Da Dawkins a Dennett, da Harris a Hitchens, cresce l’ondata di studiosi che intendono distruggere il fenomeno religioso. Ma anche le più recenti scoperte scientifiche non contraddicono l’ipotesi della trascendenza. E con tutta evidenza il sacro ritorna
di Roger Scruton
Richard Dawkins è l’esempio vivente più influente di questa tradizione, e il suo messaggio, echeggiato da Dan Dennett, Sam Harris e Christopher Hitchens, suona forte e chiaro nei media odierni come fece il messaggio di Lutero nelle chiese riformate di Germania. La violenza delle diatribe scaturite da questi atei evangelical è notevole.
Dopo tutto, l’Illuminismo si è verificato tre secoli fa; gli argomenti di Hume, Kant e Voltaire sono stati assorbiti da ogni persona beneducata. Ma cosa si può dire di più? E se lo si deve dire, perché dirlo in maniera cosi eclatante? Del resto non è forse vero che coloro che si oppongono alla religione in nome della gentilezza hanno il dovere di essere gentili, anche nei confronti – anzi, specialmente – dei loro avversari?
Ci sono due ragioni per le quali le persone iniziano a gridare contro i propri avversari: o quando pensano che il loro avversario sia talmente forte che bisogna usare contro di lui qualsiasi arma o quando ritengono che la propria argomentazione sia così debole che deve essere rafforzata dal rumore. Entrambi questi modi di procedere possono essere osservati negli atei evangelical.
Essi credono seriamente che la religione sia un pericolo e che porti la gente a eccessi di entusiasmi nei confronti dei quali, appunto perché questi ultimi sono ispirati da credenze irrazionali, non si può opporre un argomento razionale.
Di tutto questo abbiamo una montagna di prove dagli islamisti; ma questa prova, ci dicono gli atei, è solo l’ultima in una lunga storia di massacri e supplizi che – in una prospettiva scientifica – potrebbe essere ragionevolmente chiamata la preistoria del genere umano. L’Illuminismo prometteva dì inaugurare una nuova era in cui la ragione sarebbe stata sovrana con la consegna di uno strumento di pace che tutti potevano usare.
Agli occhi degli atei evangelical, comunque, questa promessa non si è realizzata. Secondo il loro modo di vedere le cose, né l’ebraismo né il cristianesimo hanno assorbito l’Illuminismo, anche se, in una certa maniera, lo hanno ispirato.
Tutte le fedi, per gli atei, sono rimaste nelle condizioni dell’islam attuale: radicato in una serie di dogmi che non si possono mettere in dubbio, pena la propria incolumità. Credendo tutto questo, schiumano di rabbia contro i normali credenti, inclusi quei credenti che sono arrivati alla religione nella loro ricerca dì uno strumento di pace, e che guardano alla loro fede come un’esortazione ad amare il prossimo, anche il loro prossimo ateo e avversario, come amano se stessi.
Le domande della religione e le risposte della scienza
Allo stesso modo gli atei stanno reagendo alla debolezza della loro argomentazione. Dawkins e Hitchens sono inamovibili nel dire che il panorama scientifico ha completamente scalzato le premesse della religione e che solo l’ignoranza può spiegare la persistenza della fede. Ma che cosa ci dice esattamente la scienza moderna, e dove essa contrasta con le premesse del credere religioso?
Secondo Dawkins (e qui Hitchens lo segue), gli esseri umani sono «macchine di sopravvivenza» a servizio dei loro geni. Noi, per così dire, siamo dei sottoprodotti di un processo che è completamente disinteressato rispetto al nostro benessere, siamo macchine sviluppate dal nostro materiale genetico in modo da promuovere il suo obiettivo.
Gli stessi geni sono molecole complesse, messe insieme secondo le leggi della chimica da parte di una materia che è stata prodotta da un brodo primordiale che un tempo bolliva sulla superficie del nostro pianeta.
Non è noto in che modo tale brodo sia arrivato lì: forse alcune scariche elettriche hanno permesso che atomi di azoto, idrogeno e carbone si legassero insieme in catene adeguate fino a quando una di essa raggiunse il notevole risultato di codificare le istruzioni per la sua propria riproduzione. La scienza un giorno potrebbe essere capace di rispondere alla domanda di come tutto ciò sia avvenuto. Ma è la scienza, non la religione che darà una risposta.
