Il Borghese n. 6 giugno 2024
di Giuseppe Brienza
“Maternità surrogata”, “partner”, “genere”, “salute riproduttiva”, sono solo alcuni dei termini entrati a far parte di un nuovo vocabolario in uso nelle istituzioni internazionali e nei grandi media per sostituire concetti come utero in affitto, marito e moglie, maschio o femmina, anticoncezionali etc… Questi esempi di antilingua uniti dapprima ad una falsa narrativa di “antidiscriminazione” e poi all’ideologia del Politicamente Corretto si sono trasformati negli ultimi trent’anni in strumenti formidabili per imporre ideologie proprie di ricche e ristrette minoranze e contrarie ai diritti dei deboli.
La ripetizione ossessiva dell’antilingua ha finito per incidere fortemente nella nostra vita quotidiana e, per questo, ben venga questa nuova antologia ragionata, curata dal giurista Enrico Pagano, del pensiero nazionale e internazionale In Difesa dell’Umano. Abecedario minimo. Il volume, da pochi mesi pubblicato dalle edizioni Il Cerchio di Rimini, raccoglie testi e citazioni di ben 281 autori contemporanei a illustrazione di altrettanto numerosi termini bioetici trattati in maniera scientifica e realistica.
Il dott. Pagano si è laureato in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Milano ed ha effettuato in questa città la prima pratica forense. Giurista d’impresa da oltre trent’anni, ha già pubblicato due libri sulle tematiche prolife, editi sempre da Il Cerchio, il primo intitolato L’Olocausto bianco, con Prefazione di Cesare Cavalleri (1936-2022), del 2015, il secondo Aborto. Ragioni vere e false, pubblicato nel 2018.
Ci spiega il motivo e le finalità di dedicare ad una rassegna aggiornata dei termini e dell’antilingua in materia di bioetica un saggio così corposo?
L’obiettivo, importante e ambizioso, è quello di consentire di affilare le “armi” dialettiche, nello scontro – impari – con la cultura dominante del Pensiero unico. Uno strumento, insomma, per prepararsi al meglio, a quella guerra delle parole che, finora, i prolife hanno perso, mutuando inconsapevolmente il proprio vocabolario dalla terminologia mortifera e fuorviante della 194, legge “integralmente iniqua” e responsabile dell’eliminazione di più di 6 milioni di Italiani.
Una legge che ha dato anche inizio alla manipolazione del linguaggio in tema di aborto e diritto alla vita in generale, non crede?
Certamente, per questo occorre tornare all’Abc del linguaggio, ai fondamentali, ovvero all’utilizzo dei vocaboli che sono stati sottratti, eliminati e vietati dai Gendarmi delle Parole. Vocaboli indispensabili per poter parlare compiutamente ed efficacemente della verità e della realtà delle cose. Parole che sono inibite per tarpare il libero pensiero, per evitare il confronto e per impedire di provare le sensazioni e i sentimenti, naturali e spontanei, che da sempre suscitano in tutti noi le varie fasi della vita.
Pensiamo, ad esempio, ai termini essere umano trasformato in rifiuto speciale, mamma e papà in genitore 1 e genitore 2 e, infine, omicidio in IVG. Negli anni ho sviluppato una certa sensibilità sull’argomento e mi fa molto male sentirne parlare con termini che non esprimono null’altro che la volontà di occultare l’importanza e la delicatezza del tema.
Ora, se questo può essere l’obiettivo della cultura egemone, che va contrastato in ogni modo, imperdonabile è che chi ama la Vita e la difende, mutui dai suoi avversari i vocaboli per esprimere le proprie ragioni. Ecco, sono convinto che la battaglia decisiva si giocherà sul terreno del linguaggio, dal momento che la realtà e l’immagine ci dicono che i nascituri sono esseri umani esattamente come noi, la ragione e il buonsenso ci consentono di capire che non si possono eliminare, lo sforzo va indirizzato alla comunicazione di queste due verità con i termini più adatti.
Fin quando, ad esempio, i prolife chiameranno IVG l’eliminazione di un essere umano, saranno inevitabilmente perdenti.
L’aborto è un tema sempre al centro di polemiche, di recente scatenate anche con l’applicazione da parte del Governo di quella parte della legge 194/1978 che prevede il coinvolgimento nei consultori pubblici delle realtà che sostengono la maternità (i c.d. operatori pro-life). Su questo aspetto il suo libro si esprime con fermezza, definendo il “diritto di aborto” l’aborto del diritto, in che senso sostiene ciò?
