14 gennaio 2021
di Julio Loredo
Gli storici li chiamano “periodi di discontinuità”. Sono situazioni storiche particolari in cui si sgretolano i paradigmi – psicologici, culturali, politici, sociali, economici, religiosi – che sorreggono lo Zeitgeist imperante. Non è una semplice variazione superficiale, come potrebbe essere la sostituzione di un governo di sinistra con uno di destra, bensì un rovesciamento dei paradigmi, cioè di quelle concezioni profonde, e a volte subcoscienti, che stanno alla base di tutte le nostre scelte.
Il 2020 – annus horribilis se mai ce ne fu uno – è stato pieno di eventi che hanno frantumato non pochi paradigmi sui quali poggiava il nostro mondo. Nella caligine dell’attuale tramonto, cominciamo a intravedere, in modo ancora fumoso, il sorgere di un mondo assai diverso da quello al quale eravamo abituati. Siamo pervasi dalla sensazione che “niente sarà più lo stesso”.
Incapaci di capire cosa stia succedendo, infastiditi perché ci stanno togliendo cose a cui teniamo tanto, angosciati perché stiamo perdendo il controllo della nostra vita, reagiamo in modo quasi istintivo. Tutto ciò sta covando un profondo disagio in settori sempre più ampi dell’opinione pubblica, che si sta man mano trasformando in una reazione.
In un recente editoriale sul Corriere della Sera, Ernesto Galli della Loggia parla di persone in preda a una “rabbia aggressiva”, “disponibili in ogni istante a trasformarsi in vulcani d’odio”: “Oggi si sente sempre più spesso salire dal fondo delle nostre società un rabbioso sentimento di anomia. (…) Aleggia da molti parti un clima di diffidenza preconcetta e aggressiva” Si sente nell’aria quell’elettricità propria dei periodi rivoluzionari.
Gli animi si surriscaldano facilmente. Le opinioni, anche in campo scientifico, si scontrano con violenza. I toni si alzano. Volano gli insulti. Le società si spaccano. Basta vedere ciò che sta succedendo adesso negli Stati Uniti, o in Francia qualche tempo fa con i gilet jaunes. Sorprende, poi, la facilità con cui si propagano le fake news. Anche questo è tipico dei periodi rivoluzionari.
Un altro elemento tipico dei periodi di effervescenza rivoluzionaria è l’apparizione di capipopolo che, con linguaggio spesso demagogico e proposte accattivanti, si presentano come alternativa allo sfaldamento, raccolgono consensi, richiamano sulle loro persone la guida della reazione, diventano punti di riferimento. Il rischio è di lasciarsi inghiottire dalla voragine degli avvenimenti.
È tale il pot-pourri d’informazioni, spesso contraddittorie, che piombano sulla nostra testa; è tale il numero di eventi che si accavallano impetuosi, rovesciando situazioni fino a ieri ritenute stabili; è tale il ritmo con cui tutto sta cambiando, che diventa sempre più difficile mantenersi a galla.
Molte persone perbene, tra cui non pochi cattolici, si domandano: esiste una soluzione? La soluzione può solo venire dall’alto, dalla grazia divina che lenisce le sofferenze, incendia i cuori e suscita le grandi opere di santità. Spetta a noi, comunque, tessere alcune considerazioni, necessariamente succinte, che possano aiutarci
Distanza psicologica.
Oggi va di moda l’espressione “distanza sociale”, cioè la separazione fisica delle persone per evitare la propagazione del virus. Vorrei proporre, come primo passo per reagire al caos imperante, quello di prendere una distanza psicologica da esso. Come detto prima, per avere successo, le rivoluzioni devono creare un ambiente frenetico che riempia di odio passionale e d’impeto distruttivo le persone cattive, mentre scoraggia e paralizza quelle buone.
Non c’è rivoluzione senza frenesia. Questa è prodotta artificialmente attraverso la guerra psicologica, la propaganda ideologica e l’infestazione diabolica. La frenesia è travolgente. Le persone rischiano di esserne contagiate e inghiottite. Anche quando non ne sono trascinate, possono essere tentate di pensare che la frenesia sia così pervasiva da rendere qualsiasi reazione impossibile.
Scrive Plinio Corrêa de Oliveira: “Nelle rivoluzioni le masse sono affascinate, fanno certe cose anche quando ne ignorano il significato, semplicemente perché seguono una sorta di onda elettrica, messa artificialmente in circolazione da persone che si comportano da disseminatori di effluvi tra le masse”. Il primo passo, dunque, è capire quanto di artificiale – o almeno di “pompato” – ci sia in questa frenesia, e di prenderne le distanze, dapprima temperamentalmente, evitando di essere soprafatti dall’“elettricità”; e poi psicologicamente, evitando di essere persuasi dagli slogan messi in circolazione.
Di fronte al caos dobbiamo ricordarci che“non in commotione Dominus”, il Signore non si trova nella commozione (1Re 19,11). Serenità, ecco il primo consiglio. Serenità non vuol dire passività. Ci sono situazioni – l’aborto, per esempio – che richiedono una risposta vivace e militante. Si tratta, però, di una vivacità serena, razionale, ordinata, radicata e piena di Fede. Molto diversa dall’“elettricità” rivoluzionaria.
