a cura di Luigi Negri
Questi tre fenomeni sono in correlazione. Essi si condizionano e si completano vicendevolmente. Il loro complesso rappresenta qualche cosa di definitivo, al di là del quale non si può andare. Non ha bisogno di alcun fondamento estraneo a sé, né tollera alcuna norma sopra di sé». L’uomo dunque basta a se stesso. La natura intesa come universo o insieme degli elementi che costituiscono la struttura materiale della realtà, la personalità intesa come l’io che vive, la cultura intesa come il tentativo dell’uomo di comprendere se stesso e la realtà, non sono più un ponte lanciato verso il mistero, verso Dio, ma sono autosufficienti.
L’uomo non ha più il bisogno fondamentale di ricercare il senso ultimo della sua vita, non è in movimento verso il significato dell’esistenza: egli, per il fatto stesso di esistere, è già completamente realizzato. L’uomo è a un bivio: esprimere la sua originaria perfezione nella vita concreta, conoscendo la realtà e manipolandola (ottimismo radicale), oppure concepire, secondo un certo influsso protestante, la realtà in modo assolutamente negativo senza salvezza (pessimismo radicale).
Tra le due correnti, quella vincente è quella ottimistica. Mentre il pessimismo rimane, semmai, nel protestantesimo, il pensiero cosiddetto laico è fondamentalmente ottimista. L’Occidente moderno ha una cultura fondata su un concetto di uomo assolutamente autosufficiente, che si fida soltanto di sé e della sua capacità di trasformare la realtà. L’origine di tale concezione risale all’umanesimo-rinascimento, età in cui la dignità dell’uomo non viene riconosciuta in un’appartenenza che lo costituisce e lo matura, ma in un processo di autosufficienza. Per il puro fatto di esistere, l’uomo è già tutto.
L’idealismo, ricollegandosi a questa posizione, l’esprimerà con una formula estremamente felice: «Il fatto è già valore». L’uomo cristiano, partendo dal fatto di esistere, ricerca il valore: per l’uomo moderno e contemporaneo il fatto e il valore coincidono. L’uomo moderno ritiene che tutto quanto è oltre sé, lo disturbi e lo condizioni. Il rapporto, ad esempio, è sentito come alienante sia nei confronti di Dio sia nei confronti del contesto sociale. Il soggetto della modernità è l’individuo che esiste come assoluto e che, in quanto tale, ha diritto e potere su tutto.
Questa concezione nel XV e XVI secolo è come il seme di un progetto che si sviluppa gradualmente, attraverso un lunghissimo periodo di incubazione. Per qualche secolo questo soggetto umano è sostanzialmente ateo non perché dice che Dio non esiste, ma in quanto sottrae a Dio spazi sempre più vasti della sua vita: la politica, la morale, l’arte, la vita sociale. Dio esiste, nessuno lo nega (Voltaire lo chiamerà «il grande burattinaio dell’universo»), ma tutto il movimento di pensiero nato in età moderna è teso a rivendicare autonomamente gli spazi della vita umana e a «riportarli» all’uomo come unico artefice del suo destino.
La radice di questa separazione fra Dio e la vita sta nella rivendicazione della propria individualità non nell’appartenenza, ma nella capacità di rompere i rapporti. L’uomo moderno si afferma come qualcosa di già compiuto che, dicendo io, respinge da sé il diverso. Quando poi quest’io sarà maturato, perché avrà troncato tutti i rapporti con Dio e con la vita sociale, tenterà di impossessarsi nuovamente degli oggetti eliminati.
La grande corrente idealistica dirà che l’oggetto è parte del soggetto; il mondo, la storia, l’universo sono parte dello spirito del singolo: l’uomo maturo si rende conto che non esistono realtà al di fuori di sé come valore, capisce che tutta la realtà è semplicemente parte di sé. In questa dinamica si spiega la battaglia contro Dio e contro la famiglia.
La distruzione del passato
L’uomo moderno non tollera nessuna norma al di sopra di sé. Quando Kant dirà che il principio della morale universale è la pura razionalità individuale avrà operato il recupero di tutta la vita morale nella pura intelligenza dell’individuo: la norma è oggettiva perché parte da me, io sono il legislatore del mondo universale in quanto ho una norma in me che coincide con la mia razionalità. Il pensiero è sentito come lo strumento attraverso il quale quest’uomo, finalmente maturo, nega i rapporti che lo costituiscono ed esce dallo «stato di minorità» emancipandosi dalla custodia di Dio, della famiglia e del contesto sociale.