Sarà sempre spiegata dalla scienza (più dall’astrofisica che dalla biologia) anche l’esistenza di un pianeta in cui gli elementi abbondano nelle quantità osservate sul pianeta Terra. L’esistenza della Terra è parte di un grande processo che si va schiudendo, che sarebbe o non sarebbe potuto iniziare con un Big Bang, e che contiene molti misteri che i fisici esplorano con uno stupore sempre crescente.
L’astrofisica ha posto tanti interrogativi quanti è riuscita a risolverne. Ma questi sono interrogativi scientifici, che devono essere risolti scoprendo le leggi del moto che governano i cambiamenti osservabili a ogni livello del mondo fisico, dalla galassia alla supernova, dai buchi neri al quark.
E’ il mistero con cui ci confrontiamo quando guardiamo in alto verso la Via Lattea, sapendo che la miriade di stelle responsabile di quella striscia di luce sono solo stelle di una singola galassia, quella che ci contiene, e che oltre i suoi confini una miriade di altre galassie girano lentamente nello spazio, alcune che si stanno spegnendo, altre che stanno emergendo, tutte comunque sempre a noi inaccessibili: ecco, questo mistero non chiede una risposta religiosa. Tale mistero scaturisce dalla nostra conoscenza parziale e può essere risolto solo da una conoscenza ulteriore dello stesso tipo: quella conoscenza che noi chiamiamo scienza.
Solo l’ignoranza potrebbe spingerci a negare questa fotografia generale, e gli atei evangelical affermano che la religione è obbligata a negare questa fotografia e perciò deve, in qualche misura, dedicarsi a diffondere l’ignoranza o prevenire in qualsiasi modo la conoscenza. Però tra i miei amici e conoscenti io non conosco una persona religiosa che nega questa fotografia, o che la considera come qualcosa che pone la più minima difficoltà alla sua fede. Dawkins scrive come se la teoria del gene egoista eliminasse una volta per tutte l’idea di un Dio creatore – come se non avessimo più bisogno di tale ipotesi per spiegare come siamo giunti all’esistenza.
In un certo senso, questo è vero. E riguardo al gene stesso: come è arrivato a esistere? E il brodo primordiale? Tutti questi interrogativi hanno di certo una risposta se si va un gradino più indietro nella catena delle cause. Ma a ogni gradino incontriamo un mondo con una qualità singolare: cioè, si tratta di un mondo che, lasciato a se stesso, produrrà esseri coscienti, capaci di cercare la ragione e il significato delle cose, e non solo la causa.
Ciò che stupisce del nostro universo – che esso contenga la consapevolezza, il giudizio, la conoscenza di cosa è giusto e cosa sbagliato, e tutto quello che rende la condizione umana così singolare – non è reso meno stupefacente dall’ipotesi che questo stato di cose sia emerso lungo il tempo da altre condizioni. Se ciò è vero, tutto questo dimostra solo quanto erano stupefacenti queste altre condizioni. Il gene e il brodo primordiale non possono essere meno stupefacenti del loro prodotto.
Inoltre, queste cose potrebbero smettere di stupirci – o piuttosto, potrebbero cadere nell’alveo delle cose comprensibili – se potessimo trovare un modo per purificarle dalla contingenza. Ciò è quanto la religione promette: non necessariamente una proposta, ma qualcosa che rimuove il paradosso di un mondo interamente governato da una legge, aperto alla consapevolezza, che tuttavia è priva di una spiegazione: tutto qui, per nessuna ragione.
Gli atei evangelical sono consapevoli che la loro abdicazione di fronte alla scienza non rende l’universo più intellegibile né offre una risposta alternativa alle nostre indagini metafisiche. Essa semplicemente conduce l’indagine a uno stop. E la persona religiosa sente che questo stop è prematuro e che la ragione ha altri interrogativi da porre, e forse più risposte da ottenere di quante gli atei ci permetteranno di avere. Chi dunque, in un contesto simile, è veramente ragionevole?
