Scuola di Educazione Civile
Introduzione alle Nuove Religioni
di Massimo Martinucci
A questo punto è necessario presentare un altro gruppo di personaggi che si muovono nella grande rappresentazione della nuova religiosità, e lo farò richiamando un altro concetto che già ho esposto precedentemente. Parlando delle dispute terminologiche – chiesa o setta, denominazione o culto, membri o adepti, eccetera – vi dicevo che comunque un gruppo percepito come “diverso” o “ostile” verrà chiamato “setta”, mentre un gruppo percepito come “buono” o “legittimo” verrà chiamato “Chiesa”, o “comunità”.
Infatti è con questi significati questi termini sono usati comunemente dalla gente comune e dai mezzi di comunicazione. Ma attenzione, perché la terminologia giornalistica e quotidiana non si forma spontaneamente, ma è pesantemente influenzata dalla azione di forze organizzate, che svolgono un’attività ostile a gruppi e fenomeni religiosi percepiti come pericolosi o nocivi. Queste realtà sono molto forti in alcuni paesi europei e soprattutto negli Stati Uniti d’America, dove organizzano delle campagne di stampa che a volte sono molto aggressive.
In Italia solo di recente hanno iniziato a farsi sentire (es.: CICAP, Comitato italiano di controllo delle affermazioni del paranormale, di cui personaggio di spicco è Piero Angela).
Esistono dunque delle vere e proprie organizzazioni che si oppongono ai nuovi movimenti religiosi, sono molto attive ed hanno una certa presa sull’opinione pubblica. Queste organizzazioni, nel loro complesso, vengono definite “anti-cult movement” in italiano “movimento anti-sette” ma in effetti è necessario operare una distinzione fondamentale all’interno di esso, a seconda se si tratti di gruppi di orientamento laicista o religioso.
Le organizzazioni laiciste dichiarano di interessarsi esclusivamente ai comportamenti dei gruppi religiosi, e vengono definite propriamente “movimento anti-sette”, mentre le organizzazioni religiose, definite “movimento contro le sette”, si interessano anzitutto alle idee e alle credenze e non soltanto ai comportamenti. Il movimento “contro le sette” nasce in ambiente protestante, quindi in un ambiente esso stesso frammentato in mille denominazioni, per cui è comprensibile la preoccupazione di identificare una serie di elementi minimi per cui si possa dire se un gruppo è una denominazione protestante, quindi una “chiesa”, oppure non possiede i requisiti minimi indispensabili, quindi classificarla come “setta, come già ricordavo in precedenza.
Del tutto diverso l’atteggiamento della Chiesa Cattolica, che non ha evidentemente i problemi delle Chiese protestanti dal punto di vista della definizione della propria dottrina la quale poggia su dogmi definiti e stabili, per cui sarà molto più facile rendersi conto se un gruppo religioso devia verso l’eterodossia fino a costituire un nuovo movimento religioso. Per il resto, la Chiesa cattolica è sempre in un atteggiamento missionario, ma mai persecutorio, nei confronti dei non cattolici.
Il movimento “anti-sette” e le sue organizzazioni, come ho ricordato, è di origine laica e afferma di non interessarsi di idee o di credenze, ma soltanto di comportamenti, quindi il suo bersaglio sono quelle “sette” che a suo giudizio si comportano in modo nocivo nei confronti degli individui e della società; secondo il suo modo di vedere sarebbe possibile infatti giudicare i loro comportamenti prescindendo totalmente dalle loro dottrine, e condanna senza mezzi termini non solo le tecniche di “lavaggio del cervello” e di indottrinamento forzato che ritiene che vengano messe in atto, ma anche qualsiasi esperienza religiosa “forte”, o che superi comunque una soglia per la verità piuttosto bassa.
Il pericolo di un tale modo di pensare è evidente, perché il concetto di esperienza religiosa “forte”, sganciata da ogni valutazione dottrinale, può benissimo essere applicata, e di fatto è applicata, a qualsiasi esperienza religiosa considerata forte o esagerata, compresa la spiritualità dei monasteri ed anche quella dell’Opus Dei.
Secondo il “movimento anti-sette” dunque i movimenti religiosi (tutti i movimenti religiosi, quelli nuovi e quelli vecchi) sono nocivi in quanto espressione di un fanatismo religioso che dovrebbe essere limitato, con apposite leggi, dallo Stato moderno, il quale dovrebbe fissare in modo rigoroso i limiti quantitativi entro i quali l’intensità dell’esperienza religiosa può essere tollerata.
