di Joseph Ratzinger
Pubblichiamo in questa pagina una lettera di Joseph Ratzinger al Dott. Heinz-Lothar Barth e uno stralcio di un intervento sempre di Benedetto XVI, tratte da Davanti al Protagonista. Alle radici della liturgia (Cantagalli, pagg. 232, euro 15), volume in cui i due scritti sono stati raccolti insieme per la prima volta. Nel libro – che verrà presentato al Meeting di Rimini e sarà in libreria a settembre – il Papa (che all’epoca della lettera era ancora cardinale) si interroga sul significato e lo stato attuale della liturgia, esprimendo la speranza che essa non diventi «terreno di sperimentazione per ipotesi teologiche».
la ringrazio cordialmente per la sua lettera del 6 aprile cui trovo il tempo di rispondere solo ora.
Lei mi chiede di attivarmi per una più ampia disponibilità del rito romano antico. In effetti, lei sa da sé che non sono sordo a tale richiesta. Nel contempo, il mio lavoro a favore di questa causa è ben noto.
Al quesito se la Santa Sede «riammetterà l’antico rito ovunque e senza restrizioni», come lei desidera e ha udito mormorare, non si può rispondere semplicemente o fornire conferma senza qualche fatica.
È ancora troppo grande l’avversione di molti cattolici, insinuata in essi per molti anni, contro la liturgia tradizionale che con sdegno chiamano «preconciliare». E si dovrebbero fare i conti con la considerevole resistenza da parte di molti vescovi contro una riammissione generale.
Diverso è tuttavia pensare a una riammissione limitata. La stessa domanda verso l’antica liturgia è limitata. So che il suo valore, naturalmente, non dipende dalla domanda nei suoi confronti, ma la questione del numero di sacerdoti e laici interessati, ciononostante, gioca un certo ruolo.
Oltre a ciò, una tale misura, a soli 30 anni dalla riforma liturgica di Paolo VI, può essere attuata solo per gradi. Qualunque ulteriore fretta non sarebbe di sicuro buona cosa. Credo tuttavia, che a lungo termine la Chiesa romana deve avere di nuovo un solo rito romano.
L’esistenza di due riti ufficiali per i vescovi e per i preti è difficile da «gestire» in pratica. Il rito romano del futuro dovrebbe essere uno solo, celebrato in latino o in vernacolo, ma completamente nella tradizione del rito che è stato tramandato.
Esso potrebbe assumere qualche elemento nuovo che si è sperimentato valido, come le nuove feste, alcuni nuovi prefazi della Messa, un lezionario esteso – più scelta di prima, ma non troppa -, una «oratio fidelium», cioè una litania fissa di intercessioni che segue gli Oremus prima dell’offertorio dove aveva prima la sua collocazione.
Caro dott. Barth, se lei si impegnerà a lavorare per la causa della liturgia in questa maniera, sicuramente non si troverà solo, e preparerà «l’opinione pubblica ecclesiale» a eventuali misure in favore di un uso esteso dei libri liturgici di prima.
Tuttavia bisogna essere attenti a non risvegliare aspettative troppo alte o massimali tra i fedeli tradizionali.
Colgo l’occasione per ringraziarla del suo apprezzabile impegno per la liturgia della Chiesa romana nei suoi libri e nelle sue lezioni, anche se qua e là desidererei ancora più carità e comprensione verso il magistero del Papa e dei vescovi. Possa il seme da lei seminato germinare e portare molto frutto per la rinnovata vita della Chiesa la cui «sorgente e culmine», davvero il suo vero cuore, è e deve rimanere la liturgia.
Con piacere le impartisco la benedizione che lei ha domandato.