L’ateo pone la domanda a proprio vantaggio, partendo dal presupposto che la scienza ha tutte le risposte. Ma la scienza può avere tutte le risposte solo se ha tutte le domande; e questo assunto è falso. Ci sono domande rivolte alla ragione che non vengono rivolte alla scienza, se non si chiede una spiegazione causale.
Consapevolezza e mistero
Una di queste è la questione della consapevolezza. Questo strano universo fatto di buchi neri e curvature del tempo, di eventi orizzontali e di non luoghi, in qualche modo diventa consapevole di se stesso. Ed esso diventa consapevole di se stesso in noi. Questo fatto condiziona la reale struttura della scienza. Il rifiuto dello spazio assoluto di Newton, l’adozione dell’idea di continuum tra spazio e tempo, le equazioni quantiche – tutto questo costituisce una premessa rispetto alla verità che le leggi scientifiche sono strumenti per prevedere un insieme di osservazioni da un altro insieme dello stesso tipo.
L’universo che la scienza descrive dipende dal punto di osservazione da cui ci si pone. Secondo la teoria dei quanti, alcune delle caratteristiche più basilari dell’universo diventano determinate solo al momento dell’osservazione. Il grande arazzo di onde e particelle, di campi e di forze, di materia e di energia, viene immobilizzato solo ai bordi, dove gli eventi vengono cristallizzati nel pensiero che opera l’osservazione.
La consapevolezza ci è più famigliare di altre caratteristiche del nostro mondo dal momento che è la strada attraverso la quale ogni cosa diventa familiare. Ma questo è ciò che rende la consapevolezza così difficile da definire con precisione. Cercatela dove volete, incontrerete solo i suoi oggetti: un volto, un sogno, una memoria, un colore, un dolore, una melodia, un problema, ma in nessun posto troverete la consapevolezza che risplende su queste cose.
Cercare di ottenerla è come cercare di osservare la propria osservazione, come se guardaste con i vostri occhi quegli stessi occhi senza usare uno specchio. Perciò non sorprende che il pensiero della consapevolezza susciti peculiari ansie metafisiche, che cerchiamo di placare con le immagini del suono, del pensiero, del sé, del «soggetto della consapevolezza», l’entità più interiore che pensa e vede e sente, e che è il vero io inferiore.
Ma queste «soluzioni» tradizionali raddoppiano solo il problema. Non illuminiamo la consapevolezza di un essere umano semplicemente ridescrivendola come la consapevolezza di un omuncolo interiore, sia esso un’anima, un pensiero o un sé. Al contrario, ponendo questo omuncolo in un territorio privato, inaccessibile e possibilmente immateriale, semplicemente rendiamo più oscuro il mistero.
È questo mistero che riconduce le persone alla religione. Esse possono non avere una chiara concezione della scienza, né un’attitudine alla teologia o nessuna conoscenza degli argomenti che, lungo le epoche, hanno persuaso la gente che l’esistenza della contingenza debba essere supportata da un «essere necessario». Le sottigliezze delle scuole medioevali, nella loro maggior parte, hanno poco a che fare con il pensiero dei credenti di oggi.
La gente moderna è attratta verso la religione dalla propria “consapevolezza di essere consapevoli”, dal prendere coscienza che una luce risplende al centro del loro essere. E, come Kant ha brillantemente dimostrato, la persona che familiarizza con il sé, che si riferisce a se stesso come un «Io», viene inevitabilmente intrappolata nella libertà. Essa si innalza sopra il vento della contingenza che soffia nel mondo naturale e viene tenuta in alto dalle leggi necessarie della Ragione.
L’«Io» definisce il punto di partenza di ogni ragionamento pratico e contiene un annuncio di quella cosa che distingue le persone dal resto della natura, ovvero la loro libertà. In un certo senso si può anche dire che gli animali spesso sono liberi nelle loro azioni, ma non sono responsabili di quello che fanno. Non si richiede loro di giustificare il loro comportamento, né vengono persuasi o dissuasi dal dialogo con gli altri.
