Perché il testo Calabrò nasce per tutelare la vita ma rischia di consegnarla alla magistratura
di Alfredo Mantovano
deputato del PdL
Qualche sera fa, al termine di un convegno sul testamento biologico, un giovane presente mi chiede: ma se io sottoscrivo una polizza vita e dopo qualche tempo deposito al notaio la dichiarazione anticipata di trattamento, la polizza vale egualmente? Domanda strana? Tutt’altro; domanda che conferma come in un ordinamento giuridico orientato pro vita l’inserimento di un istituto che si muove pro morte produce effetti indesiderati, anche in ambiti distanti e imprevedibili. Conferma, cioè, come legiferare in un campo così delicato deve seguire criteri di cautela, all’esito di approfondimenti seri.
La legge sul “fine vita” non è necessaria in sé; nessuno ha mai abrogato le disposizioni che vietano l’omicidio, l’omicidio del consenziente; l’aiuto al suicidio. E’ diventata necessaria a seguito dello straripamento di una parte della giurisprudenza, che ha inventato disposizioni e principi di diritto contrari a quelli ricavabili dal sistema. Se però è necessaria una legge, non basta una legge qualsiasi, ma di una legge che sia il massimo della chiarezza.
Anche perché la confusione è ‘grande, spesso fra gli stessi addetti ai lavori; affrontando discussioni sul tema, di frequente capita di sentir definire col medesimo termine concetti distinti: come quando, per es., si sovrappone la nozione di consenso informato (che chiama in causa un paziente; una patologia in atto e la piena legittimità di rifiutare cure non desiderate) con quella di dichiarazione anticipata di trattamento (che invece presuppone un soggetto non ammalato, una patologia futura e incerta e una volontà che non: si capisce verso che cosa è orientata).
In una prospettiva di chiarezza, sarebbe andata benissimo la normasecca e inequivocabile: alimentazione e idratazione non costituiscono trattamenti sanitari! -proposta dal governo un mese fa, col disegno di legge arenato nell’aula del Senato la sera della morte di Eluana.
Tra “fine vita” e “morte imminente” che si fa?
Purtroppo è andata come sappiamo. E oggi ci troviamo alla vigilia della discussione, sempre a Palazzo Madama, di un testo approvato dalla Commissione Sanità, che – dal nome del relatore -è conosciuto come “d.d.l. Calabrò”. Il cui limite principale è di essere confuso, poiché affianca a condivisibili affermazioni di principio inaccettabili conseguenze concrete: è un testo nel quale il medesimo concetto viene ripetuto più volte con parole diverse, legittimando la scelta del giudice verso la soluzione che a lui piace di più.
Ma la funzione di legislatore impone di – cristallizzare le idee in parole il più possibile inequivoche: se le parole sono contraddittorie, il legislatore- abdica, alla propria sovranità e la delega ai giudici, cui spetterà il compito di interpretarle.
Un esempio? Con 55 parlamentari avevamo sollevato delle motivate perplessità, fra l’altro, sulla nozione di accanimento terapeutico. Il sen. Calabrò si era fatto carico di questa riserva e l’aveva accolta. Poi ci ha ripensato e ha proposto una nuova formulazione, approvata dalla commissione, in base alla quale la legge “garantisce che in casi di pazienti in stato di fine vita o in condizione di morte prevista come imminente, il medico debba astenersi da trattamenti; straordinari non proporzionati, rispetto alle condizioni cliniche del paziente e agli obiettivi di: cura e da,trattamenti configurati come accanimento térapeutico”.
L’interprete si chiederà in che cosa lo “stato di fine vita” differisce dalla “condizione di morte prevista come imminente”; e , soprattutto che cosa sono i “trattamenti configurati come accanimento terapeutico”, e in che cosa essi divergono da quelli praticati nello “stato di fine vita” o nella “condizione di morte prevista come imminente”. Non si tratta di annotazioni causidiche.
Alla luce del “caso Eluana”, in vicende simili se l’accanimento terapeutico può realizzarsi a prescindere da uno stato di “fine vita” o “di morte prevista come imminente”, il medico potrà affermare che l’alimentazione e l’idratazione di un soggetto in stato vegetativo costituiscono accanimento terapeutico, senza neanche pretendere che ci sia una dichiarazione anticipata.
Si dirà: ma in Parlamento ci state voi: perché non ne parlate e poi ci fate sapere? E’ proprio quello che si chiede da tempo: esaminare nel modo più attento ogni singolo passaggio, ponderare ciascun termine adoperato, immaginare le conseguenze di sistema derivanti dall’introduzione del nuovo istituto.
Il voto contrario – unico del Pdl – espresso al testo Calabrò in commissione dalla sen. Laura Bianconi vuole essere solo questo: un invito all’approfondimento finché si è in tempo. Prima che pezzi alla magistratura, col conforto aggiuntivo delle nuove disposizioni, riprendano a pronunciare sentenze di morte.