L’accenno che ho fatto all’Opus Dei non è un caso-limite: Alain Woodrow, uno dei maggiori dirigenti del movimento anti-sette, scrive che «a priori non c’è nessuna ragione per mostrarsi più indulgenti verso le chiese che verso le sette», mentre a proposito del cristianesimo ed in particolare del cattolicesimo, afferma che l’idea di essere la sola vera Chiesa, la missionarietà, il catechismo imparato a memoria e altre cose di questo genere sono pratiche tipicamente settarie.
Bontà sua, Woodrow riconosce che dopo l’ultimo Concilio il clima è molto cambiato, ed in particolare si rallegra del fatto che «i digiuni e le altre forme di ascesi sono praticamente scomparsi, e il regolamento all’interno dei seminari e delle case religiose si è molto umanizzato». A queste condizioni si può dire che la Chiesa cattolica non è (anzi non è più) una “setta”, ma è evidente che facendo di questi argomenti il criterio principale di critica alle “sette”, si rischia di rendere assolutamente incomprensibile il concetto stesso di “setta” o di nuovo movimento religioso in quanto realtà distinta dalle religioni tradizionali riducendo tutto ad una sterile e generica polemica antireligiosa.
Molti movimenti anti-sette favoriscono la cosiddetta “deprogrammazione”, una pratica considerata illegale dalla maggioranza dei tribunali americani che hanno avuto occasione di occuparsene, che consiste nel rapire l’adepto di una “setta” di solito su incarico dei genitori o di altri parenti, rinchiuderlo contro la sua volontà e sottoporlo ad un trattamento di “deprogrammazione” che consiste in forti pressioni psicologiche non di rado accompagnate anche da violenze fisiche. Va detto che i “deprogrammatori” normalmente non sono né medici né psichiatri ma di solito ex membri di “sette” che svolgono questa attività a scopo di lucro.
La giustificazione che adducono coloro che si affidano ai deprogrammatori è che il loro congiunto che ha aderito ad un nuovo movimento religioso l’abbia fatto contro la sua volontà, sia stato cioè costretto ad aderirvi perché sottoposto al cosiddetto “lavaggio del cervello”, e che quindi il cercare di salvarlo tramite la deprogrammazione non sia altro che una sorta di terapia per farlo guarire. Fatto sta che dopo uno studio durato numerosi anni l’Associazione degli Psicologi Americani ha dichiarato la teoria del “lavaggio del cervello” applicata a gruppi religiosi non scientifica.
Recenti ricerche poi hanno potuto stabilire che la deprogrammazione forzata è basata su un presupposto inesistente: quello secondo cui i membri dei nuovi movimenti religiosi non siano in grado di andarsene da soli. In uno studio fatto su 1607 adulti canadesi si è scoperto che il 75,5% dei membri di nuovi movimenti non ne facevano più parte dopo cinque anni. Un altro studio eseguito tra il 1974 e il 1975 dimostra che oltre la metà di quelli che avevano aderito agli Hare Krishna se ne erano già andati dopo un solo anno.
In una ricerca sulla Chiesa dell’Unificazione si è scoperto che almeno il 61% di quelli che avevano aderito al movimento nel 1978 se ne erano andati in un periodo di quattro anni e mezzo. Un’altra ricerca ancora, dell’87, riferisce che su 800 membri di vari nuovi movimenti oltre il 90% se ne era andato nel giro di due anni.
Nonostante questo, i deprogrammatori hanno fortuna, specialmente negli Stati Uniti, e godono di buona stampa e dell’amicizia e della considerazione del movimento anti-sette. Ma spesso combinano dei pasticci, che a volte finiscono veramente male.
Voglio ricordare solo l’episodio di Waco, nel Texas, dove, come ricorderete, nel 1993 gli appartenenti ad una comunità di millenaristi in attesa della fine del mondo, chiamati Branch Davidians, si son visti piombare addosso i carri armati dell’esercito americano che hanno provocato un incendio in cui la maggioranza degli aderenti a questa comunità sono morti (circa novanta persone).
Se ricordate come ci è stato presentato questo episodio, vi accorgerete che si è parlato di fanatismo religioso, di pazzia collettiva, di suicidio di massa, eccetera, ma si è sorvolato sul fatto che l’unica imputazione, a carico del leader del gruppo, David Koresh, per cui l’esercito è intervenuto così pesantemente, era soltanto la detenzione illegale di un’arma da fuoco, e negli Stati Uniti sappiamo quanto questo non venga ritenuto affatto grave!