Chi è il nemico?
Un’altra caratteristica dei periodi rivoluzionari è la facilità con la quale si creano falsi “nemici”, o meglio, nemici veri ma secondari, che attraggono, quasi fossero calamite, tutta l’attenzione della reazione. Così si distoglie l’attenzione dai veri nemici, col conseguente travisamento della stessa reazione. Costretta a portare avanti battaglie secondarie, questa finisce per fiaccarsi, deturparsi, salvo poi, finalmente, spegnersi.
Prendiamo un esempio: il cosiddetto “nuovo ordine mondiale”, o più semplicemente “mondialismo”. È un nemico? Certamente! Ma non è il fine ultimo, la meta del processo rivoluzionario. Lo stesso concetto di “ordine” cozza col carattere fondamentalmente libertario e ugualitario della Rivoluzione. Questa vuole cancellare dall’universo qualsiasi immagine di Dio creatore.
Perciò si adopera per svilire, smantellare e, alla fine, annientare la Santa Chiesa cattolica e il suo riflesso temporale, la Civiltà cristiana. Ecco il suo fine ultimo. Ecco il Nemico (con la “N” maiuscola). La scelta di “nemici” veri ma secondari porta anche alla scelta di bandiere vere ma secondarie, che finiscono pure col fiaccare e vanificare la reazione.
Prendiamo due esempi, tra essi connessi: “sovranismo” e “identità”, termini coniati per descrivere la reazione contro la perdita delle proprie radici sull’onda del “mondialismo”, con la conseguente nascita di una destra “sovranista” o “identitaria”. Per quanto io sia d’accordo con ciò che questi termini rappresentano, li ritengo inadatti a definire la buona posizione, poiché ne descrivono appena un aspetto, appunto il rigetto del “mondialismo”.
La Contro-Rivoluzione è qualcosa di molto più ampio e profondo. Soprattutto, qualcosa di molto più elevato. Infatti, questi termini non fanno riferimento alla sorgente della Contro-Rivoluzione, cioè la Santa Fede Cattolica Apostolica Romana, né alla Tradizione da essa ispirata
Vere e false élites
Scrive Galli della Loggia nel pezzo sopra citato: “Sono sempre più numerose le persone che nutrono una sfiducia di principio verso istituzioni e autorità considerate con disprezzo ‘il potere’”; ciò alimenta la reazione contro “il crescente orientamento oligarchico che si sta producendo nei sistemi democratici”. Infatti, una delle caratteristiche dei nostri tempi è che, sull’onda del liberalismo democratico, il potere si è concentrato in pochissime mani: potere finanziario (Soros), potere pubblicistico (Facebook, Twitter), potere commerciale (Amazon), potere informatico (Apple, Microsoft) e così via.
Oggi, questo potere è capace di imbavagliare perfino l’uomo teoricamente più potente del mondo, cioè il Presidente degli Stati Uniti. È proprio ciò che nel «De regimine principum», san Tommaso d’Aquino condannava come “oligarchia”, cioè la corruzione del potere di poche persone.
Reagendo contro tale sviluppo – di fatto inorganico e, quindi, malsano – si è fatta largo una visione che dipinge l’attuale situazione in termini di “noi” (il popolo) contro “loro” (le élites). Il male risiederebbe nelle “élite” che vanno, quindi, abbattute. Donde il “populismo” e, quindi, la “destra populista” Tale visione è pericolosissima.
Non distinguendo fra vere e false élite, fra aristocrazia e oligarchia, si finisce per condannare ogni e qualsiasi gerarchia. Ora, questo è propriamente l’essenza della Rivoluzione. La visione cattolica, al contrario, mostra un universo fondamentalmente gerarchico perché così si rispecchiano meglio le divine perfezioni (Summa Theologica, I, q. 50, a. 4; q. 96, a. 3 e 4).
D’altronde, questa visione “populista” non è nuova nella storia delle false destre. L’avevamo già vista all’opera nelle diatribe contro la “borghesia liberale” tipiche del nazismo e anche di un certo fascismo
La Civiltà cristiana
Di fronte all’attuale panorama di decadenza e di confusione, da cattolici dobbiamo proporre la conversione dei cuori con la grazia divina, e la conseguente restaurazione della Civiltà cristiana. Scrive Plinio Corrêa de Oliveira: “Se la Rivoluzione è il disordine, la Contro-Rivoluzione è la restaurazione dell’Ordine. E per Ordine intendiamo la pace di Cristo nel Regno di Cristo. Ossia, la civiltà cristiana, austera e gerarchica, sacrale nei suoi fondamenti, antiugualitaria e antiliberale”. Innova signa et immuta mirabilia, rinnova i segni e fai nuove meraviglie, ci dice la Bibbia (Ecc. 36, 6).
E poi aggiunge: Excita furorem, et effunde iram. Tolle adversarium, et afflige inimicum, risveglia lo sdegno e riversa l’ira, distruggi l’avversario e abbatti Il Nemico. Il Nemico, cioè il processo rivoluzionario che ci ha portato in questa situazione
Ecco la sostanziale superiorità della visione cattolica