Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân Newsletter n.769
del 7 Febbraio 2017
S.E. Mons. Giampaolo Crepaldi
Pubblichiamo il saggio dell’Arcivescovo Giampaolo Crepaldi, vescovo di Trieste e Presidente del nostro Osservatorio pubblicato nel numero di Febbraio della rivista mensile “Il Timone”.
La “Dottrina sociale della Chiesa”, come dice la stessa espressione, è una “dottrina”. Per molto tempo, però, soprattutto negli anni Settanta e Ottanta, molti contestavano questo termine e cercavano di sostituirlo con altri, come per esempio “Insegnamento” sociale della Chiesa, oppure “Discorso” sociale della Chiesa. La parola dottrina, si diceva, è inadatta ad esprimere bene il concetto. Il principale argomento a sostegno di questa critica era che il termine “dottrina” era ritenuto astratto, teorico, deduttivo, mentre la vita sociale e politica era considerata concreta, sempre nuova, induttiva.
L’uso del termine “dottrina” lasciava intendere ancora il metodo di partire dall’alto anziché dal basso, dai principi di per sé lontani dalla concretezza della realtà, dall’intellettualismo delle formule. Il percorso doveva invece avvenire al contrario, dalle situazioni umane, dai bisogni, dalle condizioni storiche di ingiustizia e di povertà bisognava partire per elaborare nuovi orizzonti dottrinali capaci di far progredire la prassi di giustizia e di pace. Questo discorso era sostenuto da diverse correnti teologiche secondo le quali il rapporto tra teoria e pratica doveva essere rovesciato, altrimenti – si sosteneva – il messaggio cristiano risulta incomprensibile, appunto perché calato dall’alto dentro una situazione umana ad esso estranea.
Alla fine, però, nessuno di questi tentativi conseguì dei risultati. I termini “insegnamento” o “discorso”, data la loro strumentalità, vennero abbandonati, il magistero ha continuato a parlare di “Dottrina” sociale della Chiesa ed oggi questa è ancora l’espressione adoperata da tutti, anche da coloro che non hanno nel frattempo perso l’abitudine di contestarla. Si è verificato, piuttosto, un fatto nuovo. Nessuno oggi propone più di sostituire l’espressione che contiene al proprio interno il termine “dottrina”, però gli atteggiamenti sono messi in atto come se quel termine non ci fosse. Non lo si contesta più direttamente, ma lo si aggira indirettamente, non si nega più la sua legittimità di diritto ma la si elude con il comportamento di fatto.
Questo è evidente soprattutto nel mondo di insegnare la Dottrina sociale della Chiesa, laddove ancora essa venga insegnata. Spesso i riferimenti dottrinali vengono semplicemente accennati, mentre si passa subito al discernimento pratico davanti ai problemi concreti, si passa subito alla prassi. Oppure, dopo un breve accenno alla dottrina, si parte dalla analisi della situazione fatta con l’ausilio delle scienze sociali e, da qui, si punta poi alla prassi. Di solito viene chiamato metodo “induttivo”, che vorrebbe recuperare in un secondo momento la dottrina ma invece la lascia in disparte.
Un altro modo per aggirare l’ostacolo della dottrina è di partire dalla persona. Non da Dio ma dall’uomo. Poi si passa alla prassi. Questo fare a meno della dottrina non viene però più dichiarato, perché sarebbe una nuova forma di dottrina, viene praticato invece di fatto. Per questo oggi l’espressione “Dottrina sociale della Chiesa” viene formalmente rispettata ma praticamente negata.
Devo chiarire, però, cosa intendo quando uso la parola “dottrina” nell’ambito della Dottrina sociale della Chiesa. La Dottrina sociale della Chiesa è “teologia” (e non primariamente antropologia, sociologia o prassi). Inoltre essa si inserisce nella tradizione della Chiesa in quanto è parte essenziale della sua missione. Come tale, la Dottrina sociale porta con sé tutto il bagaglio della dottrina della fede rivelata, il suo punto di vista non è “l’etica della situazione” ma la fede apostolica.
