Il Foglio 16 ottobre 2014
di Nicoletta Tiliacos
Roma. Perfino il feuilleton autobiografico di Valérie Trierweiler ha dovuto cedere il primato nelle classifiche dei libri d’oltralpe all’ultimo pamphlet di Eric Zemmour: ebreo francese di origine algerina, campione del politicamente scorretto, opinionista del Figaro e animatore di trasmissioni radiofoniche di leggendaria irriverenza (in Italia, Piemme ha pubblicato il suo “L’uomo maschio”, critica della società “femminilizzata”, dove essere maschi è un disvalore così come lo è essere francesi di nascita rispetto all’immigrazione islamica).
Uscito da una decina di giorni, “Le suicide français. Les 40 années qui ont défait la France” (Albin Michel, 544 pagine, 22,90 euro), viaggia al ritmo di cinquemila copie al giorno. In ottanta capitoletti, ognuno dedicato a un avvenimento significativo, piccolo o grande (l’uscita di un certo libro o di un film, così come l’approvazione di una legge o il Trattato di Maastricht) vi si ripercorrono gli anni dal 1970 al 2007. “E’ ora di decostruire i decostruzionisti”, dice Zemmour nell’introduzione. Vuole mostrare come l’epoca infelicissima attraversata dalla République (“République-Potemkin”, la definisce) sia dovuta alla vittoria, nei fatti e soprattutto nell’interpretazione dei fatti, delle istanze del Sessantotto.
Altro che “rivoluzione mancata”. A dettar legge da De Gaulle in poi, scrive Zemmour, è stato il “trittico: derisione, decostruzione, distruzione”, che ha minato “le fondamenta di tutte le strutture tradizionali: famiglia, nazione, lavoro, stato, scuola. L’universo mentale dei nostri contemporanei è diventato un campo di rovine. Il successo intellettuale delle scienze umane ha distrutto tutte le certezze. Come aveva previsto nel 1962 Claude Lévi-Strauss, ‘scopo ultimo delle scienze umane non è costruire l’uomo, ma dissolverlo’”.
Se è vero che la storia la scrivono i vincitori, afferma Zemmour, non ci dovrebbero essere dubbi sul fatto che in Francia la “rivoluzione mancata” ha stravinto. I rivoluzionari del Sessantotto non riuscirono a prendere il potere politico, ma quella disfatta solo apparente li ha salvati: “Lo stato fu salvato ma non la società” e anche se “il maggio del Sessantotto non è riuscito a rovesciare il regime, ha conquistato la Società a detrimento del Popolo”.
Scrive Zemmour: “La V Repubblica fu mantenuta, ma l’edificio era lesionato, minato dall’interno, reso un po’ alla volta inservibile (…) un’‘evoluzione delle mentalità’ condotta tambur battente ha svuotato a poco a poco della sua sostanza lo spirito della Repubblica gollista, nonostante siano rimaste intatte le apparenze istituzionali”. Oggi, aggiunge l’autore, la Francia è visibilmente “il malato d’Europa”, alle prese con il declino, con la perdita di competitività e di prestigio delle sue istituzioni militari e diplomatiche, afflitta dal degrado “della scuola, della cultura, della lingua, del paesaggio, della sua stessa cucina”.
Il luogo del delitto va dunque rintracciato nella storia di quei quasi quarant’anni che vanno dal 1970 al 2007, durante i quali si è consumata “una decostruzione gioiosa, sapiente e ostinata dei più piccoli ingranaggi che avevano edificato la Francia”. Quella narrata in ottanta voci dal polemista è dunque la “storia di uno spossessamento assoluto, di una disintegrazione inaudita; di una dissoluzione nelle ‘acque gelide’ dell’individualismo e dell’odio di sé”, spiegabile con quello che l’autore definisce la “nostra passione smodata per la rivoluzione, che ci ha accecati e sviati. Ci è stato inculcato che la Francia è nata nel 1789, mentre aveva già più di mille anni dietro di sé”.
E poi c’è stato un prima e un dopo ’68. Un prima demonizzato come “bianco, patriarcale e xenofobo” e un esaltato dopo di una “Francia multicolore, aperta sull’Europa e al mondo, liberata delle sue catene ancestrali”. Una Francia “di tutte le liberazioni, di tutte le insolenze, di tutte le minoranze”.
“Le suicide français” non risparmia né sinistra né destra. A quest’ultima, rimprovera la sudditanza intellettuale, produttrice di indifferenziazione, anche dal punto di vista economico ma soprattutto sociale, rispetto alla famiglia politica opposta. Da Pompidou in poi, anzi, sia sotto Giscard d’Estaing sia con Chirac, nessuna alternanza tra destra e sinistra ha segnato un cambio di rotta nella vague decostruzionista che, sempre per dirla con Zemmour, ha “disfatto la Francia”.
