Intervista con Filippo Vari, professore associato di Diritto Costituzionale
Nel dibattito in corso sulle proposte di legge per le coppie di fatto (DICO) sembra esserci una grande confusione, sia terminologica sia concettuale, circa la realtà della famiglia. Può chiarirci un po’ le idee?
Vari: La Costituzione italiana pone i rapporti familiari al centro di un ampio reticolato di norme, dal quale è agevole ricavare l’esistenza nell’ordinamento italiano di un favor familiae. Per questo motivo, come ha sottolineato anche il Presidente della Repubblica, è necessaria una svolta nelle politiche pubbliche a sostegno della famiglia. E’ necessaria una grande attenzione da parte delle istituzioni, perché c’è una discrasia tra il disegno costituzionale – che dà un’importanza fondamentale alla famiglia – e l’evoluzione fino ai giorni nostri delle politiche pubbliche. Ciò non è stato evidenziato solo in dottrina: penso al discorso di insediamento del Presidente Ciampi, nel 1999, ai richiami del Presidente Napolitano, e a un dato particolarmente significativo, ossia che l’Italia, insieme alla Spagna, è il paese che investe la minor percentuale del prodotto interno lordo in servizi alla famiglia. Ciò comporta alcune conseguenze, perché siamo in presenza di un vero e proprio dramma demografico che affligge l’Europa in generale e l’Italia in particolare.
Da dove si ricava il favor familiae nell’ordinamento italiano?
Vari: Il favor familiae, nell’ordinamento italiano, a livello costituzionale, si ricava da una serie di norme: dagli articoli 29, 30, 31, 34, 36 e 37 della Costituzione. Questa fitta rete di diritti costituisce una novità rispetto all’esperienza passata, perché lo Stato liberale era affetto da una sorta di “miopia” nei confronti delle formazioni sociali, tra le quali la famiglia (si pensi al silenzio sulla libertà di associazione serbato dallo Statuto albertino). Lo Stato totalitario – peggio ancora – aveva cercato di strumentalizzare la famiglia, ai fini di potenza dello Stato: pensate, ad esempio, all’articolo 147 del codice civile, che prevedeva che l’educazione dei figli dovesse essere conforme al sentimento nazionale fascista. A fronte di queste esperienze storiche pregresse, il costituente decide, invece, di innovare in modo molto significativo e riconosce che la famiglia ha un valore in sé, dedicando grande attenzione tanto ai rapporti orizzontali – fra i coniugi – quanto ai rapporti verticali – fra genitori e figli.
La Costituzione parla espressamente solo della famiglia fondata sul matrimonio?
Vari: La Carta costituzionale accoglie un concetto ben determinato di famiglia, escludendo che in esso possano essere ricondotte diverse forme di convivenza, che invece, sul piano sociologico, vengono considerate famiglia, probabilmente perché si confonde il cambiamento di giudizio, in ordine alla percezione di determinati comportamenti, con un presunto cambiamento del concetto di famiglia. Questa confusione, oltretutto, ha conseguenze normative particolarmente significative. Si consideri, ad esempio, che la normativa in materia di anagrafe, a specifici e limitati effetti, parla di famiglia unipersonale. Ai fini dell’anagrafe, si può parlare di nucleo unipersonale, ma la famiglia unipersonale di per sé è una contraddizione in termini. Una sola persona come può costituire una famiglia?
La Costituzione non dice cos’è il matrimonio, non lo disciplina, come non disciplina direttamente tanti altri istituti, ma sostanzialmente fa riferimento al concetto di matrimonio tipico della nostra tradizione giuridica. Si parla, al riguardo, di una nozione giuridica presupposta: il costituente richiama i concetti giuridici, così come sono presenti nella tradizione e nella scienza del diritto, per cui il matrimonio, nel disegno del costituente, è quello che i Romani già molto tempo prima avevano definito come coniunctio maris atque feminae, da cui discende la procreazione e l’educazione dei figli.
Cosa dice la giurisprudenza sulle convivenze more uxorio e sulle coppie omosessuali?
Vari: È noto come la giurisprudenza costituzionale abbia sempre ricondotto la tutela della famiglia all’articolo 29 Cost. e abbia, invece, collegato la garanzia delle convivenze more uxorio – di quelle omosessuali la Corte finora non si è mai occupata – alla generale garanzia apprestata alle formazioni sociali dall’articolo 2 Cost. Questo passaggio viene contestato da parte minoritaria della dottrina, secondo la quale, invece, l’articolo 2 tutela soltanto i diritti del singolo nelle formazioni sociali e non i diritti delle formazioni sociali. Tuttavia, la Corte, pur facendo riferimento alla copertura dell’art. 2 Cost. per le convivenze more uxorio, ha sempre escluso la possibilità di estendere, attraverso un mero giudizio di equivalenza – cito testualmente – tra le due situazioni, la disciplina prevista per la famiglia legittima alla convivenza di fatto.
La Corte costituzionale ha sempre escluso la possibilità di fare ricorso all’analogia tra famiglia fondata sul matrimonio e convivenza more uxorio, in quanto l’analogia presuppone la similarità delle situazioni, la quale, oltre a non essere presente tra il rapporto coniugale e quello di convivenza in sé considerati, non è voluta dalle stesse parti, che nel preferire un rapporto di fatto – dice la Corte – hanno dimostrato di non volere assumere diritti e doveri nascenti dal matrimonio.
E cosa prevede la Costituzione in merito ai figli nati fuori dal matrimonio?