La dogmatica cattolica fa quindi da sfondo e sostanza alla Dottrina sociale della Chiesa. Questo intendo per “dottrina”, dato che è proprio su tutto ciò che si fondano i “principi di riflessione”, i “criteri di giudizio” ed anche le “direttive d’azione” della Dottrina sociale della Chiesa. Insegnarla partendo dalla situazione sociologica e andando direttamente alla prassi è quindi un errore, perché si tagliano fuori i suoi fondamenti.
I documenti sociali del magistero non hanno nessun dubbio che la Dottrina sociale della Chiesa sia “per la pratica”. Ma pensano che la pratica debba essere illuminata dalla dottrina e non viceversa, dato che non può essere un puro (e cieco) fare. E pensano anche che la dottrina non debba essere intesa come astratta o teorica, come una premessa di un sillogismo oppure un assioma di geometria. Chi critica la dottrina spesso compie questo errore.
Non solo la pratica è vita, ma anche la dottrina è vita, anzi lo è in massimo grado al punto che la stessa pratica prende vita da essa, dalla dottrina. La dottrina permette di vedere la concretezza della realtà meglio delle stesse scienze sociali. Fu la dottrina a permettere a Leone XIII di gettare un profondo sguardo sulla realtà sociale del suo tempo e non le indagini sociologiche. Fu la dottrina a permettere a Giovanni Paolo II di vedere a fondo i cambiamenti legati al crollo del muro di Berlino e non le analisi dei politologi del tempo.
La dottrina ci dice la realtà, la realtà soprannaturale che Dio ci ha provvidenzialmente rivelato e, per riflesso, la realtà naturale che proprio da quella viene illuminata. Gesù Cristo è la Dottrina della Chiesa. Egli, che è la Verità, ci ha dato delle verità e ci ha indicato dei doveri, non come dei gioghi insopportabili, ma come espressioni del suo progetto d’amore. E ci ha dato anche l’aiuto spirituale per sopportarli e viverli. La Dottrina è viva e vivificante.
Oggi si nota una considerevole frammentazione dell’impegno pratico dei cattolici. Si vede che la prassi che inizia dalla prassi e non dalla dottrina disarticola l’impegno cristiano in mille rivoli, anche contraddittori tra loro, purtroppo, ed anche incoerenti con le premesse della fede. Nella pratica spesso i cattolici combattono per battaglie che non sono loro proprie ma di altri, anzi che sono addirittura contro la Chiesa. Notiamo sbagli di valutazione religiosa e morale molto preoccupanti, militanze in eserciti che combattono sotto altre bandiere, prassi ispirate a teorie consolatorie del “minor male”, collaborazione con altri in vista di scopi prossimi senza tenere conto di quelli remoti, sottovalutazioni di mali e pericoli per la fede.
Del resto si può capire che, senza un quadro di senso completo ed organico costituto dalla dottrina, anche gli interventi pratici perdano di unitarietà di prospettiva. Viene meno la strategia. Si pensa più a intervenire praticamente sul singolo problema acuto ed emergente piuttosto che lavorare a lungo termine e sui diversi piani per “costruire” una comunità umana secondo il progetto di Dio.
Si pensa che il cattolico debba tamponare, suturare, medicare, ma non lo si ritiene più in grado di pensare organicamente per poi anche agire organicamente. Se dalla fede deriva solo una prassi, il cattolico deve operare qui e ora nei confronti del bisogno senza chiedersi tanti perché, ma se dalla fede deriva una dottrina, il cattolico ha uno sguardo sulla realtà che gli permette di agire per recuperarla nella sua funzionalità complessiva.
La Dottrina sociale della Chiesa è per la pratica, ma intesa in questo senso, non corto ma lungo, non estemporaneo ma costruttivo. Per questo essa non può cessare di essere “Dottrina” sociale della Chiesa.