Lo sostengo perché una delle principali funzioni del diritto, la sua essenza, oserei dire il suo ubi consistam, è la difesa del più debole, dell’innocente, di chi non può difendersi dallo strapotere del più forte, dalla cd. legge della giungla, in definitiva. La norma che consente on demand l’eliminazione del più piccolo, innocente e inerme degli esseri umani è pertanto profondamente antigiuridica, perché nega in radice la natura stessa del diritto. L’innocenza e la punibilità, infatti, sono incompatibili. Un ordinamento giuridico che azzera il principio della inviolabilità dell’innocente, ricordava Sergio Cotta, un grande filosofo del diritto, rinuncia al suo scopo primario e affida le sue sorti al criterio dell’assoluta arbitrarietà. Nessuno potrà più sentirsi al sicuro.
Cos’è la dittatura del relativismo e perché sarebbe così pericolosa per il diritto alla vita se continuasse a insinuarsi nei nostri ordinamenti occidentali?
È una definizione assai efficace che dobbiamo a Benedetto XVI, il quale poco prima di divenire pontefice affermò: «Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni.
Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie». Quindi, da una parte, i principi assoluti, universali, eterni, immutabili e, soprattutto, non negoziabili, la tutela della Vita nascente, della Famiglia, della libertà di educazione, dall’altra sistemi valoriali sempre mutevoli, a seconda dei luoghi, delle epoche, delle mode (basta leggere un giornale progressista per scoprire che ogni giorno viene scoperto un nuovo “diritto civile”).
In particolare, nel campo della tutela della vita nascente la dittatura del relativismo è simbolizzata al meglio dal principio di gradualità, secondo il quale è l’uomo che di volta in volta decide, secondo criteri del tutto arbitrari – contesti storici, ambientali e temporali – da che momento la vita va rispettata. È un principio che ha trovato la sua prima applicazione nella celebre sentenza statunitense Roe Vs Wade del 1973, con la fissazione di ambiti temporali, trimestri, in cui sarebbe lecito eliminare l’essere umano.
Questo principio, poi mutuato dalle legislazioni europee, non ha alcun fondamento antropologico e scientifico e la sua validità è azzerata da un celebre giurista tedesco, Ernst Böckenförde, secondo il quale «Il concetto di un diritto alla vita graduale, se preso sul serio, è atto a distruggere lo stesso diritto alla vita… Questo diritto non può essere graduale, non può sussistere solo a metà. O sussiste o non sussiste».
Riguardo al tema dell’utero in affitto, anche in questo caso oggetto di un’importante iniziativa del Governo Meloni per affermarne una moratoria universale, perché si tratta di un’umiliazione come affermato nel libro In difesa dell’Umano?
Trovo estremamente umiliante che una donna sia costretta dalla sua condizione di povertà – chi non ha problemi economici, non mette a disposizione il suo corpo – ad affittare per nove mesi un suo organo e che, una volta divenuta madre, debba immediatamente lasciare per sempre suo figlio – con il quale, già durante la gravidanza si costituisce un rapporto di osmosi unico e irripetibile – a chi ha lo strapotere economico di toglierglielo.
Ricordo, per inciso, che le leggi di molti Stati, tra i quali il nostro, prevedono tassativamente che il cucciolo animale non possa essere allontanato dalla madre prima di un certo tempo. Infatti, è vietato allontanare i piccoli di cane e gatto dalla madre prima dei 60 giorni di vita, perché “un distacco precoce potrebbe avere serie ripercussioni sulla salute psico-fisica dell’animale”. Come dire, due pesi e due misure e sempre a discapito dell’umano.
Condivide la visione della 194 quale «legge molto equilibrata che mette dei paletti, ad esempio prevedendo il diritto all’obiezione di coscienza» che, ad esempio il ministro per la famiglia, la natalità e le pari opportunità Eugenia Roccella ha recentemente espresso?
