di Piero Sinatti
Le elezioni regionali svoltesi domenica hanno interessato 31 milioni di elettori. Si dovevano rinnovare le assemblee legislative di 14 soggetti della Federazione russa (su 87). La partecipazione è stata bassa, come previsto. Poco più del 39% degli elettori ha partecipato al voto (contro il 36,5% del voto regionale del 2006). La maggioranza degli elettori si è disinteressata di un voto che almeno in teoria dovrebbe influenzare le decisioni più importanti di quelle assemblee, tra cui le spese sociali e la scelta del governatore sulla rosa dei candidati presidenziali.
Ma il dato più atteso, al di là dell’affluenza, era il risultato ottenuto dal nuovo partito, Russia Giusta (RG). Creata lo scorso ottobre dal presidente della Camera alta Sergej Mironov (un concittadino e protégé di Putin), grazie a un’operazione di ingegneria politica sostenuta dal Kremlino, RG ha superato gli sbarramenti e ottenuto i mandati in tutte le 14 regioni. Un successo, per un neo-concorrente. Tuttavia aspirava al secondo posto in tutte le 14 regioni. Lo ha ottenuto, invece, solo in cinque regioni, tra cui San Pietroburgo e Dagestan. Ed ha vinto solo nella regione meridionale di Stavropol’.
Nelle altre otto ha ottenuto solo il terzo o quarto posto, anche con percentuale a una cifra. RG (chiamato anche il “Partito del Potere n. 2” per il patrocinio di Putin) non è riuscito, per ora, nel compito assegnatogli dal Kremlino: quello di ridurre ulteriormente la consistenza elettorale del Partito comunista di Gennadij Zjuganov, sottraendogli voti.
Il PC, infatti, nonostante gli scarsi finanziamenti ricevuti per la campagna elettorale in confronto a quasi tutti gli altri partiti in lizza e la sua esclusione pressoché totale dalle TV (dove l’hanno fatta da protagonisti Russia Unita e RG), si è confermato il secondo partito in sette regioni e il terzo in altrettante. In sostanza, risulta ancora il secondo partito russo. Con una percentuale superiore a quella ottenuta alle politiche di quattro anni fa (il risultato più basso della sua storia).
Nonostante gli slogan e il programma di sinistra sbandierati da Mironov, RG non è riuscito a prenderne il posto. Il fatto è che se da una parte RG si è presentata come una sorta di partito d’opposizione, il suo leader Mironov, dirigendo da cinque anni la Camera Alta, non ha mai preso le distanze da Putin e dal “Partito del Potere n. 1”, Russia Unita (RU). E proprio RU, nonostante l’apparizione spesso aggressiva del suo concorrente presidenziale “di sinistra”, ha vinto in 13 regioni su 14, superando in alcune di esse il 50% dei suffragi.
RU è il partito dei governatori, dell’apparato amministrativo a tutti i livelli, delle oligarchie economiche, delle “strutture della forza” (ministero degli interni, della difesa, FSB). È stata finora lo strumento legislativo di Putin. RU ha vinto anche a San Pietroburgo, dove il partito di Mironov (secondo solo a RU per i finanziamenti ricevuti) godeva del sostegno di uno dei maggiori gruppi immobiliari e di costruzioni russi e aveva svolto la più aggressiva campagna elettorale nei confronti di comunisti e RU. Ha ottenuto mandati in tutte le 14 regioni, anche il Partito (sedicente) liberal democratico (LDPR), fondato e diretto dal demagogo nazional-populista Vladimir Zhirinovskij. È il “partito del potere” di riserva: si autodefinisce d’opposizione, ma dall’epoca di Eltsin a ora ha sempre votato a favore delle fondamentali decisioni del Kremlino. Tuttavia, il consenso attorno ad esso si restringe.
Allora, se le elezioni di domenica sono state una prova generale di quelle di dicembre, sono questi tre i partiti destinati a rientrare nella Duma: RU, comunisti e zhirinovskiani. Con loro, vi entrerà RG. Un risultato comunque notevole, per un partito con pochi mesi di vita (ma con mezzi e accessi mediatici più che abbondanti). Per il momento appare ancora lontano il bipartitismo che gli architetti del Kremlino (come il maggior consigliere di Putin, Vladislav Surkov), vorrebbero far camminare sulle due gambe rappresentate dai “partiti del potere”, RU e RG, sbarazzandosi finalmente dell’opposizione comunista.
Ma il PCFR, unico reale partito d’opposizione sociale e politica (ben più anti-occidentale di Putin in politica estera), dispone ancora di uno zoccolo duro nel Paese. Non sono solo le vecchie generazioni a votarlo. Infine, nettamente sconfitti appaiono i due partiti di orientamento liberale e “filo-occidentale”, che dovrebbero rappresentare i nuovi strati borghesi economicamente attivi, l’intelligentsija non radicale. Jabloko, non ammesso alle elezioni nella sua roccaforte di San Pietroburgo con vari pretesti e bandito dalla TV più dei comunisti, non ha superato le percentuali di sbarramento in nessuna delle 14 regioni. Ala di sinistra dei liberali, Jabloko sembra vicino all’esaurimento della sua parabola politica, nonostante il prestigio intellettuale e la dignità morale del suo leader, Grigorij Javlinskij.
Ha superato invece gli sbarramenti (per lo più al 7%) l’ala di destra dei liberali – l’SPS (Unione delle Forze di Destra), il partito dei riformatori (impopolarissimi) degli anni Novanta. Ma solo in cinque regioni (tra cui San Pietroburgo). SPS e Jabloko scontano la mancata unificazione elettorale, oltre che la loro poco numerosa base sociale. Per cercare di sopravvivere e tornare nella Duma (da cui nel 2003 furono esclusi) dovrebbero accordarsi per presentarsi uniti al voto. È improbabile che lo facciano. D’altra parte, non sarebbe facile per loro superare lo sbarramento fissato al 7% (due per cento in più che alle elezioni del 2003).
Se i risultati di domenica si confermeranno a dicembre, la Duma sarà rappresentata dai quattro partiti che in varia misura hanno superato la prova dell’11 marzo. Anche se Russia Giusta potrà accelerare e vincere posizioni nel rush finale del prossimo autunno. I santi in Paradiso non le mancano