Di fatto a provocare la tragedia di Waco è stata la puntigliosa caparbietà proprio di un deprogrammatore, Rick Ross, che con il sostegno di alcuni organi di stampa e del CAN (Cult Awarness Network – Organizzazione per la Consapevolezza nei confronti delle Sette) tanto ha fatto da riuscire a far scatenare l’attacco (v. Idee che uccidono, di Massimo Introvigne).
Per questo mi sono soffermato sugli atteggiamenti e sui movimenti anti-sette e contro le sette: non bisogna cedere alla tentazione di fare di tutte le erbe un fascio, pensando che, se esiste un gruppo di esaltati che provoca danni in nome del fanatismo religioso, tutti i nuovi movimenti religiosi debbano essere composti da esaltati. Nel mondo ci sono più di ventimila nuovi movimenti religiosi strutturati (se anche escludiamo i circa diecimila nigeriani ne rimangono comunque oltre diecimila); quelli accusati di comportamenti illegali o violenti sono circa un centinaio. Questo significa che più del 99% di essi – benché sicuramente discutibili, dal punto di vista cattolico, sotto il profilo teologico e culturale – non sono mai stati accusati di essere pericolosi per la convivenza civile.
Con questo non vorrei dare l’impressione di essere eccessivamente benevolo, o accondiscendente, nei confronti di queste forme di religiosità. Ma la Chiesa mi insegna che con esse è necessario misurarsi proprio sul piano culturale, dottrinale, teologico. I movimenti anti-sette invece, a quanto pare, fanno proprio di tutte le erbe un fascio, non volendosi rendere conto che la “setta” tipica non esiste.
I davidiani sono molto diversi dagli scientologi, i quali sono molto diversi dai testimoni di Geova, i quali a loro volta non hanno niente a che vedere con i mormoni. Sapere tutto sui mormoni non servirà a nulla nel momento in cui ci si trova ad avere a che fare con un neo-buddhista, e quando appare un nuovo movimento che crea dei problemi a livello sociale, è assolutamente controproducente affidarsi, per la loro soluzione, a personaggi come il deprogrammatore Rick Ross, come abbiamo visto per il caso di Waco.
Una frase di Massimo Introvigne mi sembra descrivere perfettamente l’atteggiamento del cattolico, in vista sempre di una sua possibile conversione, nei confronti di chi ha scelto dei riferimenti religiosi diversi da quelli cattolici. Secondo il direttore del CESNUR occorre evitare «sia il pessimismo radicale che demonizza l’interlocutore e chiude anticipatamente la discussione, sia l’ottimismo ingenuo che rischia di condurre – più che verso la conversione – verso sincretismi infecondi, “doppie appartenenze” inaccettabili, tentativi sterili di conciliare l’inconciliabile. Fermezza e dialogo sono invece i due atteggiamenti di cui deve essere capace chi intende rivolgersi agli adepti dei nuovi movimenti [religiosi e] magici, senza blandirli né incoraggiarli, ma insieme prendendoli – come ogni uomo merita – assolutamente sul serio».
Per approcciare il tema della nuova religiosità Massimo Introvigne inizia il suo libro edito da Cristianità “La questione della nuova religiosità” con queste parole: «Da qualche tempo – mentre lo spettro del comunismo […] sembra un poco passato di moda – un nuovo spettro si aggira per l’Europa, anzi, per il mondo intero: quello dei nuovi movimenti religiosi […]».
Questo esordio mi sembra particolarmente felice per inquadrare il nostro tema da un’altra angolazione perché, oltre a mettere in evidenza la drammaticità del problema che la Chiesa, e quindi i cattolici, in questi anni si trovano ad affrontare (un nuovo spettro si aggira per l’Europa, anzi per il mondo intero), richiama anche l’attenzione sulla relazione che questo problema ha con altri che la Chiesa (ma si potrebbe dire non solo la Chiesa, ma tutta l’umanità) ha avuto in passato e che d’altra parte non ha certo risolto del tutto, uno dei quali, il comunismo, sembra comunque che sia “un poco passato di moda”.