Dall’inizio degli anni Settanta in poi, il timore di essere denigrati e di apparire retrogradi e passatisti ha dissuaso dal mostrarsi critici verso quei cambiamenti “di società” che, del tutto minoritari, sono riusciti a spacciarsi per inevitabili. E’ per questa strada che si è arrivati in Francia al matrimonio gay e all’“Abcd de l’égalité” che contrabbanda la teoria del gender per “lotta agli stereotipi” nelle scuole, e anche alla “vittoria dell’internazionalismo sulle nazioni”. Ad aver capito tutto prima di altri, scrive ancora Zemmour, era stato Jean-François Revel. Nel suo celebre “Né Marx né Gesù”, ebbe l’intuizione di una rivoluzione degli individui che sarebbe nata nelle università americane e sarebbe passata per la “morte del padre. Di tutti i padri”. E’ per questo che Zemmour il libro lo ha dedicato al suo.
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I 40 ANNI CHE HANNO DISTRUTTO LA FRANCIA
Ėric Zemmour è un giornalista francese di orientamento conservatore che collaborato con il noto quotidiano parigino, Le Figaro. Due anni fa ha scritto un libro dal titolo “Il suicidio francese” venduto in 500.000 copie: in pratica, un francese su 30 l’ha acquistato. Una rapida interrogazione sui comuni motori di ricerca confermerà il clamore che ha fatto seguito all’uscita del libro e la notorietà dell’autore.
Le oltre 500 pagine del testo rievocano infatti in brevi capitoletti, per gli anni dal 1970 al 2008, episodi della vita francese emblematici di quel profondo mutamento culturale ed istituzionale che ha inesorabilmente demolito le strutture familiari e sociali della nazione.
Morto nel 1970 il generale Charles de Gaulle, i suoi successori –secondo Zemmour- ne hanno infatti velocemente liquidato l’eredità rinunciando alla difesa dello Stato, della famiglia e del tessuto sociale della Francia cedendo costantemente alla pressione mediatica e politica dapprima social-comunista quindi femminista, gay, ecologista ed infine, islamica.
Risalta nel libro la loro totale incapacità di resistere a tutti i falsi miti culturali del progressismo: dall’europeismo, al pacifismo, al multi-culturalismo ecc. Se talvolta questo è dipeso da una sorta di complesso di inferiorità nei confronti delle mode culturali della sinistra, molto spesso è apparso chiaramente essi stessi ne erano imbevuti. Anche quando al potere sono stati i cosidetti conservatori (Giscard d’Estaing, Chirac, Sarkozy), la prassi costante è stata quella di mascherare con buonismo, solidarismo ed altro di simile i loro costanti cedimenti.
Nel libro di Zemmour, passano così in rassegna, con stile giornalistico, episodi dimenticati, di più d’uno dei quali però si è avuta a suo tempo l’eco anche in Italia. Emergono dunque, in modo perfino inquietante, il sistematico linciaggio mediatico di chi ha provato ad opporsi in qualche modo alle nuove mode, il pronto aiuto del parlamento e di molta magistratura ad ogni atteggiamento ed episodio trasgressivo ed invece la ferma repressione di ogni opposizione.
Per farsi comunque una rapida di questo clima, basterà ricordare come lo stesso Zemmour, lo scorso anno, è stato condannato da un tribunale francese per aver rilasciato, al Corriere della sera (dunque, per un francese, all’estero), un’intervista dove comparivano alcune frasi ritenute incitanti all’odio razziale: i musulmani “hanno il loro codice civile, è il Corano”, “vivono tra di loro, nelle banlieue. I Francesi sono obbligati ad andarsene”, “penso che ci stiamo dirigendo verso il caos. Questa situazione di popolo nel popolo, dei musulmani nel popolo francese, ci porterà alla guerra civile”, “milioni di persone vivono qui in Francia, ma non vogliono vivere alla francese”: anche la semplice verità dunque è messa al bando.
Il libro, uscito nel 2014, compare oggi in edizione italiana (ED – Enrico Damiani Editore 2016, 520 p., €.19,00). Riproduciamo nell’allegato anche una presentazione dell’edizione francese comparsa sul Foglio del 16 ottobre 2014. È perfino superfluo aggiungere che, salvo le necessarie variazioni di persone ed avvenimenti, la vicenda narrata nel libro di Zemmour, ricorda fin troppo la storia del nostro paese: da qui un ulteriore motivo di interesse.