Corriere della Sera 4 gennaio 2014
di Vittorio Messori
Il ciclone Bergoglio si è abbattuto stavolta sui frati, monaci e consacrati in genere che partecipavano alla periodica assemblea della Unione dei Superiori Generali egli Istituti religiosi maschili .
Il programma del Convegno prevedeva solo una breve esortazione del papa a, in realtà, l’incontro è durato tre ore, in un susseguirsi di domande e di lunghe risposte. Offerte, queste, con una tale foga da concedere diritto di cittadinanza – di certo per la prima volta sotto le volte di una sala vaticana – a un termine che qualche dizionario registra ancora facendolo precedere da un cauto volg.,“volgare“. In effetti, Francesco ha insistito sul ruolo profetico dei religiosi, avvertendo però, testualmente, che «la profezia fa rumore, chiasso, qualcuno dice casino»
Papa Francesco era particolarmente a suo agio : è infatti il primo pontefice, dopo 183 anni, a provenire non dal clero secolare ma da quello religioso. Parlava dunque per esperienza personale di conventi, comunità, regole, statuti . Grandezze e miserie, speranze e difficoltà degli “istituti di perfezione“, come vengono chiamati, sono stati per lui vita quotidiana, non astrazioni da biblioteca teologica.
La Civiltà Cattolica, sul cui sito è apparsa ieri la trascrizione dei punti salienti del dialogo, lo ha riassunto con l’esortazione papale: «Svegliate il mondo!» . A chi conosce la situazione di molti istituti verrebbe da pensare –con un pizzico di amara ironia– che l’esortazione adeguata potrebbe essere uno «Svegliate il frate!». In effetti, la vita religiosa è stata tra le più colpite dal travaglio postconciliare, anche come fervore di vita. A livello di numeri, a cominciare proprio dalla Compagnia ignaziana, è stata severamente falcidiata da uscite di professi e da mancate nuove entrate di novizi. Provinciale dei Gesuiti per l’Argentina, padre Bergoglio stesso ha vissuto il dramma – cui ha accennato nell’incontro con i Superiori – dell’abbandono di case e di funzioni per mancanza di personale.
Giusto a proposito di vocazioni mancanti – alludendo agli istituti femminili – Francesco ha denunciato quella che i vescovi del Terzo Mondo definiscono “la tratta delle novizie“. Religiose europee, cioè, che si sono dedicate – in Africa, in Asia, nella stessa America Latina – alla “caccia“ a presunte vocazioni, al reclutamento di ragazze da trasformare in suore che riempiano almeno in parte i vuoti tra le loro fila. Un comportamento condannabile che riguarda peraltro anche certi ordini e congregazioni maschili.
Il problema numerico esiste ed è grave -sia per gli uomini che per le donne – tanto che molti istituti registrano oggi meno della metà dei membri che contavano alla fine del Vaticano II e i superstiti sono quasi tutti in età avanzata. I grandi collegi costruiti negli anni Cinquanta per accogliere e formare i novizi, se non sono stati venduti sono stati trasformati in ricoveri per religiosi e religiose anziani e malati.
Le varie famiglie religiose stringono patti per unire i loro invalidi e le loro invalide, non avendo più né personale né mezzi per fare da sole. Molte istituzioni hanno più case e opere che consacrati in grado di occuparle e gestirle. Sul mercato delle vendite immobiliari di Roma stanno riversandosi le sedi, spesso imponenti e circondate di grandi parchi, di Case generalizie ormai sovradimensionate. Certo, la creatività evangelica continua ad operare e dal vecchio albero nascono rami nuovi ma ciò non toglie che inesorabili proiezioni statistiche mostrino come (almeno a viste umane) sia inesorabile il declino, sino forse all’estinzione, di Istituti che furono per secoli abbondanti di frutti.
Tuttavia, fedele al suo stile di ottimismo, pur realistico, papa Francesco non si è soffermato sulla quantità ma sulla qualità dei consacrati . Non ha parlato di crisi numerica, bensì della formazione spirituale e della vita concreta dei religiosi , tanti o pochi che siano. Ha ricordato che la fede non si propaga per proselitismo ma per testimonianza personale; non tanto per predicazione quanto per attrazione.
Ha ribadito che la vita religiosa ha un aspetto profetico : testimoniare cioè , sin da ora , il Regno futuro che attende ciascun uomo e il mondo intero. Senza giri di parole ha ricordato -qui pure per esperienza personale– le difficoltà, talvolta la durezza della vita comunitaria, tanto che, stando persino alla parola dei santi, proprio quel tipo di vita costituisce il primo motivo di penitenza. Ma ha ammonito che «la vita senza conflitti, anche con i fratelli, non è vita».
I noviziati, lo dicevamo, sono spesso semivuoti, almeno in Occidente. Ma a chi ancora presiede a quegli ambienti ha rivolto parole severe: «La formazione è opera artigianale, non poliziesca. Dobbiamo formare il cuore. Altrimenti formiamo piccoli mostri. E poi questi piccoli mostri formano il popolo di Dio. Questo mi fa venire davvero la pelle d’oca». Per aggiungere : «Non dobbiamo formare amministratori o gestori ma padri, fratelli, compagni di cammino per l’uomo concreto». Parole durissime, poi, alludendo ai casi di abusi sessuali : «Tutti siamo peccatori ma non tutti siamo corrotti . Nella Chiesa si accettano i peccatori, non i corruttori».
Che dire, in complesso? Per chi conosce questi temi, la reazione alle esternazioni di papa Bergoglio può essere di sollievo. La grande débacle della vita religiosa fu determinata anche, se non soprattutto , dall’alluvione di sociologismi e psicologismi e dal manifestarsi di una malattia preoccupante: la “documentite“. Un susseguirsi continuo, cioè, di incontri, dibattiti, convegni , confronti che partorivano inesorabilmente un “documento“, tanto dotto e complesso quanto sterile. Mentre gli esperti discettavano sulla sua essenza, la vita religiosa svaniva.
Ora, Francesco sembra indicare la via di una possibile ripresa. Una via di semplice buon senso e come tale spregiata da una certa intellighenzia clericale: essere frati e monaci è pensabile solo in una dimensione di fede vera e profonda, solo nell’accettazione di una esistenza talmente permeata dal Vangelo da divenire essa stessa segno e motivo di stupore , dunque di attrazione. Nella sua terribile semplicità, è la imitatio Christi -pur mettendo in conto la condizione umana, dunque l’inevitabile peccato – non è la relazione dello “specialista“ che può ancora indicare a chi ne sia chiamato la via di conventi e monasteri.