In fuga dall’islam

Famiglia Cristiana n.50 11 dicembre 2005

STORIE DI MUSULMANI CONVERTITI AL CRISTIANESIMO

In un libro le testimonianze sofferte di uomini e donne che hanno lasciato la loro fede per la nostra. Pagando con l’isolamento e, non di rado, anche con la vita

di Fulvio Scaglione

C’è chi ha combattuto in Bosnia e si è convertito in una cella di Regina Coeli. Chi nasce in una famiglia di pescatori, studia, fa carriera e adesso è novizio nella Compagnia di Gesù. E c’è la coppia di algerini della Kabilia che, dopo il battesimo, ha voluto prendere il nome di Monica e Agostino, due grandi cristiani della loro terra. Le storie dei musulmani convertiti al cristianesimo hanno quasi sempre due caratteristiche, due costanti: portano il crisma dell’eccezionalità e sono pericolose per i protagonisti.

Ce lo ricordano Giorgio Paolucci e Camille Eid nel loro libro, I cristiani venuti dall’islam (Piemme), impreziosito da una dotta e scorrevole prefazione di Samir Khalil Samir, che rende conto di come venga trattato il tema dell’apostasia nel Corano e nel corrente dibattito politico-religioso dei Paesi islamici. Siamo partiti da qui proprio perché le storie di questi convertiti al cristianesimo, raccolte dagli autori con pazienza e sfidando i comprensibili timori delle persone interpellate (quasi tutte costrette a una più o meno rigida forma di clandestinità), soffrono di uno straniamento particolarmente crudele.

Al dramma dell’allontanamento da una fede che in un modo o nell’altro li ha accompagnati fin da bambini si aggiunge la coscienza di rischiare una persecuzione tutta umana e terrena, perché non v’è passo del Corano (come spiega bene padre Samir, docente di Storia della cultura araba presso il Pontificio istituto orientale e altre università) che giustifichi la repressione delle conversioni.

Paolucci ed Eid sono appunto assai abili e puntuali nel cogliere la duplice dimensione di queste storie. Da ognuna di esse, infatti, traspira con tutta forza quella ventata nuova che deriva dalla scoperta della propria fede e che agisce sulle persone come una gioiosa inquietudine o come un balsamo di felice tranquillità.

È questo il caso, per esempio, di Amina, studentessa modello egiziana che cresce, però, per la preoccupazione dei genitori, fedeli musulmani, con un’inquietudine religiosa non comune nel suo ambiente. O di Devrim, una giovane donna turca che scopre il cristianesimo dopo il matrimonio civile con un italiano e perfeziona la scoperta nel cammino insieme compiuto verso il matrimonio religioso.

O di Bujar, ingegnere albanese che prima soffre la repressione dell’islam (la fede della sua famiglia) da parte del comunismo, poi affronta la scoperta del cristianesimo nella condizione dell’esule per bisogno, costretto a fare i conti con l’anima mentre deve anche far quadrare quelli con la vita di ogni giorno. E questi sono i casi più semplici, per quanto “semplice” e “pacifico” possa essere un mutamento così radicale della vita spirituale di una persona.

In moltissimi altri casi, convertirsi vuol dire mettere a rischio la vita, e spesso anche perderla. Le storie più distesamente raccontate coinvolgono persone che oggi vivono in Italia e che, nonostante questo, preferiscono mantenere un velo di protettivo riserbo. Paolucci ed Eid, però, completano il libro con un’esaustiva carrellata sulle leggi e sulle regole che, nei Paesi islamici, pretendono di limitare la libertà di coscienza e di culto.

Si va dall’Arabia Saudita, di solito definito “Paese arabo moderato”, dove la libertà religiosa è con più tenacia negata, alle Costituzioni che formalmente la riconoscono e nella sostanza la rifiutano, dalle fatwa iraniane alle leggi speciali del Sudan. Un campionario tragico dell’intolleranza di cui è bene avere non solo coscienza ma anche conoscenza.