aprile 2019
di Giuseppe Brienza
Pietro Licciardi, toscano, giornalista professionista da più di vent’anni, è il direttore responsabile di Melting, il giornale dei nuovi italiani, testata nata otto anni fa che ha dovuto però chiudere i battenti travolta dalla crisi. Adesso ci riprova mettendo in campo alcune iniziative e una campagna di raccolta fondi attraverso la rete. L’abbiamo intervistato per Il Borghese.
Perché volete riprovare a pubblicare?
Per Melting scegliemmo la formula del free press con la distribuzione di circa 20mila copie a Roma, Milano e altre importanti città italiane. Fu subito un successo e le copie andavano letteralmente a ruba sia tra gli stranieri che tra gli italiani. Ci rendemmo allora conto che l’intuizione iniziale era giusta, ovvero era il primo giornale pensato e realizzato per raccontare l’Italia agli stranieri che già vivevano numerosi nel nostro Paese e allo stesso tempo faceva conoscere agli italiani aspetti a loro sconosciuti della immigrazione.
Oggi ci riproviamo perché l’esigenza di dialogo e reciproca conoscenza non solo non è venuta meno ma semmai si è accresciuta, come del resto testimoniano i timori e polemiche attorno al tema immigrazione. Soprattutto ci sembra che a dispetto di tante sbandierate buone intenzioni, di fatto poco o nulla si continua a fare per favorire una reale integrazione degli stranieri in Italia.
Qualche buonista ritiene che bisogna talmente rispettare la cultura degli immigrati che il solo fatto d’insegnargli l’italiano sarebbe una “prepotenza”. Ma l’integrazione non significa conoscere e comprendere la società che ospita?
Una obiezione che personalmente ritengo abbastanza stupida. Se con ci si comprende non si va da nessuna parte. L’integrazione comincia innanzitutto dalla lingua. Gli stessi stranieri a suo tempo ci hanno raccontato della loro difficoltà a muoversi nella loro stessa città proprio a causa della difficoltà di comprendere bene la lingua. Per questo scriveremo in italiano semplificato, facendo rivedere i testi da esperti e se avremo sufficienti risorse metteremo una versione audio dei diversi articoli sul nostro sito www.meltingweb.it.
Papa Francesco la scorsa estate è tornato a parlare di migranti utilizzando parole che poi non sono state (chissà perché) riprese dai grandi media. Ha detto infatti: «se non si può integrare, meglio non accogliere». Che ne pensi?
Sono perfettamente d’accordo. Secondo l’Istat abbiamo più di 5 milioni di stranieri provenienti da più di 160 paesi che risiedono, vivono e lavorano stabilmente nella Penisola, soprattutto al Nord. Io credo che siamo pochi quelli di noi che possono dire di conoscere anche solo in parte la cultura, gli usi, i costumi e le tradizioni di queste persone. Cosa ne sa un asiatico o un africano del perché il 2 giugno o l’8 dicembre gli uffici e le scuole della città in cui vive sono chiuse? Certo, è un giorno di festa ma per quale motivo?
Lo stesso vale per un italiano, convinto magari che una moschea sia l’equivalente della chiesa cristiana. Ecco, Melting vuole raccontare le reciproche storie e ovviamente anche dare qualche notizia utile per districarsi nel quotidiano. Ad esempio insegneremo a leggere una busta paga, cosa che forse neppure molti italiani sanno fare o cercheremo di orientare nei meandri della pubblica amministrazione e così via…
Nel corso della presentazione che avete fatto lo scorso gennaio a Roma avete detto che Melting è rivolto agli stranieri ma non vuole prendere posizione sull’ immigrazione…
Si, come ho detto vogliamo parlare ai numerosi stranieri che magari già da molto tempo già vivono e lavorano in Italia e agli italiani perché secondo noi il primo e fondamentale passo per integrarsi è conoscersi. Se non ci si conosce e non si dialoga va inevitabilmente a finire che ciascuno si fa il proprio ghetto e alla lunga l’esito non può che essere la tribalizzazione della società, a dispetto di una certa utopia multiculturalista che però ha mostrato la corda in Paesi di ben più lunga tradizione immigratoria.