La scuola cattolica controrivoluzionaria chiama questa grande lotta contro la Chiesa e contro la verità (questo insieme di “spettri”) con un nome preciso: Rivoluzione (con la erre maiuscola), che – pur essendo un fenomeno unitario, come insegna il professor Plinio Corrêa de Oliveira nel suo fondamentale saggio “Rivoluzione e Contro-Rivoluzione” – ha sempre molti fronti aperti nella sua lotta contro la verità: la Contro-Rivoluzione deve poter essere in grado di coprire tutti questi fronti, e, senza abbassare la guardia nei confronti di nessun aspetto rivoluzionario, deve poter riconoscere per tempo ognuno di questi ed essere in grado di controbatterlo.
La Contro-Rivoluzione non è una Rivoluzione di senso contrario, ma è il contrario della Rivoluzione. Per chiarire con un esempio senza allontanarmi dal nostro argomento, si può dire che un esempio di Rivoluzione di senso contrario è il movimento anti- sette, che al massimo può essere considerato una reazione al fiorire delle nuove forme di religiosità, ma non è certo definibile come contro-rivoluzionario.
La Contro-Rivoluzione è invece la modalità con cui la Chiesa (la Chiesa!, non questo o quel movimento, o partito, o ideale politico) si oppone agli errori della Rivoluzione: mi sembra importante tenere presente questo concetto che ritengo fondamentale perché da parte nostra non nasca mai la tentazione di pensare che, nella lotta tra la verità e l’errore, o tra la verità e gli errori, la nostra azione, o la azione di questo o quello, possa avere l’efficacia di “salvare la Chiesa”: non siamo noi a salvare la Chiesa, ma è sempre la Chiesa che salva noi.
E la Chiesa il soggetto della azione controrivoluzionaria. Il controrivoluzionario quindi, per essere tale, deve essere un fedele figlio della Chiesa e questa è la prima condizione perché la sua azione possa avere appunto una qualche efficacia.
Un’altra caratteristica della Rivoluzione, sempre secondo gli insegnamenti del professor Plinio Corrêa de Oliveira, è quella di essere un processo, e nelle varie epoche storiche essa si presenta con metamorfosi che abbisognano di attenzione e studio attento da parte del controrivoluzionario, di colui cioè che vuole opporsi a questo processo, attenzione e studio che portano a riconoscerne le modalità di azione attuali, e quindi le sue strategie sempre diverse: non saper seguire i cambiamenti con cui si presenta la Rivoluzione significa non riconoscerla negli avvenimenti, significa quindi non poter mettere a punto nessuna strategia che la contrasti, non potersi fornire dei mezzi che attuino una efficace azione controrivoluzionaria.
Ne consegue che la prima azione nei confronti di un aspetto, vecchio o nuovo che sia, della Rivoluzione, deve essere quella di riconoscerlo, di studiarlo, di additarlo per farlo riconoscere.
Ora, come ho già accennato precedentemente, la questione della proliferazione di nuovi movimenti religiosi non ha ancora iniziato a preoccupare seriamente i cattolici a causa del fatto che le statistiche rivelano sì una crescita costante del fenomeno, ma questa rimane ancora, almeno in Italia e con l’eccezione dei Testimoni di Geova, un fatto abbastanza circoscritto.
Non così circoscritto è però il fenomeno, più generale rispetto a quello delle singole sette, della diffusione di una “nuova religiosità”, che colpisce anche molti cattolici, spesso inavvertitamente; nuova religiosità che consiste non nell’abbandonare la religione cattolica per aderire ad un nuovo movimento religioso, ma semplicemente nell’accettare credenze proposte da un ambiente di “nuova religiosità diffusa” veicolata dai più svariati mezzi di comunicazione o da attività che a prima vista sembrano innocue.
Modalità di questa irruzione di nuove concezioni del mondo nella nostra cultura se ne trovano ovunque. Consideriamo per esempio quell’insieme di proposte e possibilità offerte a giovani e meno giovani che vanno dal film sui Samurai alla palestra di arti marziali. Esse tendono a mitizzare una visione del mondo che ci viene proposta dall’Oriente e che indubbiamente ha un fascino tutto particolare, che colpisce di preferenza giovani con tendenze che potremmo definire genericamente di destra, proponendo la figura dell’uomo imperturbabile, dall’assoluta padronanza del suo fisico e dominatore di tutte le sue passioni.
