A proposito di educazione sessuale e affettiva
Affrontiamo con questo agile e provocatorio articolo di don Raffaele Gobbi, già responsabile della Pastorale giovanile della diocesi di Padova e ora parroco, un delicato tema educativo. In questi anni l’accesso degli adolescenti a informazioni ed esperienze sessuali precoci rispetto alla propria maturazione emotiva, unita a una crescente diffusione dell’ideologia di gender, rende le nuove generazioni particolarmente fragili e incerte nell’accedere a un vissuto profondo e adulto della sessualità. Si tratta di un aspetto fra i più preoccupanti dell’ ‘emergenza educativa’ che chiede alla comunità cristiana di rinnovare il proprio approccio con modalità più franche e dirette, che sappiano interagire efficacemente con i giovani mostrando il senso esistenziale di un’interpretazione della corporeità aperta in senso vocazionale verso un “oltre” se stessa.
Gennaio 2011, il papa si rivolge al corpo diplomatico e, nel contesto di una articolata riflessione sul dovere di tutelare la libertà religiosa come fondamento di tutti gli altri diritti, osserva che non posso passare sotto silenzio un’altra minaccia alla libertà religiosa delle famiglie in alcuni Paesi europei, là dove è imposta la partecipazione a corsi di educazione sessuale o civile che trasmettono concezioni della persona e della vita presunte neutre, ma che in realtà riflettono un’antropologia contraria alla fede e alla retta ragione (1).
Immediatamente si scatenano le reazioni, con articoli e servizi giornalistici per lo più critici. Dai blog e dai commenti agli articoli di stampa “colano” post molto acidi, a volte irridenti, in taluni casi acrimoniosi e violenti (2). La questione dell’educazione sessuale ritrova per qualche tempo l’attenzione generale, mentre nella vita di tutti i giorni succedono cose… che colpiscono, disorientano e sfidano.
Discettare sui massimi sistemi ignorando il pulsare della vita con le sue contraddizioni sarebbe sterile: molto bene il papa, ancor meglio se la comunità cristiana, le famiglie, il mondo educativo cristianamente ispirato non molla la spugna, lasciandosi andare alla vuota invettiva o precipitando nella rassegnazione inerte.
«COSA FACCIAMO?»
«Una bambina ha portato il vibratore in classe… cosa facciamo?»: è la domanda di una insegnante di Lamezia Terme, riferita da un formatore all’affettività e sessualità intervenuto nel programma radiofonico Fahrenheit (Radio 3) dell’11 gennaio 2011, mentre si commentava l’osservazione del papa del giorno precedente. A quell’interrogativo possiamo attribuire pennellate emotive diverse, a seconda della lettura dei tempi che ci è propria: disorientamento, disgusto, sorpresa, forse ironia amara e altro ancora. Certo, restare indifferenti non è possibile!
Già 30 anni fa, ben prima che si parlasse di emergenza/sfida educativa, un documento di un ufficio CEI metteva a fuoco con chiarezza dei cambiamenti in atto, indicando un cespite problematico e delle chance educative… partendo dalle seconde. La citazione non suona così datata: offre un quadro sintetico e di ampio respiro che senza sconti mette a confronto diretto con la realtà, con le sue luci e ombre. Giova porla a introduzione di questa riflessione, come sfondo. In fin dei conti, da quarant’anni è venuto progressivamente a mancare il terreno sotto i piedi a una proposta incisiva di educazione alla sessualità: non dimentichiamolo !
