Non solo integralismo islamico: in India cresce l’intolleranza nei confronti delle religioni, soprattutto della minoranza cristiana Per convertirsi un adulto deve domandare il permesso allo Stato Sacerdoti uccisi, cappelle distrutte, violenze su credenti e suore… La Chiesa denuncia persecuzioni dietro le quali c’è il nazionalismo del partito al governo: che strumentalizza l’induismo
di Piero Gheddo
Nel 2002 ci sono stati 8 casi di preti, suore o laici cristiani uccisi da estremisti indù; oltre a chiese e cappelle distrutte, suore violentate, testi sacri e oggetti religiosi dati alle fiamme. Un fatto recente: in una scuola cattolica una ragazzina viene violentata e uccisa in un bagno. Corre voce che i responsabili siano i sacerdoti della scuola. Sommosse popolari obbligano la polizia ad arrestare tre preti. Alcuni giorni dopo viene scoperto il colpevole confesso, del tutto estraneo alla scuola cattolica. Ma i preti rimangono in prigione alcuni giorni.
Quel che preoccupa la Chiesa indiana non sono solo casi come questi, ma l’atmosfera generale d’intolleranza che sta crescendo nei confronti dei fedeli di altre religioni; il partito al governo, pur condannando i fatti criminali, sembra appoggiare l’indutva (nazionalismo culturale-religioso indù). Alcuni danno di questo fenomeno una lettura almeno in parte positiva: il popolo indiano sta prendendo coscienza della sua tradizione religiosa e dei suoi valori, liberandosi da un complesso d’inferiorità che ha maturato fin dal tempo coloniale verso l’Occidente e la sua religione. Nella prossima primavera si avranno in India le elezioni politiche generali e si teme che il Bharatiya Janata Part, (Bjp, «Partito del popolo indiano») avrà un numero ancor maggiore di voti, aumenteranno le pressioni giuridico-amministrative nei confronti delle religioni minoritarie e i gruppi fanatici saranno ancor più tollerati.
La riforma religiosa dell’induismo è nata all’inizio dell’800 («neo-induismo») come reazione al forte influsso dell’Occidente e poi della colonizzazione inglese e delle missioni cristiane; poi è diventato il movimento del «risveglio indù» (hindu jagaran), di carattere religioso ma anche culturale e politico, nel quale si iscrivono grandi personalità indiane degli ultimi due secoli: Ram Mohan Roy, Saraswati, Ramakrishna, Vivekananda, Gandhi, Vinoba Bhave, eccetera. Questa rinascita indù ha purificato la tradizione da pratiche oggi impresentabili: le caste, l’intoccabilità (i fuori casta), il sati (immolazione della moglie sulla pira del marito), l’idolatria e il politeismo, per ricordarne alcune.
Dopo l’indipendenza (1947) l’India divenne uno Stato laico (secondo la Costituzione), ma fin dall’inizio si sono affermati gruppi radicali e spesso violenti che inalberano l’orgoglio indù come bandiera per una saffronization of politics («zafferano» è il vestito dei santoni indù), creando il movimento definito «Hindu communalism» (politicizzazione dell’induismo). Dopo la morte di Indira e del figlio Raijv Gandhi e la decadenza del Congress Party artefice dell’indipendenza indiana, negli anni Novanta si è affermato il Bjp, che congiunge l’integralismo religioso con un orientamento politico nazionalista ispirato al fascismo e al nazismo (almeno ai loro filosofi e pensatori).
Il nemico da combattere non sono gli ebrei, ma musulmani e cristiani.
Su questo nazionalismo che strumentalizza la religione sono poi cresciuti i gruppi estremisti. Il primo fatto macroscopico è stata la distruzione della grande e antica moschea di Ayodhya il 6 dicembre 1992, con circa duemila musulmani ammazzati nello Stato di Gujarat. Lì i gruppi violenti hanno dimostrato di saper usare la forza e averla vinta sulla polizia e la legge. Da allora in poi questi gruppi sono cresciuti. Varie personalità del Bjp si sono compromesse con gli estremisti, anche se ufficialmente si dissociano.
E i cristiani? Essi in India hanno grande visibilità perché da un terzo a un quarto delle opere educative e sociali per la gente più povera (ma anche molte scuole per le élites) sono gestite dalle Chiese cristiane, specie dalla cattolica, che in campo scolastico dà una testimonianza straordinaria (tutti vorrebbero andare a scuola da preti e suore!). Una statistica di trent’anni fa dice che l’80% dei lebbrosari erano cattolici.
Oggi no, perché lo Stato ha fatto molto. Fin che l’estremismo indù usava violenza contro i musulmani, le Chiese cristiane tacevano. Adesso sono loro le vittime e si sono svegliate, specie da quando nel gennaio 1999 nell’ Orissa venne ucciso il medico australiano protestante Graham Staines e i suoi due figli, da quarant’anni viveva in India: ucciso in modo macabro con l’accusa di fare proselitismo curando i lebbrosi e i poveri.
Oggi le violenze anti-cristiane non sono più isolate in certi Stati del nord (Gujarat, Bihar, Madhya Pradesh, Orissa, Uttar Pradesh, Bengala), ma sono diffuse in tutto il Paese, anche nel sud. Ne dà spesso notizia l’agenzia Asia News (www.AsiaNews.it). L’ultimo fatto grave sono le leggi contro le conversioni, già approvate almeno in tre Stati: Orissa, Gujarat, Tamil Nadu. Se vuoi battezzare una persona adulta, devi chiedere il permesso alla polizia e al giudice. E il permesso lo danno solo dopo indagini e interrogatori. La legge è motivo di pressioni contro la Chiesa e quelli che vogliono convertirsi. Gli estremisti vanno nelle case a fare il lavaggio del cervello ai catecumeni. I giornali scrivono: «No alle conversioni forzate!». La parola magica è «proselitismo».
I cristiani vivono col timore che succedano altre violenze, c’è una pressione crescente. Se ne parla, si fanno convegni, la Chiesa pubblica ogni anno un elenco dei fatti di intolleranza contro cattolici e protestanti, decine e decine di casi; in alcuni si parla apertamente di persecuzione. Anche se, in certi casi, la leva per contrastare le altre religioni è il nazionalismo; e l’induismo viene solo strumentalizzato a questo fine.