Tutti quegli obiettivi, come la giustizia, la comunità e l’amore, che rendono la vita umana qualcosa che possiede un valore intrinseco, hanno la loro origine nella reciproca responsabilità delle persone, che rispondono le une alle altre con un «Io» a un «Io». Perciò, non sorprende quando esse possono vedere tutto ciò in una forma esterna di un altro «Io», l’«Io» di Dio, nel quale noi tutti siamo giudicati e dal quale scaturiscono l’amore e la libertà.
Questo pensiero può riversarsi anche in versi poetici, come nel «Veni Creator Spiritus» della Chiesa cattolica, o nelle parole rapsodiche di Krishna nel Baghavad Gita, oppure nei grandi salmi che sono la gloria della Bibbia ebraica. Ma per la maggior parte delle persone tutto questo è semplicemente qui, come una densa pepita di significato al centro delle loro vite, che pesa in maniera forte quando non trovano un modo per esprimerlo in una forma comune.
La gente continua a cercare un posto dove poter stare, per così dire, alla finestra di questo nostro mondo empirico e fissare lo sguardo verso il trascendente; un posto da cui i venti di altre sfere aleggino su di loro. Non troppo tempo fa Dio era presente. Potevate aprire una porta e trovarcelo davanti, e unirvi a coloro che cantavano e pregavano alla sua presenza. Oggi Egli, così come noi, non ha una fissa dimora. Ma da questa esperienza sta nascendo un nuovo tipo di consapevolezza religiosa: rivolgere l’occhio interiore verso il trascendente e un’invocazione costante che «noi non conosciamo».
La sfiducia verso la religione organizzata perciò va di pari passo con il lutto per la sua perdita. Veniamo turbati dagli atei evangelical che sono fermi vicino alla bara in cui immaginano giaccia l’immagine di Dio e ci dicono di seppellirla velocemente prima che inizi a puzzare. Questi personaggi hanno un’aria violenta e scomposta: è chiaro che nelle loro esistenze qualcosa manca, qualcosa che porterebbe ordine e completezza invece di un disordinato disgusto. E noi siamo incerti su come rispondere loro.
Da nessuna parte nel nostro mondo c’è una porta che possiamo aprire in modo da stare di nuovo di fronte a Dio. Ma gli esseri umani hanno un bisogno innato di concettualizzare il loro mondo secondo la categoria del trascendente e di vivere la distinzione tra il sacro e il profano. Questo bisogno è radicato nell’auto-consapevolezza e in quelle esperienze che ci ricordano il fatto che, in qualità di membri, condividiamo il destino importante del «Regno dei Fini» di Kant.
Queste esperienze sono la radice dell’umano in opposizione alla semplice società animale, e noi dobbiamo riaffermarle, in modo da possederle in maniera auto-consapevole se vogliamo un rapporto facile con il nostro pensiero. Le religioni soddisfano questo bisogno. Esse provvedono il rafforzamento sociale e la struttura teologica che tiene in piedi i concetti del trascendente e del sacro. L’insicurezza e il disordine delle società occidentali provengono dalla tensione in cui le persone vengono mantenute quando non possono collegare la loro coscienza interiore del trascendente alle forme esterne della religione rituale.
La gente si è allontanata dalla religione organizzata così come ha abbandonato qualsiasi altra organizzazione. Ma gli atei che danzano vicino alla bara delle vecchie religioni non convinceranno mai le persone a vivere come se ciò che c’è dentro il feretro sia qualcosa di morto. Dio è volato via, ma non è morto. Sta aspettando il momento buono, sta attendendo che Gli facciamo posto. Così, almeno, leggo il crescente fervore verso la religione e la nostalgia per quello che abbiamo perso, quando le assemblee religiose chiudono le Bibbie e i libri degli inni sacri, si sciolgono in diversi gruppi e vanno a casa in silenzio
(traduzione di Lorenzo Fazzini)
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Roger Scruton, filosofo, insegna all’Istitute for the Psychological Sciences della Virginia. Tra i suoi libri: Guida filosofica per tipi intelligenti (1997), La filosofia moderna (1998) e Manifesto dei conservatori (2007). Presso l’editrice Vita e Pensiero ha pubblicato L’Occidente e gli altri. Lo globalizzazione: e la minaccia terroristica (2004) e La cultura conta. Fede e sentimento in un mondo sotto assedio (2008).