Immigrazione incontrollata e integrazione

Abstract: C’è un diritto a non emigrare ma forse anche rima un diritto a non lasciare la propria terra ma la società multireligiosa vuole metterlo in dubbio spingendo verso un immigrazione senza controllo e senza integrazione che mina l’identità culturale. intervista a Stefano Fontana, Direttore dell’osservatorio Van Thuan

Osservatorio Internazionale cardinale Van Thuân 4 Ottobre 2023 

La società multi-religiosa vuole mettere in dubbio

il diritto a non emigrare. Intervista a Stefano Fontana

di Stefano Fontana e Martina Pastorelli 

Presentiamo l’intervista a Stefano Fontana, Direttore dell’Osservatorio Van Thuan a firma di Martina Pastorelli, pubblicata ieri martedì 03 ottobre 2023 sul quotidiano “La Verità”. Il testo da noi pubblicato è nella sua versione integra originale.

Esiste un diritto a emigrare ma anche – e forse prima – quello a non dover emigrare perché spinti da miseria, persecuzioni o magari da operazioni pianificate e imposte per altri motivi. Non esiste invece un diritto assoluto ad immigrare in un altro Paese, il quale deve poter stabilire regole per l’accesso e l’integrazione degli immigrati nella propria società, salvaguardando il bene comune.

Se l’immigrazione è diventata un’emergenza ingovernabile è anche perché si tiene poco conto di questi criteri della Dottrina sociale della Chiesa, il cui insegnamento – lontano da certi luoghi comuni del cattolicesimo odierno su accoglienza e carità – fa luce con realismo cristiano sui vari aspetti del complesso fenomeno. Di questi orientamenti, preziosi per affrontare il momento epocale che viviamo, parliamo con Stefano Fontana, teologo, filosofo e direttore dell’Osservatorio Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa, che già nel 2016 aveva dedicato al tema il suo Rapporto annuale (“Il caos delle migrazioni, le migrazioni nel caos”, ed. Cantagalli)

L’idea diffusa, ed erronea, è che la Chiesa appoggi un’accoglienza cieca e illimitata. Ci sono invece dei criteri che la sua Dottrina sociale indica e che sono essenziali per gestire il fenomeno migratorio: quali?

“Al centro della visione della Dottrina sociale della Chiesa sta il concetto di “bene comune”. Il bene comune ha un significato analogico e non univoco. Ciò significa che c’è il bene comune dei migranti, ma anche quello delle comunità da cui essi migrano ed anche quello delle nazioni che li accolgono. Inoltre, il bene comune è un fine che non può ammettere ogni mezzo, come per esempio la tratta di persone umane e la pianificazione delle morti in mare. Il criterio dell’accoglienza indiscriminata riduce il senso del bene comune ed è di fatto una abdicazione alla ragione politica. Fingere che le ONG del mare siano fate benefattrici e che traggano i loro finanziamenti dal nulla significa congelare il bene comune. Esiste il diritto ad essere soccorso nel pericolo ma non esiste il diritto assoluto ad immigrare

L’invito cristiano all’accoglienza e alla solidarietà come va dunque compreso e applicato?

“Accoglienza e solidarietà applicate alle migrazioni sono categorie politiche che devono seguire i criteri della ragione politica, secondo la quale non si può accogliere tutti né si può accogliere tutto. La solidarietà, quando è cieca, produce danni da qualche parte. La ragione politica non si basa sulle emozioni o i sentimenti. Colpito dal suo bisogno, posso accogliere una persona a casa mia, ma non posso accoglierne dieci, perché a quel punto sarà la mia famiglia a saltare. C’è la responsabilità anche dei vicini e non solo dei lontani”

Una parola molto usata è “integrazione” ma resta vuota e di conseguenza disattesa: cosa significa e cosa comporta?

“Il concetto di integrazione è ideologico perché alla sua luce non ci si chiede se quanti vogliamo integrare siano integrabili e vogliano integrarsi. Si pensa che chi integra lo debba fare comunque, e si presuppone che la società che integra sia disposta a cambiare di identità a seguito dell’integrazione. Questi tre presupposti non realistici impediscono l’integrazione, e infatti nell’Europa dell’integrazione non prevalgono le società integrate ma una balcanizzazione di comunità chiuse e di Stati nello Stato, con leggi, economie e sistemi di solidarietà propri” ù

Da questo punto di vista l’immigrazione islamica ha caratteristiche che la rendono problematica