I tempi d’oggi, per prima cosa, ci consegnano alcune buone carte da “giocare”: una migliore conoscenza della sessualità umana e del suo ruolo per una crescita armonica ed equilibrata della persona; una più diffusa esigenza di autenticità, di sincerità e di semplicità nei rapporti interpersonali; l’attenzione alla responsabilità individuale; una maggiore sensibilità per il significato sociale e – sia pure in misura minore – anche spirituale e religioso della sessualità. In negativo, la lista dei punti critici è martellante; citiamo per esteso per dar conto del contesto difficile in cui da decenni ci si muove:
- la “crisi della famiglia”, e in particolare la diffusa abdicazione al dovere dell’educazione o la delega di essa ad altri enti educativi; in ogni caso, i gravi condizionamenti e le crescenti difficoltà che la famiglia incontra nella sua azione educativa;
- l’offuscamento e anche il rifiuto di valori etico-religiosi, nella scia del processo di secolarizzazione della cultura e di laicizzazione delle strutture sociali;
- la violenza suggestiva e demolitrice, soprattutto nei confronti dei giovani, dei miti propri di una società consumistica ed edonistica;
- la pressione crescente, e difficilmente contrastabile, dei mezzi di comunicazione di massa, soprattutto della televisione e del cinema;
- l’irruzione, praticamente incontrollata, della stampa erotica e pornografica;
- l’esaltazione dell’assoluta libertà sessuale, presentata come conquista di liberazione, e persine di nuova e più alta civiltà;
- la riduzione del sesso a «cosa» (oggetto), usato come mercé di consumo, con grave perdita del suo significato morale, personale e sociale;
- l’illusione di presunti esiti comunque positivi di una «scientifica» istruzione o informazione sessuale, staccata da una adeguata prospettiva dei valori etici e spirituali della persona (3).
Le riflessioni che seguono non coprono tutto l’ampio spettro che un progetto educativo (4) deve affrontare; sottolineano alcuni aspetti più urgenti e utili per la situazione odierna.
PARTIRE DALLE DOMANDE
Un giorno una bambina di quattro anni, in un momento di grande tenerezza, ha posto alla sua mamma la domanda: «vuoi che ti lecchi la topina?»… quattro anni! (5) Attorno a bambini, ragazzi e adolescenti molti messaggi della società e comportamenti diffusi nel mondo degli adulti tratteggiano vissuti affettivi e sessuali di superficialità e banalizzazione, tra l’altro decisamente negativi rispetto a una visione vocazionale e oblativa dell’esistenza.
In forza delle possibilità di accesso non controllato a moltissimi materiali in rete e nei mezzi di comunicazione di massa, essi vengono marchiati e quindi condizionati nel loro immaginario: con estrema facilità sentono e vedono realtà che eccedono la loro capacità di elaborazione. L’innocenza non esiste più.
Famiglia, scuola, agenzie educative si trovano scavalcate: prima ancora di sillabare la grammatica delle emozioni e la sintassi dei sentimenti, si è, non di rado, vista e agita la sessualità, senza che vi fosse una adeguata crescita nella appropriazione delle emozioni e dei sentimenti stessi.
Il classico percorso con cui si costruisce un’azione moralmente consapevole: impulso, emozione, riflessione, giudizio morale, azione, cambia (diventa impulso, emozione, azione, riflessione, giudizio morale). Prima si fa e si vive, poi si riflette ed eventualmente si arriva al giudizio morale.
Incontrare e dialogare con questo universo richiede che non si svicoli rispetto al punto di partenza: le domande più imbarazzanti, poste nei momenti più impensati, in contesti inusitati!
Per preadolescenti e adolescenti in particolare, all’inizio sta la curiosità di sapere “come funziona” e “come si fa” e “cosa si sente”. Questo esige di partire dalle domande senza filtro dei ragazzi stessi, che altrimenti saranno in balia di fonti non attendibili e serie. Può disturbare e imbarazzare un approccio così esplicito… ma da parte dei ragazzi stessi si riscontrerà apprezzamento.
Genitori e educatori sono chiamati a far rete, a porre in essere un’educazione alla corporeità e alla sessualità che sia franca e diretta, senza delegare all’esperto di turno, senza farsi schermo di linguaggi che si vorrebbero asettici e che piuttosto palesano smarrimento. Accogliere allargando, illuminando e approfondendo la domanda è arte e necessità educativa.
