La famiglia anagrafica non può essere tramutata, da istituto strumentale alla raccolta, sistematica dei dati sulle persone residenti, a vero e proprio modello di organizzazione sociale equipollente alla famiglia fondata sul matrimonio L’avvocato Giovanni Artini spiega le motivazioni con le quali il Tribunale amministrativo ha annullato la procedura di registrazione delle unioni di fatto proposta dal comune di Padova «con una forte carica ideologica» I municipi hanno competenza sull’anagrafe, ma non possono trarre in inganno i cittadini proponendo una impropria equiparazione tra convivenze e matrimoni
di Ilaria Nava
Che cosa aveva predisposto il Comune di Padova?
Il Consiglio Comunale di Padova aveva deciso di rilasciare, attraverso l’ufficio anagrafe, l’ “Attestazione di famiglia anagrafica basata su vincoli di matrimonio o parentela o affinità o adozioni o tutela o vincoli affettivi”, conferendo a questi documenti valore di pubblica attestazione di famiglia. Inoltre ha sollecitalo il Parlamento affinché affrontasse il tema delle unioni di fatto. Da qui il Tar Veneto, nella sentenza, ha ritenuto che vi tosse «sussistenza», al riguardo, di una «forte carica ideologica», da parte del Comune.
Quali sono i riferimenti giuridici su cui si basa il ricorso?
E’ stata chiesta in primo luogo la dichiarazione di nullità ritenendo che l’Amministrazione comunale non avesse alcun potere di emanare provvedimenti in materia d’anagrafe, vista la competenza legislativa dello Stato in questa materia, espressamente prevista dall’articolo 117 della Costituzione. Inoltre, in via subordinata, si è chiesto l’annullamento dei provvedimenti e dei moduli comunali perché ritenuti comunque illegittimi.
Il Tar che cosa ha deciso?
I giudici hanno ritenuto che la nullità, per incompetenza assoluta del Comune non potesse trovare accoglimento. Infatti il ricorso è stato accolto solo in parte, perché nella sentenza è stato sostenuto che l’Amministrazione comunale possiede comunque «indubbi spazi di discrezionalità» lasciati liberi dalla legge.
Tuttavia i Giudici amministrativi hanno comunque deriso di annullare i moduli predisposti dal Comune di Padova, con i quali l’Amministrazione comunale ha evidentemente tentato di dare un rilievo pubblicistico alle varie forme di convivenza, “giocando” anche sull’utilizzo improprio della locuzione “famiglia anagrafica”, che in realtà è già prevista dall’ordinamento ma solo per scopi statistici, ossia al fine di raccogliere e schedare la popolazione residente nel territorio comunale
Il Tar ha così riconosciuto che la modulistica in questione, «per effetto di ben evidenti errori ed omissioni in essa presenti e presumibilmente compiuti in intenzionalità, induce in effetti i terzi in quell’equivoco» sul quale ho fondato il ricorso, ossia «la confusione tra famiglia nucleare e famiglia anagrafica fondata su vincoli affettivi».
La sentenza stabilisce che il sindaco «dovrà pertanto sollecitamente eliminare le difformità della modulistica in esame rispetto all’ordinamento vigente». Difformità e correzioni, queste, che sono state puntualmente descritte e indicate in ben quattro pagine della sentenza.
Quali sono i principi fondamentali della pronuncia?
Il Tar ha, in maniera innovativa, riconosciuto «un interesse anche soltanto morale» del ricorrente a che la famiglia anagrafica, non importa se a connotazione etero o omosessuale, non si tramuti, da istituto essenzialmente strumentale alla raccolta sistematica delle persone che hanno fissato nel Comune la propria residenza, a vero e proprio «modello di organizzazione sociale equipollente alla famiglia fondata sul matrimonio».
Conseguentemente è stato riconosciuto un interesse oppositivo a qualsiasi ipotesi di omologazione anche solo documentale, tra la famiglia nucleare e quella anagrafica fondata sulla mera dichiarazione della sussistenza di vincoli affettivi comunque diversi dal matrimonio, dalla parentela, o dall’affinità, nonché dai vincoli discendenti dall’adozione e dalla tutela.
Secondo il Tar su cosa si basa questa differenza fondamentale?
La sentenza si sofferma a puntualizzare la macroscopica e insuperabile differenza tra la «famiglia anagrafica» – che è un istituto giuridico esclusivamente finalizzato alla «raccolta sistematica dell’insieme delle posizioni» e che «risulta ben più elastica nella sua costituzione e dissoluzione, e che può essere formata anche da un’unica persona – e quella che il Tar chiama famiglia “nucleare” o “ovile”, ossia la famiglia tradizionale vera e propria, composta da persone unite in matrimonio con effetti civili riconosciuti, che risulta presupposta e tutelata nel nostro ordinamento interno dagli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione dagli articoli 144 e 146 del codice civile e dall’articolo 570 del codice penale, oltre che dalle norme dei diritto internazionale generalmente riconosciute, come l’articolo 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e l’articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
Infine, secondo i giudici amministrativi, resta comunque ancora imprescindibile punto fermo di ogni società umana la famiglia fondata sul matrimonio a tutt’oggi definibile, come i romani già dicevano «coniuncto mari et feminae, et consortium omnis vtiae, divini et umani iuris communicatio». Su quest’ultimo punto – che condivido in toto – ogni aggiunta mi sembra pleonastica.
Questa pronuncia come potrebbe incidere nell’attuale dibattito sui Dico e Cus?
Il mio auspicio è che possa contribuire a mettere in luce, facendo ancora una volta chiarezza, la radicale distinzione che esiste, e che deve esistere – anche perché riconosciuta e garantita costituzionalmente – tra fa vera famiglia, quella tradizionale, fondata sul matrimonio, e le altre forme di convivenza: sicché, proprio in applicazione del fondamentale principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione non vangano trattate in modo uguale o comunque simile, situazioni che di fatto sono essenzialmente diverse. Infatti l’uguaglianza è violata non solo quando si discrimina ingiustamente situazioni eguali, ma anche allorquando si equiparano indebitamente due situazioni che sono diseguali.
La decisione ha qualche valore per gli altri comuni che hanno emanato delibere analoghe?
La decisione spiega i suoi effetti solo ed esclusivamente nei confronti del Comune di Padova, ma potrebbe essere un utile riferimento come prezioso “precedente” affinché i singoli Comuni che avevano intenzione di provvedere analogamente, non provvedano in ordine sparso ognuno per conto proprio istituendo delle vere e proprie anagrafi “parallele” onde evitare non solo di creare il rischio di una gran confusione in questa delicata materia, ma anche il rischio, ben più sentito dai funzionari pubblici, dell’applicazione delle sanzioni previste dal cosiddetto nuovo codice della privacy e della conseguente assunzione di una responsabilità per danno erariale