con quella sentenza la Consulta ha eliminato la “malformazione grave e irreversibile del feto o malattia incurabile che minacci la vita del feto” dalle cause legittime per abortire: cause che, prima della sentenza, riguardavano il 90 per cento delle circa 1000 interruzioni di gravidanza praticate ogni anno.
In pratica l’aborto è oggi permesso in Polonia solo in caso di rischio per la vita o la salute di una donna incinta o se la gravidanza sia stata causata da uno stupro.
Così come la Polonia, anche l’Ungheria del Primo ministro Viktor Orbán non gode di “buona reputazione” da parte degli euro-burocrati, nonostante Fidesz, il partito liberal-conservatore fondato nel 1988 ed al potere ininterrottamente dal 1998, sia stato per molti anni membro del Partito Popolare Europeo che, nel 2019, lo ha “sospeso” e, dal 2021, sia alla fine dovuto definitivamente uscire dal PPE approdando, come detto, nel gruppo dei “Non Iscritti” a Strasburgo.
L’opposizione nazionale al Governo Orbán, riunita in una coalizione di socialisti, verdi e liberali, è costantemente appoggiata dall’Ue e dai grandi media internazionali ma, nonostante ciò, anche alle ultime elezioni del 2022 ha deluso le aspettative non raggiungendo neanche il 35%. Ciò ha consentito alla maggioranza conservatrice, alleata con il KDNP (coalizione di movimenti di destra che ha al suo interno anche il Jobbik), di ottenere una maggioranza schiacciante di 135 seggi su 199 nel Parlamento ungherese.
Da quanto detto emerge chiaramente che, dalla possibile composizione delle divergenze in politica estera fra i due partiti-leader – oltre a Fratelli d’Italia – dello schieramento sovranista europeo, ovvero il PiS e Fidesz, conseguirebbe probabilmente anche la costituzione di un gruppo unico a Strasburgo e, con ciò, anche una più efficace unità di azione suscettibile di portare a realizzazione alcuni almeno dei punti politici e programmatici che, molto più delle differenze geopolitiche, consentirebbero il recupero della sovranità nazionale e della vera identità europea.
Un tale esito sarebbe strategico nella prospettiva delle prossime elezioni del Parlamento europeo, che si terranno nella primavera del 2024, anche alla luce del recente risultato delle consultazioni finlandesi, che hanno visto il partito sovranista Perus S di Riikka Purra balzare al secondo posto con il 20,1% dei voti e, al momento, accreditato a comporre la coalizione del nuovo Governo di centrodestra guidato dal Partito di Coalizione Nazionale (PCN).