NARRARE
«Ma tu non lo hai fatto fino al matrimonio?»: domanda a bruciapelo posta a un educatore di adolescenti dopo una serie di tre incontri sulla proposta cristiana sulla sessualità. Ed ecco chiamato in scena l’approccio narrativo. Chiunque affronti i temi della sessualità e affettività può scegliere di non limitarsi e – verrebbe da dire – “nascondersi” dietro a teorie e riflessioni generali.
Presenta e racconta qualcosa di sé, della coppia, della propria esperienza di vita, del fidanzamento e matrimonio, anzitutto. Si narra la propria esperienza di uomo, di donna, di coppia, di fidanzato e di sposo mostrando che il cristiano non è un essere asessuato che vive l’affettività come una “passione triste”, ma può e sa parlarne appassionatamente.
Non si tratta di spalancare a tutti il proprio intimum. Nella narrazione, che si differenzia in base ai destinatari, i racconti culminano in riflessioni condivise che tentano di emanciparsi dal modello educativo del “tu devi” nella direzione di un “io ho fatto così, mi ha fatto bene e sono felice di raccontartelo; ho fatto altro, mi ha fatto male e sono felice di raccontartelo”.
Si narra, cioè, in modo da rendere partecipi e coinvolgere in un percorso di elaborazione delle emozioni e dei sentimenti, non sempre belli e positivi, tra l’altro. “Alfabetizzazione” emotiva, educazione dei sentimenti, presa di coscienza del lato “drammatico” (fragilità, inconsistenze, peccato…) sono dinamiche attivate da un buon narrare.
Si narra attingendo dalla Sacra Scrittura: il Cantico dei Cantici, il peccato e il pentimento di Davide, la storia d’amore di Tobia e Sara ecc. Non a caso la Bibbia in buona parte è narrazione di una storia che è salvezza. Narrare è quindi una incessante opera di raccordo tra le storie di oggi e la grande storia della salvezza, normativa nella forma canonica della Scrittura ispirata.
Si narra il bell’annuncio della speciale consacrazione, del fidanzamento e della vita matrimoniale. È un compito da perseguire già con preadolescenti e adolescenti, non è affatto troppo presto! Tra l’altro molta parte della comunicazione sociale odierna ha una struttura di narrazione più che di argomentazione vera e propria: la forza persuasiva risiede più che nei contenuti in sé sul modo di ben confezionarli e presentarli.
Un bel narrare unisce quindi la capacità di muovere/educare i sentimenti con la spinta a riflettere e ragionare. Dal registro narrativo si può passare con naturalezza a quello argomentativo per rendere ragione e approfondire, coinvolgere la persona nelle sue facoltà volitive e razionali. La bellezza della proposta cristiana attrae e convince anche oggi, preadolescenti e adolescenti compresi!
NARRARE IL SENSO
II ciclo sotto cui si muovono ragazzi e giovani oggi non è quello stellato e armonico della vita come un progetto di senso coerente, come un percorso con un inizio, una fine e una intrinseca logica. Vivere è più un procedere per “salti ipertestuali”, di esperienza intensa in esperienza intensa e diversa (6). Come ci si mette insieme con un sms, così con un sms si può troncare una “storia” di anni. La stessa struttura percettiva e argomentativa delle nuove generazioni procede più per paratassi e associazioni simboliche che per sintassi e deduzioni.
Ogni impresa narrativa di un educatore (storia di un innamoramento, di una relazione di coppia, di un matrimonio, nel nostro caso) è una professione di senso, fiducia in un significato non irrilevante per l’uomo. Essa “impagina”, connette e coordina tempo, persone, luoghi, situazioni ed eventi lungo un percorso di lettura non dominabile con un solo colpo d’occhio. Una “rilegatura” tiene insieme questo spaccato dell’universo, questo scorcio sulla complessità dell’esistenza.
La superficie dell’esistenza può sembrare un’immensa confusione insensata dove il molteplice, il frammentario e l’episodico la fanno da padroni. Narrare è organizzare ed “eternare”, cioè abitare consapevolmente la temporalità. Narrare è reductio ad unum del molteplice, senza dissolvere la diversità.
