Dal Blog di Aldo Maria Valli 26 Agosto 2019
Aldo Maria Valli
L’Instrumentum laboris del prossimo sinodo dei vescovi dedicato all’Amazzonia si sforza di dipingere quella regione come una sorta di paradiso in terra messo in pericolo dai cattivi capitalisti occidentali, un luogo idilliaco dalla cui cultura dovremmo prendere tutti esempio, specie per quanto riguarda il rapporto tra l’uomo e l’ambiente naturale.
Ma la realtà è molto diversa. In Amazzonia quella che domina è, sotto molti aspetti, una vera e propria “cultura di morte” scrive Kathy Clubb su The Freedoms Project. Basti pensare che “infanticidio e suicidio sono stati tradizionalmente parte della cultura in molte parti della regione amazzonica” e che la visione magica della realtà è alla base di molti comportamenti crudeli.
Ma allora perché il documento di lavoro per il Sinodo pan-amazzonico di ottobre suggerisce che la Chiesa cattolica dovrebbe prendere “un volto amazzonico?”.
Secondo una visione diffusa, afferma Kathy Clubb, le minacce alla vita per i popoli amazzonici arriverebbero esclusivamente dal moderno colonialismo occidentale, accusato di favorire l’aumento degli aborti, la violenza familiare e il consumo di droga nella zona. Ma questa visione è quanto meno parziale.
“È difficile procurarsi il numero preciso di infanticidi commessi nella regione amazzonica, poiché molti casi non vengono segnalati e gli sforzi per combattere il fenomeno sono ostacolati da una teoria politica che identifica tutti gli interventi esterni come imperialisti, colonialisti o patriarcali”.
“I relativisti culturali sostengono che le popolazioni indigene dovrebbero essere protette da ogni azione penale per aver messo in atto pratiche culturali come l’infanticidio e l’eutanasia, e aggrottano le sopracciglia di fronte a ogni tentativo di scoprire quanti bambini e adulti vengono uccisi. Tali attivisti affermano che la raccolta di dati è in molti casi un tentativo di incriminare ed esprimere pregiudizio contro le popolazioni indigene ed è quindi una nuova forma di colonialismo”.
Ma tutto ciò non toglie che secondo alcune stime, riferite all’Amazzonia brasiliana, almeno una ventina di gruppi tribali praticano ancora l’infanticidio, con circa cento bambini uccisi ogni anno.
“Storicamente l’infanticidio è stato tollerato per diversi motivi: come mezzo per liberare le comunità tribali, che vivevano in condizioni molto dure, dall’onere di prendersi cura dei membri più deboli o garantire che le madri fossero in grado di occuparsi adeguatamente dei loro bambini nati. Quindi gemelli, bambini disabili o malati sono stati uccisi (e vengono ancora uccisi) dopo la nascita. E se una madre muore di parto, quasi sicuramente suo figlio verrà ucciso”.
“La superstizione ha un ruolo in queste culture, e anche nell’America Latina contemporanea. I bambini albini per esempio sono considerati malvagi e vengono uccisi una volta scoperta la loro condizione”.
“I bambini nati da madri non sposate di solito vengono uccisi ed è considerato accettabile uccidere un bambino di un genere indesiderato, in particolare le femmine, poiché la preferenza è per i maschi”.
E si è a conoscenza di “una tribù che ammette l’infanticidio una volta che sono nati quattro fratelli dello stesso genere, indipendentemente dalo loro sesso”.
Le donne Yanomámi hanno piena autonomia nel decidere se i loro figli debbano vivere o meno. “La madre si ritira nella foresta per partorire e se non accoglie il bambino tra le sue braccia è come se il bambino non fosse mai nato”.
Si racconta anche di genitori che si suicidano pur di non vedersi costretti a uccidere i propri figli considerati non accettabili a causa di malattie e malformazioni o per altri motivi legati alla superstizione. Da noi, osserva Kathy Clubb, tutte queste circostanze vengono abitualmente giustificate dagli stessi esponenti del relativismo che chiedono la libertà di aborto.
Un docente brasiliano è arrivato a sostenere che un bambino indigeno, quando nasce, non è ancora una persona ma lo diventerà soltanto al termine di un lungo percorso, per cui nel caso di neonati non accettati non si può parlare di omicidio perché è come se non fossero mai nati.
Anche la cultura del suicidio mostra inquietanti analogie con le idee dei relativisti nostrani. In alcune tribù amazzoniche si sostiene che l’esistenza umana ha senso se il suo scopo è il suicidio, considerato il più alto di tutti i valori e una via che conduce al paradiso.
“In base a questa comprensione della vita umana aspettare di invecchiare non è sinonimo di saggezza. Per questo motivo in tale cultura gli anziani non hanno lo status di venerabili saggi, come avviene in altre popolazioni indigene. Qui sono chiamati hosa, una parola che significa inutile o peso. Ecco perché molti tentano il suicidio e i bambini imparano fin da piccoli a vivere con la possibilità di suicidarsi”.
“Nei loro giochi, bambini e bambine mimano come moriranno e come sarà il loro rito funebre. Sanno tutti come usare il timbó, una specie di liana che contiene un veleno mortale. Usarlo è un atto di coraggio. Per questa ragione i genitori vivono con la convinzione che un giorno i loro figli potranno assumere il veleno”.
“Uno dei costumi più scioccanti che si trovano in Amazzonia è poi il cannibalismo rituale”, documentato nelle tribù Yanomami e Wari. “In un funerale rituale collettivo e sacro i parenti cremano il cadavere del morto e mangiano le ceneri delle ossa, mescolandole con la pasta pijiguao, prodotta con il frutto di una specie di palma”.