Purtroppo dove porta una idea sbagliata di multiculturalismo o la mancanza di politiche di integrazione lo vediamo in Francia, con le banlieues, veri e propri ghetti abitati da stranieri pronte ad esplodere o in Belgio e Norvegia, dove la stessa polizia ha ammesso che vi sono una ventina di “no go zone” in cui le istituzioni di fatto hanno perso il controllo del territorio.
Oppure pensiamo alla Gran Bretagna, in cui sempre più le comunità islamiche stanno dando vita ad uno stato nello stato, in cui addirittura ai tribunali tradizionali si affiancano quelli islamici che applicano la sharia.
Quali sono i punti fermi sui quali come rivista partite per affrontare il mondo-immigrazione?
Innanzitutto il dialogo si deve fare nel rispetto della nostra identità, oltre a quelle dei popoli che vengono da noi. Non possiamo accettare tutto, pensiamo solo per fare un esempio alle mutilazioni genitali femminili.
La nostra è un’ottica non relativista. In secondo luogo deve essere ripristinata la legalità negli ingressi se si vuole stroncare quella che ha ormai assunto le caratteristiche di una vera e propria tratta di carne umana in mano alla criminalità organizzata. In terzo luogo occorre regolare i flussi, perché anche un bambino capirebbe che non possiamo aprire indiscriminatamente le porte ad almeno cento milioni di africani pronti a emigrare o a chissà quanti asiatici.
Gli immigrati non sono soltanto “risorse” come qualcuno li definisce, quasi fossero moderni schiavi da usare per mantenere i nostri attuali standard di benessere – benessere che tra l’altro sta sempre più diminuendo -, ma persone che hanno bisogno di una casa e di un lavoro.
Farli arrivare senza poter assicurare loro tutto questo è gravemente ingiusto e con incalcolabili conseguenze sociali ed economiche, per noi e per loro. Purtroppo su questo si nota una preoccupante mancanza di buon senso, non solo da parte della sinistra ma soprattutto da parte di gran parte del mondo cattolico, a dispetto delle parole chiare del Catechismo della Chiesa cattolica e di Papa Francesco, il quale parla si di accoglienza, ma anche del diritto per gli immigrati ad avere una vita dignitosa e del diritto di chi accoglie a vedere salvaguardata la propria cultura e le proprie tradizioni.
Lo scorso 26 febbraio c’è stato a Roma un incontro promosso da Melting sull’imprenditorialità degli stranieri. Di cosa avete parlato?
Abbiamo invitato al Macro Asilo di via Nizza un rappresentante della Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa (CNA) di Roma e di alcuni istituti di credito, tra cui una banca creata appositamente per gli stranieri in Italia, oltre ad una esperta in finanziamento collettivo (crowdfunding), imprenditorialità e innovazione per verificare assieme anche ad imprenditori italiani e stranieri se in Italia vi sono realmente pari opportunità per fare impresa e accedere al credito.
È emerso tra l’altro che gli stranieri talvolta sono più determinati o magari, come i cinesi, possono contare sul loro “sistema paese”, cosa che ai nostri imprenditori non sempre è concesso.
In effetti sono ormai tanti gli stranieri che, arrivati in Italia come “vu cumprà”, sono poi diventati imprenditori dando lavoro anche agli italiani. Quali difficoltà deve superare un immigrato che vuole impegnarsi per dare il suo contributo alla crescita economica del nostro Paese?
Bella domanda ma sarebbe troppo lungo rispondere. Quindi direi brevemente, come lamentato anche dai nostri ospiti al Macro, che l’Italia è poco incline, sempre e comunque, a facilitare chi fa impresa, a prescindere se è italiano o straniero. Su questo, davvero, nessuna discriminazione.