E chi narra per educare affetti e sessualità apre sempre uno spazio di incontro con l’altro, mostrando il carattere relazionale, interpersonale del senso. In questo il narratore è persona di speranza perché si ribella all’apparenza (di assurdità) del divenire e del molteplice, perché getta un ponte verso un tu.
CUSTODIRE LO STUPORE
Sogna, ragazzo sogna
quando sale il vento nelle vie del cuore,
quando un uomo vive per le sue parole o non vive più;
sogna, ragazzo sogna,
non lasciarlo solo contro questo mondo
non lasciarlo andare, sogna fino in fondo (7)
Riconosciamo la fascinazione di preadolescenti e adolescenti per un amore romantico, denso di emozioni, capace di sognare un “per sempre”, disposto a grandi sacrifici. Sì, anche oggi nella preadolescenza e adolescenza si sa sognare, presentendo il richiamo d’eternità che ogni amore a due reca in sé, in qualche modo intuendo il senso radicalmente vocazionale e oblativo del vivere.
Questa visione “romantica” dell’amore è certo non poco ambivalente: può restringersi all’emotivismo dilagante ed essere l’altra faccia della medaglia del soggettivismo. Eppure, oltre le ambiguità sta l’intuizione di una promessa di felicità e bene, che non va liquidata. Le folle di adolescenti che si sono avidamente abbeverate della saga di Twilight di Stephenie Meyer (libri e film) altrimenti non si spiegherebbero; i lucchetti per molto tempo apposti dagli innamorati sul ponte Milvio a Roma nemmeno; può bastare anche la lettura delle dichiarazioni d’amore graffiiate sui muri urbani.
Cogliere e custodire lo stupore, quindi: capaci di sogno, preadolescenti e adolescenti vanno accompagnati dalla famiglia e da un insieme di agenzie educative (gruppi parrocchiali, scuola, associazioni e movimenti ecclesiali, mondo dello sport, ecc.) ad apprezzare e riflettere sullo stupore nativo che essi percepiscono di fronte alle prospettive grandi ed esigenti dell’amore a due.
Intuire anche nei primi innamoramenti un fremito di grandezza, un germoglio di bene e bellezza è saggezza educativa, anche quando come adulti vien da sorridere sulla ingenuità e vaporosità di queste situazioni.
MASCHILE E FEMMINILE
Un punto su cui la dissonanza rispetto alla canzone suonata dal main-stream è evidente e decisivo è la questione omosessuale e del transessualismo, che non è da esaminare in prima battuta sotto la lente di ingrandimento della teologia morale, quanto anzitutto dell’antropologia teologica (8). Si tratta di riconoscere come un dato di natura invalicabile quello dell’essere maschio o femmina, escludendo la disponibilità soggettiva a manipolare questa costituzione fondamentale della persona. I due capitoli iniziali della Genesi fanno testo e contesto per questo discorso.
Questo è tanto più urgente quanta più confusione e sofferenza può ingenerare nel tempo dell’adolescenza la visione che liquida il dato “solido” dell’essere persona in quanto maschio o femmina e invita a plasmare la propria energia sessuale a piacimento. E chiaro compito di una sapiente educazione sessuale assumere il fatto che non basta nascere connotati da un sesso biologico, ma che è necessario un cammino graduale di appropriazione e inveramento.
E questo passa attraverso lo sviluppo psicologico, l’influenza della cultura e delle reti relazionali di prossimità in cui la persona matura (a partire dalla famiglia). Si nasce maschio o femmina… e lo si diventa. E in questo farsi maschi o femmine sta un compito delicato in cui gli adolescenti non vanno lasciati soli e in balia di messaggi soggettivistici del tipo «fa’ quel che senti». La prospettiva è piuttosto «diventa quel che sei».
