Il Foglio quotidiano 18 febbraio 2014
I fanatici del politicamente corretto. Parla il prof. Torella
di Giulia Pompili
Roma. Una scuola cristiana di Delhi è stata vandalizzata giovedì scorso, durante la notte. Cinque chiese sono state attaccate, in una serie di intimidazioni che fanno pensare a una nuova ondata di aggressioni nei confronti delle minoranze religiose in India. Per giorni il primo ministro indiano, Narendra Modi, fresco di una visita tutta abbracci e affettuosità con il leader del mondo libero Barack Obama, ha taciuto sugli avvenimenti. Ha taciuto anche quando centinaia di cristiani hanno manifestato, lo scorso 5 febbraio, per le strade di Delhi chiedendo al governo più protezione.
Dopo l’attacco alla scuola, il primo ministro ha convocato il capo della polizia chiedendo di risolvere al più presto la situazione. Ieri, però, Modi è intervenuto a una celebrazione organizzata dalla chiesa cattolica al centro congressi Vigyan Bhawan e ha mandato un messaggio abbastanza chiaro: “Il fanatismo non sarà tollerato. Il mio governo nutre eguale rispetto nei confronti di tutte le religioni e non permetterà nessuna forma di violenza nei confronti di alcuna religione”. E poi: “Ognuno ha l’innegabile diritto di avere o adottare una religione a sua scelta, senza coercizioni o condizionamenti”, facendo presente che “il mondo è sempre più testimone della divisione e delle ostilità per questioni religiose, e il problema è diventato di interesse globale”.
Dunque, secondo Modi, “l’antica tradizione indiana del reciproco rispetto per tutte le fedi ora sta cominciando a manifestarsi nel dialogo globale”. E’ per questo “rispetto per le minoranze religiose” che Shirin Dalvi, direttrice del giornale urdu di base a Mumbai Avadhnama, è stata arrestata il 28 gennaio scorso. Secondo l’accusa, l’aver ripubblicato una copertina di Charlie Hebdo con Maometto che piange per raccontare il massacro alla redazione francese da parte dei fondamentalisti islamici ha “violato le norme sul rispetto delle minoranze religiose”.
“Nel braccio di ferro tra libertà di stampa e di religione in India, la religione ha spesso prevalso”, scrive Neha Thirani Bagri sul New York Times. Shirin Dalvi è fuori su cauzione ma deve nascondersi perché è minacciata, il suo giornale ha chiuso. “Modi manda dei segnali molto contraddittori, ma non credo che possa incantare chi conosce la cultura e la tradizione indiana”, dice al Foglio Raffaele Torella, ordinario di Lingua e letteratura Sanscrita all’Istituto italiano di Studi orientali della Sapienza di Roma.
“L’attuale primo ministro indiano è legato ai fondamentalisti, all’estrema destra indiana, al Partito Shiv Sena”, e molti dei voti che hanno portato alla vittoria Modi sono infatti quelli della destra hindu, organizzata nel Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss). “Che proprio lui si possa presentare come il campione delle uguaglianze religiose è quantomeno sospetto”, prosegue Torella: “Può cercare di temperare le sue reali tendenze, ma io non gli credo. Adesso si mostra irenico, ma recentemente ha fatto scalpore la notizia che ci fossero delle cospicue offerte in danaro per chi, cristiano, si riconvertisse all’induismo”.
E’ difficile parlare di libertà d’espressione, in India, come la intendiamo noi: “Il governo ha fatto cambiare i libri di storia. Ogni visione critica della realtà indiana viene molto scoraggiata, addirittura combattuta: ti sequestrano i libri, li bruciano”. Torella cita il caso di Wendy Doniger e del suo libro “The Hindus: An Alternative History” che all’inizio del 2014 fece scalpore: la ricostruzione della Doniger, secondo i gruppi tradizionalisti hindu, dava un’immagine distorta della storia. Lei perse la causa in tribunale, la Penguin India dovette distruggere tutte le copie disponibili alla vendita. E cosa succede, se si fa satira sull’induismo? “In India, una cosa come quella che hanno fatto al Charlie Hebdo sarebbe andata ancora peggio che con l’islam. Non è possibile fare satira su ciò che è sacro, neanche in India”.