di Massimo Introvigne
È permesso non unirsi al coro, un po’ provinciale, di quanti esultano per la vittoria in India del Partito del Congresso guidato dalla vedova di Rajiv Gandhi, Sonia, che si considera indiana ma è nata in Piemonte?
Archiviata la curiosità di un’italiana che vince le elezioni nella più grande democrazia del mondo, vale la pena di guardare oltre. Il partito che lascia il potere è il Bharatiya janata party (Bjp). Il Bjp origina dalla famiglia ideologica nata dalla grande organizzazione indiana Rashtriya swayamsevak sangh (Associazione dei Volontari della Nazione, Rss), che propone una difesa intransigente dell’identità indù dell’India, con campagne contro i missionari cristiani e musulmani e gesti simbolici come la distruzione da parte della folla, nel 1992, della moschea eretta in epoca Mogul sul luogo, ad Ayodhya, dove la tradizione indù colloca la nascita di Rama, una delle più popolari incarnazioni di Vishnu.
Di fatto, però, la coalizione che si esprime nel Bjp comprende una ricca varietà di correnti e gruppi che vanno da un fondamentalismo indù radicale a forme di conservatorismo piuttosto pragmatico. Sono state queste ultime a prevalere nella classe dirigente del Bjp, anche se non senza occasionali compromessi con tendenze più estremiste, presenti nell’elettorato e tra i quadri del partito.
Il primo ministro Vajpayee ha saputo così coniugare ultra-antico e ultra-moderno: simboli che risalgono ai Veda e ai poemi epici e una decisa modernizzazione dell’economia in direzione del libero mercato, con risultati economici da molti definiti straordinari.
Inoltre, se per molti suoi elettori il Kashmir è parte della sacra terra dell’India, il Bjp ha fatto passi decisivi per la soluzione di questo contenzioso e per la pace con il Pakistan, con cui ha perfino collaborato nella guerra al terrorismo in nome della comune, salda alleanza con gli Stati Uniti. Infine, i nazionalisti indù del Bjp hanno cercato di stemperare le tensioni con i musulmani: se non ci sono sempre riusciti, hanno però fatto eleggere un musulmano, A.P.J. Abdul Kalam, alla presidenza della repubblica indiana.
Il Partito del congresso guida un’eterogenea coalizione di forze unite dal richiamo al populismo, nonché al secolarismo e al laicismo tipici di una certa tradizione indiana. Per governare dovrà quasi certamente allearsi con i comunisti indiani, nemici degli Stati Uniti con la bava alla bocca rispetto ai quali il nostro Bertinotti è un moderato.
Sonia Gandhi ha beneficiato del voto della minoranza cristiana promettendo l’abolizione delle leggi anti-missionarie: ma nella sua coalizione c’è chi vuole vietare la propaganda religiosa in genere, quella indù compresa ma quella cattolica non esclusa. Il nazionalismo indù al potere insieme rappresentava e controllava gli elementi più facinorosi della rinascita induista: è difficile prevedere che cosa potrà succedere ora, e se il processo di pace con il Pakistan potrà continuare come Sonia Gandhi promette.
Infine, il voto per il Congresso (che ha prevalso soprattutto nelle campagne) è anzitutto un voto contro le riforme liberiste, spinto dalla paura di perdere l’ombrello protettivo di tipo collettivista e socialista e i sussidi statali di cui molti ancora beneficiano.