Non la condivido per nulla, l’aborto di Stato istituito con la 194 è un abominio. Quella in cui cadono la Meloni e la Roccella – in compagnia di molte femministe – difendendo la 194, è una clamorosa contraddizione in termini, poiché l’utero in affitto – che loro condannano, giustamente, come reato universale -, l’aborto e la fecondazione artificiale sono figli gemelli della stessa madre, l’ideologia materialista, determinista e nichilista che lavora alacremente alla oggettualizzazione, alla cosificazione e alla reificazione dell’essere umano. Non qualcuno ma qualcosa, non soggetto ma oggetto, non persona ma cosa.
Nell’utero in affitto il bambino viene venduto – insieme all’organo della madre che viene, per l’appunto, affittato – con conseguente schiavitù dell’umano. Nella fecondazione artificiale l’essere umano viene fabbricato in serie, scartato ove non sia perfetto, con una scarsissima percentuale di sopravvivenza.
Nell’aborto – mediante la cosmesi semantica – l’individuo prima diventa prodotto del concepimento, tessuto embrionale, grumo di cellule e, infine, rifiuto speciale, con conseguente distruzione dell’umano. Ed è appena il caso di rilevare che la distruzione dell’umano è il peggio del peggio.
Aggiungo che la Meloni, donna che stimo, dopo il silenzio assordante sul diritto costituzionale all’aborto in Francia e sulla risoluzione UE di analogo tenore in relazione alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (detta anche “Carta di Nizza”, in quanto proclamata nella città francese il 7 dicembre 2000), parlando della 194, ha affermato che è una legge “di estremo equilibrio ed è ben fatta”.
La frase, purtroppo, è identica a quella proferita dal ministro Roccella, ex radicale, che lottò per ottenere questo mostro giuridico. Con la 194, “legge integralmente iniqua”, si stabilisce piuttosto chi ha diritto di continuare a vivere e chi no, e si applicano tre criteri crudeli, spietati e del tutto arbitrari che dovrebbero ripugnare a tutti: quello della gradualità, come detto, quello eugenetico e quello dell’autonomia.
Di cosa si tratta esattamente?
Con il principio della gradualità si decide quando e in che momento, un essere umano diventa tale (ma prima cos’è?).
Con il secondo, quello eugenetico, in caso di anomalie del concepito – dito in più, spina bifida, labbro leporino – si determina la sua eliminazione.
Con il terzo, infine, il principio dell’autonomia, si stabilisce che solo l’essere umano che può vivere autonomamente va tutelato (eppure nella nostra società bella, equa e solidale occorrerebbe sempre difendere i più deboli). Si violano, quindi, in una volta sola, il c.d. minimo etico – l’intransitabile frontiera del non uccidere – e tutti i principi solidaristici nei confronti delle future generazioni, tanto ipocritamente sbandierati.
La 194, in definitiva, è una legge antiumana, con la quale il più forte decide se e quando il più debole ha diritto alla vita.
Come descritto nella voce “obiezione di coscienza” del libro In difesa dell’Umano, sette medici su dieci in Italia sono obiettori a questa pratica delittuosa. Questa circostanza non dovrebbe giustificare anche da parte dei contribuenti la possibilità di un’obiezione di coscienza alle spese sanitarie pubbliche destinate all’aborto? Pur consentendo comunque (fino a che non sarà abrogata la legge 194) l’aborto di Stato, non si tratterebbe di un diritto civile per chi considera un’offesa nei confronti delle donne quella di finanziare la “scelta” omicida della c.d. Interruzione Volontaria della gravidanza?
Riguardo all’obiezione di coscienza, mi ricollego anche alla domanda precedente, e mi permetto di ricordare al ministro Roccella che, prima ancora di essere prevista nella legge 194, l’obiezione di coscienza ha rango costituzionale. L’obiezione di coscienza è, infatti, un diritto costituzionalmente tutelato e riconosciuto dal nostro ordinamento.
Uno Stato che dovesse negare l’obiezione di coscienza, si avvierebbe fatalmente e inevitabilmente a divenire uno Stato totalitario. L’obiezione di coscienza di natura fiscale, poi, ritengo sia assolutamente fondata e mi risulta sia proposta da varie realtà come, ad esempio, in Italia dall’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, seguendo l’alto riferimento di san Giovanni Paolo II che, nell’enciclica Evangelium Vitae [1995], scriveva che le leggi che permettono l’aborto «non solo non creano nessun obbligo per la coscienza, ma sollevano piuttosto un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante obiezione di coscienza» (n. 73).
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