Vari: Per quanto riguarda i rapporti verticali (genitori-figli), la Costituzione esige un’equiparazione pressoché totale tra condizione dei figli nati nel matrimonio e condizione dei figli nati fuori dal matrimonio. C’è una responsabilità che deriva dal mero fatto della procreazione: gran parte della dottrina afferma che, anche se il figlio non è riconosciuto per qualsiasi ragione, nondimeno sussiste questa responsabilità per la procreazione, per cui il genitore è comunque tenuto a mantenere, istruire ed educare i figli.
L’articolo 30 Cost. stabilisce, al terzo comma, una tendenziale parificazione tra i figli nati in costanza di matrimonio e quelli nati all’esterno, dal momento che assegna ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, purché compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. Anche la Corte costituzionale è estremamente attenta a tale garanzia. La Corte ha affermato che la posizione giuridica dei genitori, nei rapporti tra loro, in relazione al vincolo coniugale (cioè se i genitori sono sposati o meno), non può determinare una condizione deteriore per i figli. Sostanzialmente, quindi, a livello di principio e a livello costituzionale, nei rapporti verticali (genitori-figli) risulta identica la posizione dei figli, sia che nascano nel matrimonio, sia che nascano fuori da esso.
I quotidiani hanno dato notizia che il ministro per le politiche per la famiglia ha istituito una commissione, presieduta dal professor Bianca, che sta preparando un progetto di legge per superare l’unica grande differenza che ancora sussiste tra figli che nascono nel matrimonio e figli che nascono fuori da esso, posto che la parentela dei figli naturali oggi viene riconosciuta soltanto nel rapporto con i genitori, mentre il figlio nato fuori dal matrimonio non ha vincoli con la famiglia del genitore.
Perché la Costituzione riconosce a favore della famiglia diritti speciali che sono ulteriori rispetto a quelli dei singoli, ad esempio la pensione di reversibilità, il regime fiscale di cui godono i coniugi per i figli a carico, la preferenza per le persone coniugate o con figli, a parità di merito, in determinate graduatorie?
Vari: Questo regime che ha costi considerevoli per la collettività, si giustifica in ragione dell’infungibile funzione della famiglia nella società. La famiglia è infatti il luogo nel quale nascono i bambini. Sostanzialmente, dunque, aiutare la famiglia è una delle misure per cercare di risolvere il problema demografico; problema tanto antico, che già i Romani affrontavano con il sintagma civitas augescens. Tengo a sottolineare alcuni dati particolarmente significativi: un demografo americano ha evidenziato come oggi, in Europa, ci siano 100 persone che lavorano per 35 persone in pensione. Seguendo gli attuali trend demografici, nel 2050 ci saranno, in Europa, 100 persone che lavorano per 75 persone in pensione, e in Italia e Spagna il rapporto sarà di 100 a 100 (ovvero, di 1 a 1). Ciò vuol dire che oggi 3 persone lavorano per mantenere una persona in pensione. Da qui al 2050, se non si invertono i trend demografici, il rapporto sarà di 1 a 1, il che significa che ciascun lavoratore avrà a proprio carico un pensionato, con conseguenze pratiche devastanti. O si inasprirà drasticamente la pressione fiscale oppure si smantellerà lo Stato sociale.
Di questo si è preso atto anche a livello di Unione europea. La settimana scorsa, al Parlamento europeo, il ministro della famiglia tedesco, Ursula von der Leyen, ha manifestato la volontà di lanciare, nell’ambito del semestre di Presidenza tedesca dell’Unione europea, una alleanza europea per la famiglia, per cercare di risolvere il problema demografico. La proposta è stata accolta con favore all’interno del Parlamento europeo dai rappresentanti tanto degli schieramenti del centrodestra quanto del centrosinistra. Si è trattato di un plauso condiviso nei confronti di questa iniziativa, e credo che sarebbe fondamentale sviluppare programmi tanto in sede parlamentare quanto in sede governativa per agganciare l’Italia a questo progetto.
La famiglia è il luogo in cui sono educati i bambini; dunque, se le famiglie funzionano sono ridotte – in linea generale, e salvo eccezioni – le situazioni di disagio giovanile (tema di interesse pubblico con molti risvolti: alcolismo, tossicodipendenza, bullismo) e i bambini crescono come cittadini consapevoli dei loro diritti e dei loro doveri. Non è un caso che già Cicerone parlasse della famiglia come principium urbis et quasi seminarium rei publicae. D’altro canto, insieme al riconoscimento dei diritti della famiglia, ai coniugi sono imposti, sul fondamento di cui all’articolo 29 Cost., una serie di limiti – alcuni particolarmente significativi – ai diritti garantiti ai singoli dalla Costituzione. Concludo ribadendo la necessità, ormai ineludibile, che le istituzioni prestino maggiore attenzione alla famiglia. Come dicevo, l’Italia, insieme alla Spagna, è il paese che investe la minore quota del PIL per le famiglie (l’1 per cento, a fronte di altri paesi che investono fino quasi al 4 per cento).
È sufficiente un semplice dato per dimostrare la scarsa attenzione da parte delle istituzioni nei confronti della famiglia. Da più di dieci anni, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’attuale sistema di tassazione perché, secondo la Corte – che lo ha detto a più riprese –, discrimina le famiglie monoreddito e quelle particolarmente numerose. Nonostante siano passati più di dieci anni da questa sentenza della Corte costituzionale, il sistema fiscale è rimasto pressoché inalterato e non si è ovviato a questa illegittimità.