In nome di Allah

Africa_islampubblicato il 29 agosto 2003 su http://www.ragionpolitica.it/

di Anna Bono

Nel tempo in cui sembravano esistere due sole potenze e due soli modelli di vita – quello occidentale cristiano e quello comunista – capaci di attrarre l’umanità e di contendersi il pianeta, cresceva invece una “terza via” alternativa ad essi, approfittando talvolta dei loro errori, dei loro punti deboli e del loro stesso antagonismo per estendere la propria influenza: l’islam.

Oggi ha fronti aperti in tutti i continenti, non esclusa l’Europa dove ideologie antioccidentali e scarsa istruzione hanno talmente estraniato le ultime generazioni da renderle per lo più inconsapevoli del fatto che senza proprietà privata e timor di Dio la Terra sarebbe ancora un mondo inospitale, disabitato e incolto.

Ma per l’islam il terreno di conquista più facile è l’Africa.

Il 38 per cento dei musulmani del mondo vive in Africa: vale a dire 380 milioni di persone, pari al 50 per cento circa della popolazione continentale; nelle regioni subsahariane, dove abitano 150 milioni di islamici, la percentuale equivale al 30 per cento. 22 stati africani sono membri dell’Organizzazione della Conferenza islamica (la maggiore organizzazione internazionale islamica, istituita nel 1971 per promuovere la solidarietà e la cooperazione tra i paesi musulmani) e 10 stati (Algeria, Comore, Gibuti, Egitto, Libia, Mauritania, Marocco, Somalia, Sudan e Tunisia) fanno parte della Lega Araba.

Nell’Africa subsahariana l’islam attualmente è maggioritario in sei paesi: Ciad, Gambia, Guinea Conakry, Mali, Senegal e Sudan; e quattro paesi sono quasi totalmente musulmani: Gibuti, Mauritania, Niger e Somalia. In Nigeria metà della popolazione – 58 milioni di persone – è islamica e in 12 dei 30 stati che compongono la federazione nigeriana, quelli settentrionali a maggioranza musulmana, è stata introdotta la legge coranica, la sharia. In tutto il continente i convertiti all’islam negli ultimi 15 anni sono stati 30 milioni.

Se Allah è il dio più invocato in Africa molto si deve al leader libico Muammar Gheddafi e all’Arabia Saudita. Gheddafi, al potere dal 1969, si prodiga da oltre trent’anni per diffondere la da’wa, cioè l’annuncio islamico, in tutto il continente. Tramite la Wics (World Islamic Call Society), fondata nel 1972, ha finanziato la costruzione e il mantenimento di decine di moschee e di centri islamici e la distribuzione di milioni di copie del Corano.

Nella sua quinta conferenza generale, l’associazione ha ribadito come sui obiettivi prioritari: “diffondere l’arabo in quanto lingua del glorioso Corano e richiedere che tutti gli stati islamici lo adottino come lingua ufficiale a tutti i livelli del sistema scolastico e formativo; spingere gli stati islamici ad adottare il sacro Corano come fonte del diritto e a modificare le leggi esistenti affinchè siano conformi ai principi dell’islam”. Gheddafi è anche ideatore e finanziatore del nuovo organismo panafricano, l’Unione Africana (e in virtù di ciò ha ottenuto che quest’anno il suo paese presiedesse la Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite).

L’Arabia Saudita esercita in Africa come in altri continenti un’influenza profonda e capillare, introducendo ovunque l’islam a dir poco rigoroso della corrente wahabita. Agisce attraverso accordi di cooperazione bilaterale tra stati e tramite numerose organizzazioni non governative che, insieme agli aiuti materiali, portano messaggi antioccidentali e anticristiani. Inoltre promuove l’arabizzazione dei paesi subsahariani ospitando e istruendo sempre nuove leve di giovani africani che, al ritorno in patria, diffondono l’insegnamento religioso saudita.

Ma la facilità con la quale gli africani scelgono Allah come loro dio, e quindi il successo delle attività realizzate da Gheddafi, dall’Arabia Saudita e, in misura minore, da altri stati, dipende prima di tutto dall’affinità della cultura araboislamica che fin dall’inizio si è dimostrata perfettamente compatibile con i valori e le istituzioni tradizionali africane: il dio di Maometto non chiede agli africani rinunce né rotture con il passato, non per esemplare tolleranza, ma per identità quasi totale di principi