Quest’uomo dovrà necessariamente impegnarsi in un’opera di distruzione del passato. Per la prima volta, nella storia della cultura universale, un movimento di pensiero ha guardato al passato con astio, con volontà di distruzione. Ha addirittura coniato l’espressione «moderno» per ribadire che il passato doveva essere distrutto. Ci si doveva liberare di un tipo umano diverso da sé e di ciò che esso aveva creato nella storia come cultura e valori. Il cristianesimo primitivo non si era comportato così nei confronti dell’antichità classica, che aveva invece rigorosamente accolto e conservato, rileggendola da un punto di vista più profondo.
Non si era certo comportato così nell’età medioevale dove una generazione era succeduta all’altra sempre accogliendo e rivivendo criticamente la tradizione precedente.
L’abbazia di Cluny, centro della grande riforma interna della Chiesa, nonostante un tempo superasse l’antica San Pietro, ora è ridotta solo ad un terzo della navata e a neppure metà del transetto, non a causa di un incendio o di un bombardamento ma per un motivo molto più radicale e impressionante: con la proclamazione della Repubblica in Francia, nel 1792, l’abbazia di Cluny è stata dichiarata «cava pubblica di pietre», e ad essa per anni si è attinto per costruire case.
Questo fatto è il più sintomatico circa l’atteggiamento dell’uomo moderno nei confronti di ciò che lo precede. Come condizione della maturità l’uomo deve annientare il passato. Tale opera distruttiva inizia con la critica della istituzione ecclesiastica e della vita morale. Il primo punto tende a mettere in discussione la struttura sacramentale della Chiesa; il secondo a dividere la morale del popolo da un senso di appartenenza. Il libertinismo che domina tra il secolo XVII e il XVIII, pone in discussione i principi fondamentali della vita morale, sostituendoli con il gusto o il sentimento.
Costruzione razionale della realtà
All’opera di distruzione deve seguire l’opera di costruzione. Il principio che sta alla base di entrambe le operazioni, l’elemento dinamico che le determina, è la ragione. L’uomo moderno ha la precisa convinzione che un determinato processo della ragione, e precisamente la conoscenza scientifico-matematica, sia la conoscenza per eccellenza, mentre tutti gli altri processi conoscitivi sono inadeguati, inferiori.
La conoscenza morale ad esempio per cui un uomo si fida di un altro uomo, attraverso criteri che non si possono ricondurre alla logica matematica, ma che pure non sono meno significativi, viene privata di ogni valore. Solo la scienza permette la conoscenza assoluta della realtà e quindi tutte le forme di conoscenza precedenti o diverse debbono essere riportate a criteri matematico-fisici.
Nella prefazione alla prima edizione della Critica della Ragion pura di Kant si afferma: «Finora ognuno ha pensato della realtà quel che ha voluto, ed ha conosciuto la realtà secondo i modi più diversi di conoscenza; adesso che la matematica e la fisica hanno raggiunto un livello assolutamente indiscutibile, bisogna riportare anche la filosofia alla chiarezza della matematica e della fisica».
Quello di Kant è il progetto filosofico che ha espresso più coerentemente la posizione dell’uomo moderno: la ragione può tutto, ed è attraverso di essa che si rompe ogni legame con Dio, il quale non essendo un oggetto materiale che si possa conoscere matematicamente, non esiste. Esiste, infatti, solo ciò che la ragione può tradurre in circoli, in quadrati, in rombi, in formule geometriche. Siccome il mistero sta per definizione oltre la matematica e la fisica, la ragione ridotta conclude che esso non esiste.
La ragione distrugge il passato in quanto sfugge a questo modo di conoscenza e costruisce una cultura e una società secondo il metodo scientifico. Se la ragione intesa come capacità matematica di conoscenza definitiva degli oggetti materiali, è la grande risorsa, questa conoscenza della realtà si coniuga poi con la tecnologia, intesa come capacità di trasformazione scientifica della realtà. Così attraverso la ragione si conosce scientificamente la realtà e attraverso la tecnologia la si progetta scientificamente.
