Newletter di Giulio Meotti
11 Marzo 2022
Così il filosofo della Sorbona Rémi Brague. Il New York Times pubblica un articolo agghiacciante che lo conferma. “Chi dissente dal mainstream abbassa la voce e distoglie lo sguardo”
di Giulio Meotti
“Ogni settimana cerco l’orario d’ufficio di una professoressa del dipartimento di filosofia disposta a discutere con me complesse questioni etiche sollevate dal suo corso su genere e sessualità. Parliamo piano, come se qualcuno potesse sentirci.
Voci sommesse e sguardi ansiosi dettano le conversazioni nel campus, dove sto finendo il mio ultimo anno. Un’amica abbassa la voce per lamentarsi dell’ostracismo, un amico chiude la porta quando cito una conferenza che difende Thomas Jefferson dalla critica. Il suo coinquilino potrebbe sentirci, spiega”.
Si apre così un agghiacciante articolo di Emma Camp sul New York Times, emblematico di come il mainstream non ammetta dissenso in Occidente (no, non c’è soltanto la censura putiniana).
“Studenti di tutte le idee politiche si trattengono – nelle discussioni in classe, nelle conversazioni amichevoli, sui social – dal dire ciò che pensano veramente. Il contraccolpo per le opinioni impopolari è così comune che molti studenti hanno smesso di dire la propria, temendo voti più bassi se non si autocensurano”.
Secondo un sondaggio del 2021 gestito da College Pulse su oltre 37.000 studenti in 159 college, l’80 per cento degli studenti americani si autocensura. “Alla fine, le nostre discussioni sono diventate monotone camere d’eco. In assenza di dibattiti e rigore, ci siamo impantanati in idee socialmente sicure”.
“La diversità dei punti di vista non è più considerata un valore”, dice a Emma Camp il professor Samuel Abrams, docente al Sarah Lawrence College.
“Nel 2018, dopo aver pubblicato un’opinione sul Times in cui criticava ciò che considerava una mancanza di diversità ideologica tra gli amministratori universitari, la porta del suo ufficio è stata vandalizzata. I manifestanti studenteschi hanno chiesto che il suo mandato fosse rivisto. In risposta all’incidente, solo 27 docenti hanno firmato una dichiarazione a sostegno della libertà di espressione, meno del 10 per cento dei docenti del college”.
La cultura si sta “autocancellando” perché si preferisce rimanere in silenzio piuttosto che subire contraccolpi, ha detto Tom Stoppard, il celebre drammaturgo inglese per cui l’erosione della libertà di parola ha lasciato le persone a rischio di essere “spacciate” a vita per i commenti “sbagliati”.
“Non è tanto la cancellazione quanto l’autocancellazione. Le persone procedono con cautela, stanno attente a quello che dicono”.
La paura di offendere è ora così endemica che anche gli editori si stanno autocensurando, rivela il Times. Il premio Nobel per la Letteratura Kazuo Ishiguro, l’autore di Quel che resta del giorno, alla Bbc ha detto che un “clima di paura” sta incoraggiando l’autocensura.
Sulla rivista inglese Prospect, un’altra celebre scrittrice, Lionel Shriver, spiega che “è impossibile valutare il grado di censura politicamente corretta in atto dietro le quinte di case editrici e agenzie letterarie. Altrettanto impossibile valutare l’estensione dell’autocensura collettiva degli autori”. Un romanziere all’Irish Times di ieri dichiara: “Molti autori famosi cestinano interi romanzi per paura di una reazione online…”.
Una inchiesta appena uscita sul Times spiega che “otto anni fa gli studenti dell’Università della California chiesero di censurare Francis Scott Fitzgerald, Virginia Woolf e, ovviamente, William Shakespeare. Oggi 6.701 libri sono inseriti in un database della censura”.
C’è un avvertimento anche per Le Baccanti di Euripide…Bisognerà nel frattempo tenere una rubrica quasi quotidiana sulla nuova cancel culture anti-russa, considerando che le orchestre sinfoniche in tutta Europa stanno cancellando le musiche di Ciaikovskij (che fu bandito solo dai nazisti) e che a Firenze a qualcuno è venuto in mente anche di abbattere una statua di Dostoevskij.
E se questa campagna culturale riuscirà, come sta accadendo, poi la useranno contro altre culture, altre storie, altre idee. Vasto è il programma della cancel culture….
Pensiamo che si fermeranno ai musicisti russi, ma non è così. In Australia in queste ore si dibatte se censurare la Turandot di Puccini…In America hanno appena rifatto il Fidelio di Beethoven secondo Black Lives Matter…
Perché come spiega il filosofo della Sorbona Rémi Brague nell’ultimo numero della rivista spagnola Misión, “ci vuole solo una generazione per perdere la cultura dell’Occidente. Una cultura è sempre qualcosa di fragile.
E la distruzione culturale può andare molto veloce. Dobbiamo ricordare che la distruzione è più facile della creazione, perché richiede meno tempo. Ecco perché la cancel culture si sta muovendo così velocemente. La barbarie ha sempre un vantaggio sulla cultura, basta seguire il flusso, mentre la cultura richiede uno sforzo per preservarla”.
E poi devi crederci e oggi non ci crede più nessuno…
“Putin ha ravvivato l’idea di ‘Occidente’. Ma è una buona idea?”, si domandava ieri il New York Times.
L’esito finale di questo suicidio di civiltà sarà quello indicato sul settimanale Der Spiegel da Christoph Heusgen, storico consigliere di politica estera di Angela Merkel: “Ho eliminato il termine ‘Occidente’ dal mio vocabolario”.
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