Sull’altro versante stanno le idee diffuse nella società – che invece sembrano colpire preferenzialmente giovani con tendenze che potremmo definire genericamente di sinistra – sul pacifismo, sull’uguaglianza e fratellanza, sulla tolleranza di tutto e di tutti e ad ogni costo, dimenticando che il rispetto alla persona non va confuso con il rispetto degli errori che questa persona può veicolare.
Tutte idee, queste, che favoriscono il distacco da una concezione di verità certa e un convincimento, al contrario, che tutto può e deve essere messo in discussione; da qui deriva il disgusto per il dogma, l’idea secondo la quale la verità scaturisce dal dialogo, eccetera.
In questi ultimi tempi poi c’è un dilagare (troppo massiccio per non destare il sospetto che non sia manipolato) di interesse per tutto ciò che è magico o che può essere, spesso anche a sproposito, ricondotto al magico: e così si mescolano le apparizioni e le lacrime della Madonna, vere o presunte, con le ricette del mago Otelma, e gli stessi argomenti si ritrovano accostati sia nelle librerie che nelle stesse trasmissioni televisive, durante le quali vediamo seduti fianco a fianco i più diversi personaggi, dalla fattucchiera all’esorcista.
Con gli esempi si può continuare, e ognuno di noi può verificare come i vari errori presenti nella mentalità moderna possano condurre ad una simpatia nei confronti di uno dei tipi diversi di nuovi movimenti religiosi o magici e magari inducano un cattolico, o una persona che si crede tale, ad affiancare, a convinzioni più o meno accettate dalla visione cattolica, altre che invece sono assolutamente incompatibili con essa.
Massimo Introvigne, per spiegare il concetto di nuova religiosità, dice che essa «consiste in un ambiente, in un clima, in una serie di tendenze alternative rispetto alla religione così come viene intesa nelle chiese più antiche e maggioritarie. Il concetto di “nuova religiosità” è affine, in questo senso, a quello che gli studiosi anglosassoni chiamano cultic milieu: un mondo fatto di case editrici, di librerie (si pensi alle librerie esoteriche e occultistiche, ormai presenti nelle principali città italiane), di giovani “in ricerca”, di tesi eterodosse ma di moda (dalla reincarnazione alla credenza negli extraterrestri), che coinvolge anche persone che rimangono nelle chiese o comunità maggioritarie, o che formalmente non aderiscono ad alcuna denominazione religiosa».
Allora non ci si meraviglia quando si scopre che circa un terzo degli studenti delle scuole medie superiori, in Italia, crede nella reincarnazione. Il sondaggio è stato condotto dal CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni) in varie città italiane, tramite un questionario in cui si verificava preventivamente che gli studenti sapessero che cosa è la reincarnazione: questo naturalmente per avere una certa attendibilità dei risultati.
Io personalmente ho condotto questa ricerca nella nostra Diocesi raccogliendo le risposte di più di mille studenti. Ebbene, oltre un terzo degli interpellati, in misura cioè anche leggermente superiore rispetto ai sondaggi svolti in altre città, ha risposto che crede nella possibilità che l’uomo dopo la morte riprenda altri corpi e riviva altre vite. Inutile aggiungere che la dottrina della reincarnazione è totalmente incompatibile con la religione cattolica, anzi essa è considerata dai sociologi non un indicatore, ma l’indicatore principale di nuova religiosità, come tiene a precisare anche mons. Giuseppe Casale, vescovo di Foggia e presidente del CESNUR, nella sua lettera pastorale “Nuova religiosità e nuova evangelizzazione”.
Il problema dunque esiste, è piuttosto consistente, occorre prenderne atto, occorre studiarlo, non foss’altro che per decidere se sia un pericolo o una benedizione, se sia una sfida o un aiuto al senso religioso degli italiani che il relativismo e il razionalismo sembrava dovessero annientare.
Ma se c’è chi non vuole vedere questo nuovo “spettro che si aggira per l’Europa, anzi per il mondo intero”, c’è anche chi lo ha individuato molto bene: mi riferisco innanzitutto alla più alta gerarchia della Chiesa che, nel Concistoro Straordinario tenutosi in Vaticano dal 4 al 7 aprile 1993, ha indicato questo tema, accanto a quello delle minacce alla vita e dell’aborto, come una delle due grandi priorità pastorali per gli anni Novanta. La relazione, interessante e utilissima, che a questo Concistoro ha tenuto il cardinale Arinze, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-Religioso, è pubblicata integralmente in appendice a La questione della nuova religiosità di Massimo Introvigne.