Una corrente invincibile (che l’Illuminismo chiamerà il «lume della ragione») eliminerà tutte le oscurità del passato. La storia anzi comincia con il lume della ragione, che conosce tutto scientificamente. Il documento più impressionante al riguardo è il Dizionario filosofico di Voltaire, che rappresenta la distruzione totale della tradizione cristiana, sulla base di questa semplicistica osservazione: tutto ciò che non si capisce non esiste, compreso l’avvenimento della fede, che avendo la pretesa di rivelare il mistero della vita di Dio eccede la chiarezza che invece ben si applica al mondo matematico.
Maritain, uno dei più grandi filosofi cattolici del nostro tempo, ha affermato: «l’età moderna è quella che ha posto un’inimicizia assoluta fra ragione e mistero». Il mistero ripugna alla ragione cioè alla capacità di conoscere la struttura ultima della realtà che è di carattere matematico-fisico.
La cultura dell’Illuminismo
Questa opera di distruzione e costruzione non avviene in modo clamoroso, ma gradualmente e con estrema discrezione. Il filone vincente, la nuova linea costruttiva della storia, convive con un mondo che apparentemente è ancora profondamente tradizionale. Non si attacca ad esempio la concezione della vita sociale o almeno non lo si fa immediatamente, tant’è vero che la vita politica è ancora largamente influenzata dalla tradizione religiosa.
Questo tipo di dinamismo si insedia soprattutto a livello di cultura: è il fenomeno dell’Illuminismo del XVIII secolo la cui forza non si è ancora spenta sebbene sia incominciata, nella seconda metà del XX secolo, la sua crisi. L’Illuminismo è un movimento di pensiero che sulla base della sola ragione, intesa come unica fondamentale risorsa dell’uomo, pretende di guidare la costruzione di un nuovo sapere raccogliendo tutto ciò che di valido nel passato si è determinato.
Tale valorizzazione e tale costruzione coincidono con la compilazione dell’Enciclopedia, in cui rientra tutto ciò che è spiegabile in termini di pura razionalità (cioè comprensibile dal punto di vista scientifico) e da cui è escluso tutto ciò che non è riconducibile alla scienza, intesa come scienza esatta.
Sulla base della ragione riduttivamente intesa si tende anche a costruire la società. La cultura deve verificarsi e concretizzarsi in un progetto sociale. Anzi, poiché l’umanità è un insieme di individui, ciascuno dei quali si sente signore dell’universo, il realizzare un tipo di società in cui i diritti fondamentali dell’individuo non vengano negati, ma si possano esprimere, è l’unico progetto autenticamente umano, perché autenticamente scientifico.
In tal modo la tensione religiosa dell’umanità si esprime in senso orizzontale: il regno dell’uomo (cioè la costruzione di una società retta da criteri esclusivamente scientifici in quanto la politica è scienza esatta) è il progetto umano e sociale che sostituisce la religiosità.
Lo spazio lasciato libero da Dio viene occupato dallo Stato. Lo Stato è una espressione nuova che, come insegna il filosofo morale contemporaneo Vaclav Belohradsky, nasce nella cultura occidentale con un’operazione di carattere ideologico: bisogna costruire lo Stato perfetto perché solo in tale costruzione l’uomo maturo sa esprimere il suo potere.
L’unico motivo per cui valga la pena vivere è la costruzione di una società a misura d’uomo, totalmente razionale, in cui la religione sia estromessa e la Chiesa non disturbi il potere politico, in cui le differenze di opinioni religiose non turbino la pace; secondo gli illuministi, infatti, le guerre sono provocate dalle religioni, e perciò l’eliminazione della religione è premessa fondamentale per la pace.
Con l’espressione «Regno di Dio» si è raggiunto, secondo gli illuministi, il massimo dell’alienazione: cercandolo, l’uomo «esce da sé» e si mortifica, mentre il suo compito è di costruire il «Regno dell’uomo», utilizzando le risorse che la natura gli mette a disposizione. E poiché la risorsa fondamentale è la scienza, l’uomo deve rendere in qualche modo «scientifici» i rapporti sociali.
L’Illuminismo, dunque, rappresenta il momento in cui questo nuovo tipo umano, consapevole di essere diventato forte, è in grado di creare una cultura nuova e di indicare un progetto sociale totalizzante che ha come scopo la costruzione di una società atea, in cui Dio non esiste. D’altra parte siccome la società esistente si riferisce a Dio, bisogna distruggerla rovesciandone le basi religiose.
È il tentativo della Rivoluzione francese.