Quelle tribù “credono infatti che l’energia vitale del defunto risieda nelle ossa e venga così reintegrata nel gruppo familiare. Uno Yanomami che uccide un avversario nel territorio nemico pratica questa forma di cannibalismo per purificarsi”.
“È interessante notare che Paul Erlich, autore del libro The Population Bomb e uno dei maggiori sostenitori del controllo della popolazione, ha scritto nel 2014 che ‘la sovrappopolazione e la scarsità di risorse alla fine porteranno gli umani affamati al cannibalismo’. E occorre ricordare che Erlich è stato ospite alla Pontificia accademia delle scienze del Vaticano in una conferenza del 2017 sull’estinzione biologica, con grande dispiacere da parte di fedeli cattolici di tutto il mondo”.
Nell’Instrumentum laboris si sostiene che i mali sociali, come la violenza contro le donne e l’uso della droga, sono conseguenze del capitalismo e dell’industria estrattiva, ma si dimentica che “la violenza contro le donne fa parte della cultura tribale di molte di queste comunità e l’uso di droghe nei rituali di guarigione spirituale è un fatto comune”.
L’Instrumentum laboris suggerisce che “riti e cerimonie indigeni sono essenziali per la salute integrale perché integrano i diversi cicli della vita e della natura umana, creano armonia ed equilibrio tra esseri umani e natura, proteggono la vita dai mali che possono essere causati sia dagli esseri umani sia da altri esseri viventi”, ma in realtà gli allucinogeni sono impiegati nell’ambito di una visione magica della realtà umana e naturale, per cui si ricorre alla droga, per esempio, quando si tratta di prendere decisioni importanti, risolvere conflitti tra famiglie e comunità, esercitare le proprie capacità divine, chiarire misteri, trovare i responsabili di furti e sparizioni, scoprire se le persone hanno nemici o se il coniuge è sleale o infedele.
E anche sotto questo aspetto colpisce l’analogia con certi comportamenti adottati nel ricco Occidente “progredito” da chi, avendo perso ogni punto di riferimento morale, fa ricorso alla magia e all’occulto.
“Quindi, lungi dall’essere una semplice questione di integrazione della fitoterapia tradizionale nella sanità contemporanea, è ovvio che in gran parte della medicina popolare dell’Amazzonia è impossibile separarsi dai riti pagani e persino dal coinvolgere la divinazione e la stregoneria. Se combinato con l’uso di allucinogeni, tutto ciò diventa pericoloso, perché comporta rischi per la salute fisica e spirituale dei pazienti. Tuttavia, anziché mettere in guardia dal pericolo, l’Instrumentum laboris raccomanda di emulare queste famiglie tribali, dove ‘… si impara a vivere in armonia: tra popoli, tra generazioni, con la natura, nel dialogo con gli spiriti’ “.
“Se parliamo dei mali sociali dell’Amazzonia è ovvio che ci sono ingiustizie perpetrate contro i nativi, specialmente da parte di chi vuole appropriarsi delle loro terre a scopo di sfruttamento, ma è scorretto sostenere, come fa l’Instrumentum laboris, che l’influenza cristiana e occidentale ha prodotto solo cattivi frutti e che la cultura occidentale dovrebbe conformarsi maggiormente al modello pagano”.
La realtà è che solo grazie al lavori dei missionari è stato possibile limitare gli effetti di una cultura di morte che dominava incontrastata.
“Si potrebbe sostenere che l’uccisione di bambini, l’omicidio, il suicidio e così via si trovano solo tra una manciata di tribù nella regione amazzonica, e numericamente questo è vero, ovviamente. Ma il problema risiede nella filosofia impiegata da questi popoli per giustificare le loro azioni e nel fatto che l’Instrumentum laboris esorta i cattolici ad adottare quelle filosofie.
Quindi, mentre il sacrificio umano è stato praticato nella zona per centinaia di anni, a vari livelli, il problema ora è che i missionari cattolici sono dissuasi dal condannare quelle pratiche e dall’impegnarsi nella guerra spirituale che assicurerebbe il loro successo.
In effetti, l’Instrumentum laboris consiglia ai cattolici di adottare una forma di spiritualità diametralmente opposta al messaggio evangelico di salvezza attraverso Gesù Cristo”.
L’Instrumentum laboris, “letto nel contesto dell’intero documento, con il suo orizzontalismo di ispirazione marxista, il rifiuto del capitalismo, la richiesta di energia rinnovabile, la dipendenza dalla comunicazione con gli spiriti della natura, la chiara denuncia della dottrina oggettiva”, suscita preoccupazioni sotto innumerevoli profili, ma c’è un fattore che appare particolarmente inquietante: “L’influsso che l’amministrazione papale subisce da parte dell’élite globale e della sua agenda di controllo della popolazione”.
Se da un lato “c’è il sospetto che il sinodo sia un veicolo per arrivare ai sacerdoti sposati e alle diaconesse”, dall’altro ci si chiede: è possibile che “questo incontro diventerà anche un veicolo per un cambiamento nell’insegnamento della Chiesa sull’aborto, l’infanticidio e l’eutanasia?”.
Qualcuno potrebbe ritenere azzardata e allarmistica una simile domanda. Ma certe analogie, neanche troppo sotterranee, tra la cultura amazzonica e le idee sostenute dai paladini del controllo delle nascite e dell’eutanasia legittimano, quanto meno, qualche sospetto.