Una ulteriore conferma poi della assoluta priorità che il Santo Padre annette a questo problema l’abbiamo dal discorso pronunciato a Santo Domingo il 12 ottobre del ’92, nel quale – riproponendo, come ormai da molto tempo fa instancabilmente – il tema della nuova evangelizzazione, ha individuato nel secolarismo – quindi nel suo esito, la secolarizzazione – e proprio nel problema della diffusione della nuova religiosità e delle sette e nuovi movimenti religiosi, due dei principali ostacoli alla nuova evangelizzazione.
Questi due grandi ostacoli – il secolarismo e la nuova religiosità – d’altra parte sono legati fra loro molto più di quanto non appaia a prima vista: da una parte infatti abbiamo una tendenza a fare a meno della religione, a estromettere la religione dalla vita sociale, a costruire una società “ut Deus non daretur”, come se Dio non esistesse; dall’altra abbiamo la risposta dell’uomo moderno che, privato in tutti i modi del suo bisogno di religiosità, la ricerca fino a trovarla nelle forme più strane e a volte bizzarre.
E inevitabile che a fare le spese di questo dis-orientamento, di questa frammentazione, siano le religioni maggioritarie, in particolare la Chiesa Cattolica che, presentando una verità che non si può addomesticare alle mode del momento, viene vista dall’uomo secolarizzato, modernizzato e impregnato da questo ambiente culturale che lo circonda, come apparentemente lontana dai suoi bisogni e soprattutto dai suoi desideri. E allora – cito ancora Introvigne – «..le nuove religioni sono risposte tipicamente religiose (anche se peculiari) a esigenze religiose che ritengono di non trovare (o di non trovare più) soddisfazione nelle chiese e comunità tradizionali.
Cercare di studiarle nel loro dinamismo specificamente religioso – pur senza disprezzare le indagini psicologiche e sociologiche – significherà, allora, compiere il primo passo per comprendere che cosa questi fenomeni possano rivelare a proposito della nuova ricerca del sacro che – nonostante la secolarizzazione, e forse a causa di questa – sembra oggi percorrere l’Occidente». La storia del mondo moderno, ha scritto il filosofo Augusto Del Noce, è «storia dell’espansione dell’ateismo», che, continua Introvigne nella Introduzione del suo Il cappello del mago, «per la prima volta nella storia degli uomini diventa fenomeno di massa e conquista strati significativi della popolazione».
Poi distingue un “ateismo forte”, rappresentato per esempio dal marxismo, che pretende di dimostrare la non esistenza di Dio, e un “ateismo debole”, che invece si disinteressa del problema dell’esistenza di Dio ed è un ateismo tipico della irreligione occidentale. Ma nell’epoca dell’ateismo nasce e con esso coesiste anche quella che Del Noce chiama “una nuova forma di mitologismo”, che si manifesta sia con la religione secolarizzata, poi con l’apparire delle nuove religioni e poi con questa nuova religiosità diffusa che purtroppo non è un nuovo interesse alla religione, ma l’interesse al nuovo in campo religioso.
E allora ci rendiamo conto che chi pensava che dal razionalismo e dall’illuminismo dei secoli scorsi dovesse automaticamente derivare la fine della richiesta religiosa da parte dell’uomo, si è sbagliato di grosso.
L’uomo moderno non riesce a tacitare la ricerca di assoluto che è inscritta nel suo cuore. Ma ciò che non è scomparso per inedia – con l’ateismo, “forte” o “debole” che fosse -, rischia ora di essere soffocato dalla sovrabbondanza – il supermarket delle religioni è veramente pieno di ogni ben di Dio! – ; ciò che non è morto per fame rischia ora di morire per indigestione.
E lecito dunque da una parte rallegrarsi del fatto che l’uomo moderno tutto sommato tenti di difendersi dalla secolarizzazione, opponendo, diciamo così, una naturale difesa contro l’ateismo, costituita dalla sua naturale propensione alla religiosità; e indubbiamente è da preferire la posizione dell’uomo che pur di non cadere nell’ateismo abbraccia una nuova religione, sempre che non lo faccia per interesse o per comodità, ma per un sincero bisogno della sua anima.
Ma è altrettanto vero che egli in questo modo cade in una trappola che la Rivoluzione ha apprestato proprio per persone come lui: è la riproposizione e la logica evoluzione infatti — riveduta e corretta per adattarla ai nostri tempi – di quella Pseudo-Riforma Protestante che aveva proposto la moltiplicazione dei modelli in campo religioso, con il libero esame delle Scritture, e con il rifiuto al primato di Pietro affermando “Cristo sì, Chiesa no”.
