di Massimo Introvigne
Martedì 25 ottobre è stato pubblicato il Messaggio di Benedetto XVI per la 98ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (15 gennaio 2012), intitolato «Migrazioni e nuova evangelizzazione» e formalmente datato 21 settembre 2011. Il Messaggio ha due parti. Da un lato, ribadisce la dottrina sociale della Chiesa in materia d’immigrazione. Dall’altra, affronta un tema relativamente nuovo, anche se non inedito: i rapporti fra immigrazione e nuova evangelizzazione.
Il primo principio è l’affermazione dei «diritti delle persone e delle famiglie emigrate».. Una volta che è arrivato nel Paese di destinazione, il migrante deve vedersi riconosciuti i «diritti fondamentali inalienabili» e dev’essere sempre trattato come una persona, mai «come una merce». Il Messaggio aggiunge che, particolarmente a fronte di recenti crisi politiche, anche «i rifugiati che chiedono asilo, fuggiti da persecuzioni, violenze e situazioni che mettono in pericolo la loro vita, hanno bisogno della nostra comprensione e accoglienza, del rispetto della loro dignità umana e dei loro diritti, nonché della consapevolezza dei loro doveri».
Il secondo principio è che si devono ugualmente salvaguardare i diritti «delle società di approdo degli stessi emigrati»: diritti non solo alla sicurezza ma anche alla difesa della propria integrità nazionale e della propria identità. In questo senso nel Messaggio è costante, come già si è accennato, il riferimento ai doveri e non solo ai diritti degli immigrati.
Il terzo principio riguarda i diritti delle società di partenza degli emigrati, che si deve porre attenzione a non svuotare di risorse e di energie, sottraendo loro con l’emigrazione persone che sarebbero utili e necessarie nel Paese di origine. Va sempre posta attenzione al «miglioramento delle situazioni di vita delle persone concrete di una certa regione, affinché possano assolvere a quei doveri che attualmente l’indigenza non consente loro di onorare»: anzitutto dove sono nate, e senza essere costrette o indotte all’emigrazione.
In occasione del viaggio del 2008 negli Stati Uniti Benedetto XVI aveva precisato: «La soluzione fondamentale è che non ci sia più bisogno di emigrare, perché ci sono in Patria posti di lavoro sufficienti, un tessuto sociale sufficiente, così che nessuno abbia più bisogno di emigrare. Quindi, dobbiamo lavorare tutti per questo obiettivo, per uno sviluppo sociale che consenta di offrire ai cittadini lavoro ed un futuro nella terra d’origine». Ma c’è anche un altro aspetto, che riguarda specificamente i cattolici e su cui il Papa insiste nel Messaggio. «L’odierno fenomeno migratorio è anche un’opportunità provvidenziale per l’annuncio del Vangelo nel mondo contemporaneo».
La Chiesa non dimentica mai che tra i diritti dell’immigrato c’è quello di ascoltare la buona novella del Vangelo, e tra i doveri dei cattolici c’è quello di annunciare la fede agli immigrati. «L’ora presente, infatti, chiama la Chiesa a compiere una nuova evangelizzazione anche nel vasto e complesso fenomeno della mobilità umana, intensificando l’azione missionaria sia nelle regioni di primo annuncio, sia nei Paesi di tradizione cristiana». Le migrazioni, nota il Pontefice, «hanno prodotto una mescolanza di persone e di popoli senza precedenti, con problematiche nuove non solo da un punto di vista umano, ma anche etico, religioso e spirituale.
Le attuali ed evidenti conseguenze della secolarizzazione, l’emergere di nuovi movimenti settari, una diffusa insensibilità nei confronti della fede cristiana, una marcata tendenza alla frammentarietà, rendono difficile focalizzare un riferimento unificante». In Europa, frequente meta dei migranti, «il nostro tempo è segnato da tentativi di cancellare Dio e l’insegnamento della Chiesa dall’orizzonte della vita, mentre si fanno strada il dubbio, lo scetticismo e l’indifferenza, che vorrebbero eliminare persino ogni visibilità sociale e simbolica della fede cristiana».
Anche chi arriva in Europa già cristiano non è al sicuro. «I migranti che hanno conosciuto Cristo e l’hanno accolto non di rado sono spinti a non ritenerlo più rilevante nella propria vita, a perdere il senso della fede, a non riconoscersi più come parte della Chiesa e spesso conducono un’esistenza non più segnata da Cristo e dal suo Vangelo. Cresciuti in seno a popoli marcati dalla fede cristiana, spesso emigrano verso Paesi in cui i cristiani sono una minoranza o dove l’antica tradizione di fede non è più convinzione personale, né confessione comunitaria, ma è ridotta ad un fatto culturale».
In questi Paesi dunque «la Chiesa è posta di fronte alla sfida di aiutare i migranti a mantenere salda la fede, anche quando manca l’appoggio culturale che esisteva nel Paese d’origine», tentando di «risvegliare la coscienza cristiana assopita, attraverso un rinnovato annuncio della Buona Novella e una vita cristiana più coerente, in modo da far riscoprire la bellezza dell’incontro con Cristo, che chiama il cristiano alla santità dovunque si trovi, anche in terra straniera».
Ma non si deve avere nessuna reticenza anche ad annunciare la fede agli immigrati che non sono cristiani. Purtroppo spesso queste reticenze esistono anche fra i buoni cattolici, per un malinteso senso del rispetto dovuto alle altre religioni e del dialogo, che invece non può mai escludere l’annuncio del Vangelo. «Uomini e donne provenienti da varie regioni della terra, che non hanno ancora incontrato Gesù Cristo o lo conoscono soltanto in maniera parziale, chiedono di essere accolti in Paesi di antica tradizione cristiana. Nei loro confronti è necessario trovare adeguate modalità perché possano incontrare e conoscere Gesù Cristo e sperimentare il dono inestimabile della salvezza».
Tutti – vescovi, sacerdoti, laici – hanno il dovere di superare gli equivoci e impegnarsi nell’evangelizzazione degli immigrati. Tra questi, ricorda il Papa, un caso particolare è rappresentato dagli «studenti internazionali che affrontano problemi di inserimento», «tanti ragazzi e ragazze che, proprio per la loro giovane età, oltre alla crescita culturale, hanno bisogno di punti di riferimento e coltivano nel loro cuore una profonda sete di verità e il desiderio di incontrare Dio». «In modo speciale – chiede il Pontefice – le Università di ispirazione cristiana siano luogo di testimonianza e d’irradiazione della nuova evangelizzazione» e non solo di eccellenza accademica.
Anche le Università cattoliche – come ogni altra comunità cristiana – devono superare – ed è molto significativo che il Papa lo ricordi alla vigilia dell’incontro di Assisi, per cui oggi prega – equivoci e malintesi sul rapporto fra dialogo e annuncio. Il vero dialogo – a differenza delle sue contraffazioni relativiste – non esclude mai l’annuncio e l’evangelizzazione, e privando gli immigrati dell’annuncio della fede cristiana li priviamo – magari mente continuiamo a parlare di altri diritti – di uno dei loro diritti più fondamentali, quello a conoscere ed abbracciare la verità.