Remi Brague e Marie Thérèse Urvoy hanno ben dimostrato che l’Islam non è una religione ma una civiltà che comprende coerentemente tutte le situazioni della vita: i rapporti tra uomo e donna, la famiglia, i figli, la legge, lo Stato, il rapporto tra autorità politica e autorità religiosa. L’Islam non è integrabile in nessun contesto che non sia l’Islam. Le parole suonano magari uguali, ma il senso è diverso. L’Islam, come scriveva sempre Brague, non parla alla coscienza dell’uomo, non ammette la legge morale naturale, non crede nella virtù della prudenza … la morale islamica è solo religiosa e consiste nell’applicare gli editti di Dio contenuti nel Corano e nei detti ed atti di Maometto. L’Islam non ha una teologia, ha solo scuole di interpretazione giuridica delle disposizioni divine”

Due temi di cui si parla poco sono il diritto – evidenziato da Benedetto XVI e prima ancora da Giovanni Paolo II – a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra – e la posizione di tanti vescovi africani che dissuadono i propri figli a emigrare: perché?

Oggi c’è l’obiettivo di una società multi-religiosa, voluta certamente dai molti poteri del Deep State e anche da molti organismi istituzionali. Anche la Chiesa cattolica sembra porre questo fine addirittura al di sopra del bene comune. Cosa sbagliata e impossibile, dato che ci sono religioni che non ammettono aspetti non secondari del diritto naturale e che per questo vanno contro al bene comune. L’appello al principio del diritto a non emigrare ha questo senso di non porre la società multireligiosa al di sopra del bene comune. Le persone hanno diritto alla loro terra, alla loro nazione, alla loro cultura e alla loro storia come fattori identificanti, non assoluti certamente, ma elementi realistici del bene comune. Certo, hanno anche il diritto di emigrare in caso di bisogno o per una libera decisione personale, ma non devono essere costretti a farlo, perché diventerebbero degli sradicati e indebolirebbero le loro comunità di origine. I vescovi africani hanno ragione, sono quelli europei a non vedere bene le cose, perché qui le ideologie hanno fatto più strada. Infine il diritto a non emigrare segnala il compito prioritario di disincentivare le partenze, prima ancora di disciplinare le accoglienze, accettando la lotta contro poteri sotterranei e delinquenza organizzata”

Chi non sa più chi è non può nemmeno accogliere: quanto conta quello che papa Francesco ha chiamato “il dovere dell’identità” per la riuscita del dialogo (Discorso ai Partecipanti alla Conferenza internazionale per la Pace, 2017, ndr) e il senso di “nazione” per la riuscita della convivenza?

“È vero, l’Occidente che non sa più chi sia non può accogliere e tantomeno ad integrare. Così il pluralismo religioso diventa un nuovo elemento del relativismo soggettivistico delle nostre società del privatismo consumistico. Senza sapere cosa siano vita e morte, uomo e donna, mamma e papà … senza più nessun riferimento ad una dimensione di indisponibilità, vale a dire di trascendenza, cosa abbiamo da proporre alle civiltà che entrano in casa nostra con le migrazioni? Giovanni Paolo II, però, diceva che uno dei criteri per governare le immigrazioni era anche quello di preservare la propria identità culturale, la propria anima spirituale da parte delle nazioni ospitanti. Il che rimanda ad un diritto a selezionare le immigrazioni, un principio, questo, oggi politicamente molto scorretto. Del resto, se una nazione come l’Italia ha ceduto gran parte della propria identità all’Unione Europea, come può pretendere che questa la aiuti nel difendere la propria identità dalle immigrazioni?”

Il crescente numero di sbarchi suscita in molti la sensazione che quello che viene presentato come un fenomeno naturale e spontaneo nasconda un’organizzazione e una pianificazione, non solo “logistica” ma culturale: la condivide?

Ormai è più di una sensazione. Non c’è dubbio che dietro a tutto ciò ci sia un piano. Ci sono autorevoli testimonianze in questo senso, da Kissinger a Ban-chi-moon. Spiace che il magistero ecclesiastico attuale non solo non tocchi questo tema ma dia il proprio contributo ad una ideologia mondialista che intende attuare una società multireligiosa per arrivare infine ad una unica religione mondiale di tipo sincretistico. Una religione delle buone pratiche che la governance mondiale deciderà. Il fenomeno, quindi, non è solo “logistico” ma non è nemmeno solo culturale, è anche politico (e geopolitico) e perfino religioso, nel senso di anticristiano e anticattolico in particolare”

_______________________________

Sul diritto a non emigrare, su come regolare l’immigrazione e facilitare l’integrazione si è espressa la Dottrina sociale della Chiesa:

Chiesa e immigrazione

La Chiesa e l’immigrazione