Questo concetto della moltiplicazione dei modelli credo meriti un piccolo approfondimento, che chiama in causa un altro “personaggio” importante nel nostro panorama, e cioè la Massoneria.
Con la cosiddetta “Riforma Protestante” si intronizza formalmente un mondo non omogeneo che, dopo lunga preparazione da parte di ambienti rivoluzionari, sostituisce un mondo precedente, culturalmente omogeneo: matrimonio monogamico, struttura della famiglia, ecc. Questa disomogeneità è andata poi sempre più accentuandosi, fino alla attuale situazione di disgregazione e di frammentazione in tutti i campi.
Guardiamo ad esempio la attuale riforma scolastica con l’introduzione dei cosiddetti “moduli”: essa introduce questo concetto della moltiplicazione dei modelli. La maestra un tempo era un “proseguimento” della mamma, e solo in età più adulta, alle scuole medie, si presentavano più insegnanti, cioè più modelli. Invece ora il bimbo non vede omogeneità nelle fonti delle sue “informazioni”, e non avendo strumenti critici adeguati e considerando le fonti come paritarie, finisce per assumere atteggiamenti di tipo implicitamente scettico.
Con il protestantesimo si moltiplicano le chiese (le maestre), prima a centinaia, poi a migliaia, e si impone come problematica il pluralismo religioso. E naturale che l’uomo disorientato si chieda quale sia l’atteggiamento giusto da tenere di fronte a questa varietà di proposte.
Di fronte a questa omogeneità perduta le reazioni sbagliate possono essere due:
– Una reazione superficiale è quella di fare proprio l’atteggiamento relativistico. Non c’è verità assoluta. Di fronte a tante campane si decide che nessuna rappresenta la verità, e quindi che la verità non esiste o non è alla nostra portata.
– Una seconda reazione, più profonda, più raffinata, consiste nel pensare che dietro alle diversità ci sia unità. Solo apparentemente le varie campane hanno un suono diverso: si cade in una prospettiva esoterica, in cui si viene introdotti per la spiegazione delle verità apparenti, escludendo però anche in questo caso la verità assoluta.
E qui si sente chiaramente l’influenza del pensiero massonico!
Il Gran Maestro Gamberini rispondendo alla domanda «Che cosa è la Massoneria?» dice, apertamente, che è nata per sostituire un nuovo ecumenismo all’unità perduta con la frammentazione religiosa del ‘600. Si tratta proprio di questa “risposta più raffinata” offerta al mondo traumatizzato dalla scomparsa della omogeneità culturale e religiosa.
Un elemento costante nelle associazioni massoniche è la pluralità religiosa (e anche, a ben vedere, quella non religiosa) ed il fatto che nessuno possa e debba affermare che la sua prospettiva abbia elementi di verità assoluta. Il contenuto non è più una serie di tesi, che possono essere variabili, ma un modo di stare insieme che nega per principio irrinunciabile una verità assoluta.
L’Humanum Genus di papa Leone XIII afferma che quando si vive in un ambiente in cui da un lato tutte le religioni sono uguali e considerate tutte allo stesso modo, mentre d’altro lato non viene affermata la verità, ne patisce innanzitutto la fede, poi in un secondo momento la ragione, e infine la morale. Si cede dunque prima nelle convinzioni, poi nei comportamenti.
Lo specifico comunque rimane costituito dal relativismo. Anche la “risposta raffinata” dà lo stesso esito pratico di quella, chiamiamola così, grossolana. Ma in questo caso non si tratta nemmeno di un relativismo affermato, che sarebbe già una dottrina, ma il relativismo semplicemente praticato. Puro metodo, quello della non proclamazione di una verità.
Anche il socialcomunismo è un relativismo, ma è aggressivo, e almeno ha una pretesa di verità: qui manca anche questa.
Ecco quindi la ripetuta condanna della Chiesa, che pone il divieto assoluto anche solo di frequentare le logge massoniche. Si tratta di cattiva compagnia. La Chiesa si rivolge a tutti noi come Geppetto e la fata dai capelli turchini a Pinocchio, vietandoci non questo o quello, ma la frequentazione stessa di cattive compagnie, che sono quelle che mettono in dubbio per principio la verità, sia naturale (rappresentata da Geppetto) che soprannaturale (rappresentata dalla fatina).
