Questo, almeno, è il proposito congiunto del governo e della Chiesa. Ma la realtà è opposta. Infanticidio e aborto selettivo hanno fatto sparire 60 milioni di donne
Sandro Magister
Gli aborti che più preoccupano le autorità indiane sono quelli mirati a selezionare il sesso dei nascituri, eliminando le femmine. Dal 1994 vi sono norme che vietano tale selezione. Ma esse sono largamente aggirate. “Contro gli aborti selettivi possiamo combattere solo cambiando il modo di pensare della popolazione”, ha detto il ministro della salute e della famiglia, Anbumani Ramadoss, in un discorso a metà attobre.
“E il cambio di mentalità può avvenire solo con l’aiuto di chi viene ascoltato, ovvero i leader religiosi. Entro novembre incontreremo tutti i leader religiosi a Delhi per pianificare un lavoro comune che interessi tutta l’India”.
La Chiesa cattolica ha risposto positivamente all’invito. Intervistato da “Asia News”, il segretario della commissione salute della conferenza episcopale indiana, padre Alex Vadakumthala, ha detto:
“Il ministro Ramadoss ha studiato in una scuola cristiana e ci conosce bene. Sinceramente apprezza l’impegno dei cattolici nel campo educativo, sanitario e sociale. Questo impegno è particolarmente sviluppato in Karnataka, Tamil Nadu, Kerala e Andhra Pradesh. Abbiamo 600 suore medici e già questa è una cosa unica in India. Le religiose operano quasi tutte nei villaggi, dove mancano ambulatori o dispensari. Naturalmente, abbiamo detto chiaro al governo che collaboriamo solo se vengono rispettate l’etica e la morale cattolica”.
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Nel suo ultimo rapporto sulla popolazione mondiale l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di demografia stima in 60 milioni le “missing girls”, le giovani donne dell’Asia che mancano nelle statistiche, gran parte delle quali in India.
Ovunque nel mondo la media naturale dei concepimenti è di 103-107 femmine ogni 100 maschi. Ma quando si passa a contare i nati, in India le femmine risultano molte di meno. Nel 1981 c’erano in India 962 bambine sotto i 6 anni ogni 1000 maschi. Nel 1991, 945. E nel 2001, anno dell’ultimo censimento, 927.
Se poi si guarda dove questo calo è più forte, si scopre che i numeri più bassi di bambine sono nelle città e negli stati relativamente più ricchi: Haryana, Gujarat e Punjab. Qui le bambine sono in media meno di 800 ogni 1000 maschi.
Nella capitale, Delhi, le femmine sotto i 6 anni sono 821 contro 1000 maschi. Ma gli indici cambiano di molto se rapportati alle diverse religioni. Tra i cristiani le femmine sono 988, tra i jainisti 935, tra i sikh 829, tra gli induisti 817, tra i musulmani 782.
Nell’insieme dell’India, tra i cristiani le bambine sono 964 ogni 1000 maschi, tra i musulmani 950, tra i buddisti 942, tra gli induisti 925, tra i jainisti 870, tra i sikh 786.
A questo innaturale squilibrio contribuisce il fatto che la nascita di una bambina, a differenza di un maschio, è vissuta da molte famiglie indiane come un peso insopportabile, soprattutto per la costosissima dote che, secondo tradizione, dovrà accompagnare il suo matrimonio.
Fino a qualche decennio fa l’infanticidio delle bambine era lo strumento più diffuso per liberarsi da questo peso. Anche oggi continua a essere praticato. Inoltre, le minori cure che si riservano alle bambine fanno sì che tra esse la mortalità infantile sia più alta che tra i maschi.
Ma, dagli anni Ottanta, a questa tradizione di rifiuto delle bambine si è aggiunta la tecnologia. I test per individuare il sesso del nascituro sono sempre più diffusi e utilizzati, e consentono di anticipare l’infanticidio delle bambine a prima della nascita, con un numero massiccio di aborti selettivi. La legge consente ai medici di comunicare ai genitori solo le condizioni di salute del feto, non il suo sesso; ma il divieto è ovunque eluso, in cambio di denaro.
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Sull’equilibrio demografico gli effetti di queste “missing girls” sono pesantissimi. Milioni di giovani indiani restano senza una donna con cui creare una famiglia. “A nation without women”, una nazione senza donne: è il titolo di un film che comincia con una madre che annega la sua bambina appena nata in un secchio di latte.
Anche i cristiani, sia pur meno che altri, risentono di questa tendenza generale. La Chiesa cattolica celebra da qualche anno, il 24 settembre, la Giornata della Bambina, ma riconosce d’essersi mossa con ritardo. “La ragione per cui siamo stati così a lungo inattivi è perché il fenomeno è di dimensioni gigantesche: lo sentivamo superiore alle nostre forze, come risolvere il problema della povertà”, ha detto Donald H. R. De Souza, vicesegretario generale della conferenza episcopale dell’India.
Oggi, però, sia le autorità di governo che quelle religiose concordano nel correre ai ripari. Lo stato dell’Andhra Pradesh ha stanziato per ogni nuova nata una somma di 100.000 rupie, con cui essa pagherà gli studi e il cui rimanente sarà suo quando compirà 20 anni.
L’Indian Medical Association ha lanciato un appello ai leader religiosi per fermare questo “silenzioso olocausto” di bambine. Nei giorni scorsi si è messa in moto una carovana di veicoli per attraversare il paese e risvegliare l’attenzione sul disastro demografico in atto. È guidata dal leader induista Swami Agnivesh: “Non c’è forma più dolorosa, abominevole e priva di pudore di questo aborto di massa”.
Persino l’ONU – in genere impegnatissima a promuovere l’aborto “legale e sicuro” – ha fatto appello perché si ponga fine a questo aborto selettivo. Commenta Seema Sirohi, autorevole columnist del settimanale indiano “Outlook”, in un articolo apparso negli Stati Uniti su “The Christian Science Monitor”: “Sbaglia di grosso chi sostiene che le indiane che abortiscono i feti femmina esercitino una loro ‘libertà di scelta’. Una tipica donna indiana ha poca o nessuna libertà. Metà della sua vita è determinata dalle ristrettezze economiche, l’altra metà dalle regole patriarcali. Per essere accettata deve generare un figlio maschio. A differenza delle americane, le femministe indiane non si stanno battendo per difendere la legalità dell’aborto, visto che non c’è niente che la minacci. La battaglia qui consiste nel fare della nascita di una figlia un evento gioioso quanto la nascita di un maschio”.
La nonna materna di Seema Sirohi, insolitamente autonoma rispetto agli standard dell’India, ebbe nove figli, dei quali uno solo era maschio. “Ma ricordo che mi raccontava ridendo di donne da lei conosciute che somministravano erbe avvelenate alle loro bambine. Ella trattò il suo unico figlio maschio come un’altra divinità dell’ampio pantheon degli dei da lei venerati. Lasciò ogni cosa, compresa la grande casa nella quale viveva, a suo figlio. E questi la cacciò pochi giorni dopo la morte del nonno. Nei suoi ultimi anni furono le figlie che si presero cura di lei, non il figlio maschio”.
Seema Sirohi è sposata con un diplomatico americano, cattolico, Christopher Sandrolini, da quest’anno incaricato d’affari dell’ambasciata degli Stati Uniti presso la Santa Sede, a Roma.