Ripartire dal dato costitutivo dell’essere maschi o femmine può avvenire con una consapevolezza matura perché una serie di studi – e prima di tutto l’esperienza originaria – ci avvisano che in ogni maschio c’è qualcosa di femminile (a livello fisiologico, psicologico e culturale) e viceversa. Maschi o femmine non totalmente altri ed estranei l’uno all’altro, quindi, quanto chiamati a una dialettica profonda e vera, senza sconti.
Ripartire dall’essere maschi o femmine perché questo non può essere dato per scontato: occorrono linguaggi, tempi, luoghi e persone che mettano in luce questa vocazione naturale in cui si configura la persona umana. Le storiacce di omofobia mettono sufficientemente in guardia gli educatori di buon senso dal non usare il registro della condanna e del pregiudizio: la via è quella dell’annuncio e della proposta ferma.
Fino a che punto è possibile e lecito argomentare questo livello della visione cristiana? C’è una ragionevolezza intrinseca, naturale, nel fatto che la persona umana sia maschio o femmina: la parola della Scrittura semplicemente scopre e promulga quello che è un dato di realtà.
TEMPIO DELLO SPIRITO
Fitness, medicina, mondo dello sport, dietetica, biotecnologia hanno inaugurato ognuna a suo modo uno sguardo sul corpo come macchina complessa. Il corpo nella maggior parte dei casi non è pensato dagli adolescenti solo e semplicemente come materia “bruta”, assume una dignità specifica che però non è in automatico apertura alla dimensione del trascendente. Segnalo due piste di riflessione ed eventualmente azione.
Il corpo oggi così curato e coccolato rischia di restare ripiegato su di sé e di non aprire a un oltre. Quando non c’è spessore misterico-sacramentale nella percezione e nel vissuto del corpo, il benessere sembra l’orizzonte esclusive-escludente altri sguardi, una sorta di idolo. L’orizzonte è quello del corpo come luogo teologale dello Spirito: siamo carne spiritualizzata, spirito incarnato (cfr. 1 Cor 6,15-20). Il compito educativo si può orientare a una consapevolezza più matura del gioco e della danza, ponendo attenzione al corpo in azione.
Adolescenti e giovani possono avvertire questa dimensione nel loro cammino di appropriazione di un corpo che cambia vertiginosamente con lo sviluppo sessuale e mette a soqquadro gli equilibri dell’infanzia. Qualche utile considerazione merita la danza che affascina potentemente le giovani generazioni, in quanto espressione libera di sé nella piena del ritmo, momento estatico e dionisiaco di sfogo, occasione di socializzazione (viziata da molte contraddizioni, per altro), contrappunto rispetto al grigiore e alla monotonia della vita.
Nella danza i codici razionali lasciano il passo a una presa di contatto con sé diretta, senza filtri; tuttavia spesso essa si avvita su se stessa per via di una erotizzazione indotta da modelli suadenti proposti dalla comunicazione sociale. Si tratta di riscattare e riscoprire la sua gratuità e libertà, per lasciare spazio a una corporeità che oltrepassa se stessa.
Nella danza, emancipata dalla caricatura da cui spesso è sostituita, c’è una via all’oltre: un corpo che inseguendo l’armonia, l’espressione di sé, il contatto immediato con l’interiorità intuisce il trascendente. Scrive Nietzsche ne Così parlò Zarathustra, dal suo particolare punto di vista: «Posso soltanto credere in un Dio che danza!».
Ritrovare il pudore come esperienza originaria che protegge la sacralità del corpo e quindi dell’esperienza affettiva e sessuale. Il pudore inteso come sentimento di vergogna o ritrosia verso ciò che concerne l’ambito sessuale è decisamente fuori moda: oggi non ci si deve vergognare di niente. Umberto Galimberti annota che, ben oltre alla sfera della sessualità, la spudoratezza copre uno spettro ben più ampio:
La spudoratezza, ormai, nel nostro tempo è diventata una virtù. Non aver nulla da nascondere, nulla di cui vergognarsi, ed esser pronti, mani alla chiusura lampo, per interviste, pubbliche confessioni, rivelazioni dell’intimità, passa nel nostro tempo come espressione di autenticità e il pudore come sintomo di insincerità, quando addirittura non diventa anche sintomo di introversione, di chiusura in se stessi, quindi di inibizione e repressione (9).