Se Leone XIII avesse inteso condannare semplicemente una dottrina, sarebbe partito da principio traendo poi logiche conclusioni secondo ragione. Invece egli nell’Humanum Genus fa un procedimento di tipo sociologico: denuncia un cattivo ambiente, una atmosfera di indifferentismo religioso – che è poi lo specifico della mentalità massonica così come della mentalità che dalle logge massoniche è penetrata nella società moderna e la ha secolarizzata -, indifferentismo religioso da cui trae danno la ragione e per cui poi non si può ricavare una morale. E la condanna di un ambiente, di un metodo che nemmeno si enuncia come metodo, poiché la sua sola enunciazione sarebbe già una dottrina.
E questa condanna si è ripetuta nella storia della Chiesa (e della Massoneria!), per ben 586 volte; tanti sono infatti i documenti sull’argomento, dal 1738 ai giorni nostri.
Appare allora chiaro che in effetti la Chiesa si è sempre resa ben conto dei pericoli che minacciano l’uomo, e che le sfide portate nel nostro tempo dai nuovi movimenti religiosi — ma anche dal ritorno dello spiritismo, della magia, dell’occultismo, dell’esoterismo e dello gnosticismo — non sono che le dirette conseguenze di quegli errori, anzi la stessa riproposizione di quegli errori.
In questa prospettiva vorrei attirare la vostra attenzione su un’altra risposta degli studenti al questionario, molto significativa e altamente indicativa della situazione. La domanda era: «A quale di queste due affermazioni si sente più vicino? 1- La verità è nella Chiesa cattolica, 2- Tutte le religioni sono ugualmente vere». Circa un terzo degli studenti hanno risposto mettendo una crocetta a lato della prima affermazione (la verità è nella Chiesa cattolica), mentre i due terzi hanno risposto di sentirsi più vicini all’affermazione secondo cui tutte le religioni sono ugualmente vere.
Questo è avvenuto in indagini condotte in varie città italiane senza spostamenti di percentuale particolarmente significative, e si è riprodotto anche nella nostra diocesi. Anche i dati riferiti non a studenti ma a persone di età superiore, pur fornendo delle percentuali leggermente inferiori (intorno al 60%, contro il 65-70% degli studenti), confermano comunque che, in campo religioso, gli italiani, al di là dell’appartenenza a questa o quella denominazione, e al di là della loro consapevolezza nell’aderirvi, si sono formati una vera e propria “nuova religione”, che è il relativismo.
Questo ci porta a comprendere il significato pieno di tutto il problema di cui vi ho parlato e della situazione in cui versa l’Italia per quanto riguarda questo problema: il primo dato, rappresentato da quell’1 o 2% di stretta appartenenza a nuovi movimenti religiosi, non ci deve ingannare, perché va preso in considerazione anche il secondo dato, quello rappresentato dalla credenza nella reincarnazione — dal 25 al 30% -, che ci informa sul numero delle persone che in qualche modo condividono idee della nuova religiosità. Il passaggio conclusivo poi va fatto passando dalla nuova religiosità appunto al relativismo, e qui scopriamo che è condiviso da una larga maggioranza di italiani, dal 60 al 70%.
Poco sopra evidenziavo, con Massimo Introvigne, un legame ed una continuità fra il comunismo e la nuova religiosità: uno spettro che sembra essere in crisi lascia il posto ad un nuovo spettro che prepotentemente si aggira per il mondo. Ma questo legame e questa continuità sono ben presenti, e l’abbiamo visto, non solo con il socialcomunismo, ma anche con gli altri errori che, assommati, costituiscono quello che abbiamo chiamato Rivoluzione.
La questione della nuova religiosità non è affatto un problema che si pone a margine nella lotta tra la Rivoluzione e la Contro-Rivoluzione, ma, al contrario, ne è un elemento assolutamente primario. Se dunque la Contro-Rivoluzione deve poter essere in grado di coprire tutti i fronti aperti dalla Rivoluzione, e senza abbassare la guardia nei confronti di nessun aspetto di essa, deve poter riconoscere per tempo ognuno di questi per essere in grado di controbatterlo, a maggior ragione dobbiamo riconoscere, poi studiare, e additare a quante più persone possiamo, questo che non è un aspetto marginale dell’aggressione rivoluzionaria all’uomo, ma uno degli aspetti fondamentali con il quale la Rivoluzione opera.