Il pudore riporta piuttosto alla parte più intima e preziosa di se stessi: la sessualità non è solo ricerca del piacere, ma ricerca di una persona nella sua unicità inconfondibile. L’amore vuole che ad amare e a essere amato sia ciò che intimamente ci costituisce e ci individua e perciò, contro la sessualità generica e non individuata, si alza la barriera del pudore.
Il vestire, il truccarsi e atteggiarsi, i linguaggi richiedono la scoperta del pudore, proprio perché nella corrente di desiderio tra i sessi si vada oltre un dato meramente fisico. E purtroppo su questo punto i giovani d’oggi sono decisamente a rischio.
Il pudore è in definitiva al servizio di una sessualità autenticamente umana, la definisce come ricerca di un amore integrale, come riscatto rispetto al soggiacere a delle pulsioni che non ci qualificano propriamente come persone quanto come generici appartenenti alla specie umana che anela a perpetuarsi.
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1) Testo integrale in
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2011/january/documents/hf_ben-xvi_spe_20110110_diplomatics-corps_it.html,
discorso del Santo Padre Benedetto XVI ai membri del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, per la presentazione degli auguri per il nuovo anno, 10 gennaio 2011.
2) Cfr. i post sul «Corriere della sera», edizione on line: http://www.corriere.it/dilatua/Primo_Piano/Esteri/2011/01/10//appello-papa-medioriente-cristiani_full.slitml.
3) II documento è L’educazione sessuale nella scuola. Orientamenti pastorali, a cura dell’Ufficio Nazionale di Pastorale Scolastica, Pasqua 1980, n. 3.
4) Ben fatto è il documento dell’arcidiocesi di Trento, Accompagnare nel cammino dell’amore-Orientamenti per l’educazione degli adolescenti all’amore (Edizioni Vita Trentina, 2009) a cura della commissione diocesana famiglia, con l’aiuto dell’ufficio di pastorale giovanile e del centro diocesano vocazioni.
5) Fatto riportato da un testo stimolante di F. Veglia – R. Pellegrini, C’era una volta la prima volta, Edizioni Erikson, Trento 2003, p. 21. La mamma con notevole presenza di spirito ha risposto: «Sei proprio un tesoro, ma mi piace soltanto se lo fa papa».
6) «L’appello al cuore dice che i giovani sono già oltre i territori giurisdizionali in cui finora abbiamo fissato le nostre dimore, ma questa ulteriorità dice cose più profonde di quanto non lasci pensare. Cancellata ogni meta e quindi ogni visualizzazione del mondo a partire da un senso ultimo, i giovani non stanno al gioco delle stabilità o delle definitività, e perciò liberano il mondo come assoluta e continua novità, perché non c’è evento già inscritto in una trama di sensatezza che ne pregiudichi l’immotivato accadere. L’andare che salva se stesso, cancellando la meta, inaugura infatti una visione del mondo radicalmente diversa da quella dischiusa dalla prospettiva della meta che cancella l’andare». U. Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, Milano 2007, p. 142 s.
7) Canzone omonima di Roberto Vecchioni, fresco vincitore del Festival di Sanremo.
8) Mi rifaccio alla visione di J. Noriega, Il destino dell’eros, EDB, Bologna 2006, specie pp. 136-142. Nell’incontro con le persone omosessuali la cura e premura sarà comunque massima: la dignità della persona è un valore in sé, a prescindere da atteggiamenti e comportamenti. Proprio il rispetto per la persona e l’amore alla verità permetteranno di riflettere sulla condizione omosessuale (polo oggettivo) con considerazione per l’esperienza concreta e spesso dolorosa delle persone (polo soggettivo).
9) U. Galimberti, Le cose dell’amore, Feltrinelli, Milano 2004, p. 90.