25 Aprile 2018
di Costanza Miriano
Propongo per i giudici e i medici inglesi uno stage obbligatorio e inderogabile di tre mesi nell’ospedale di padre Aldo Trento, ad Asuncion, o in uno dei tanti, per fortuna, altri luoghi del mondo in cui la medicina forse ha meno mezzi, ma non ha perso la sua vocazione.
Padre Aldo non è un medico, ma passa ogni giorno a fare il giro di tutto l’ospedale accarezzando i suoi malati, alcuni anche apparentemente più gravi di Alfie. Di sicuro più futili di lui, secondo i parametri dei giudici inglesi: Josè è immobilizzato in un letto da venti anni, ma riesce con una voce debole e incomprensibile a comunicare che lui è felicissimo, perché lì “non ha fame, né freddo,e ogni giorno c’è qualcuno che passa a fargli un saluto”.
E Josè è già fortunato, perché può muovere qualche dito di una mano, e parla. Ci sono malati immobilizzati, e ciechi, con idrocefalia e altro. Non parlano non vedono non sentono. Tutti curatissimi, cambiati ogni giorno, nutriti, accarezzati e trattati come fossero principi. E’ quella la differenza con gli ospedali inglesi: che per padre Aldo e la sua Hermana Sonia la famiglia reale è quella. Il suo Royal baby è un piccolo che lui ha adottato, immobile, con la testa deforme e i piedi ritorti e tutte le invalidità possibili.
Lui è la persona più preziosa del mondo per l’ospedale. “Lui è comunione col mistero” – dice il padre adottivo guardando e accarezzando “questa piccola ostia bianca”. Certo, il dolore non piace a nessuno, neanche ai cristiani, e per tutti, anche per noi, è un mistero. Ma davanti al mistero ci si mette davanti, meglio che si può, possibilmente in ginocchio. Non si cerca di spazzarlo via soffocandolo o facendolo morire di fame.
Sono tre i segreti per la felicità dei malati – quelli che possono parlare lo dicono, lì sono felici, per quanto al povero giudice Hayden questa cosa non sarà dato di capirla, temo, se non alla sua stessa morte.
Primo, il fiore. Guardando le immagini girate da mio marito nell’ospedale ho capito che il primo segreto è nel fiore. Ogni letto ha accanto un comodino con dentro un fiore fresco, nuovo ogni giorno. La cura e la delicatezza di chi mette un fiore fresco tutte le mattine sta dicendo: tu sei prezioso e meriti la bellezza, il profumo, anche se non li vedi e non li senti, perché tu sei unico al mondo e sono felice che tu sia qui anche oggi. Anche se sei crocifisso a questo letto col tuo moncherino o la tua testa enorme. Non ti lascio lì con le lenzuola sporche solo perché non hai parenti che vengano a trovarti, nessuno che si lamenti perché sei stata abbandonata qui neonata da un padre alcolizzato e sei handicappata grave.
Secondo, la targa con due nomi. Uno con il nome del paziente. Quando non ne ha uno – come succede ai relitti umani trovati nelle discariche – padre Aldo lo adotta, legalmente: diventa suo figlio, lui gli dà un nome e il suo cognome, Trento. L’altra targa invece porta il nome della persona o dell’intenzione per cui il malato offre la sofferenza, perché non c’è niente di peggio che soffrire inutilmente.
Padre Aldo chiede ai suoi malati di aiutarlo a costruire il regno dei cieli collaborando come possono, usando la loro paziente immobilità, offrendola per la salvezza dei fratelli, che magari non lo sapranno mai, ma sono stati salvati dal trans malato di Aids o dall’autista di autobus paralitico. La sofferenza c’era già, e non è che noi cristiani siamo dei pazzi masochisti che la cercano. Solo che quando c’è la facciamo fruttare: siamo solo più furbi.
Terzo, il corpo di Cristo. Tutti i giorni viene portato ai pazienti che lo desiderino, perché tutto cambia se porti la fatica senza di lui o con lui, che si è messo su una croce che non gli spettava, e da quel giorno ha reso sensato tutto il dolore incomprensibile. Padre Aldo non lo chiede né tanto meno lo impone a nessuno, ma tutti lo vogliono ricevere, dopo avere ottenuto il battesimo, perché quando sei sulla croce l’amore di Dio finalmente si capisce.
Certo, quel Qualcuno è Dio in persona, e questa cosa Michela Marzano non la può capire, per questo ha scritto quel pezzo stizzito e livoroso su Repubblica ieri. Di questo la perdoniamo. Però almeno poteva informarsi un pochino, evitandosi così la figuraccia di scrivere che Alfie è “un bambino tenuto in vita solo dalle macchine”. Nel momento in cui scrivo le macchine sono state staccate da 37 ore, e Alfie è in vita da solo.
Di questo non la perdoniamo, perché si possono sostenere tutte le opinioni, ma i fatti no, quelli sono testardi, e una docente universitaria che scrive sulla prima pagina di un giornale come Rep. dovrebbe avere l’accortezza di informarsi sui fatti prima di arrischiarsi a dire “accanimento terapeutico”. E’ un grave torto che fa a quel bambino e alla realtà. Non c’era nessuna terapia che teneva in vita Alfie, e non era accanimento perché il bambino sorride, ciuccia, sta in braccio alla mamma.
Cosa che non è data invece ai bambini strappati dalla pancia in cui sono cresciuti. Lo ricordo perché la Marzano si è dimessa dal PD quando non è stata approvata la legge sulla stepchild adoption: è dunque un’altra come il giudice inglese, Hayden. Due sostenitori della pratica di strappare i bambini alla mamma, insomma. Eppure Kate, che per noi è Royal almeno quanto la principessa, con i suoi venti anni, senza lauree né parrucche bianche da Alta Corte sta lottando come una leonessa per il suo bambino.
Noi le siamo al fianco, orgogliosi di essere parte di un popolo che si è alzato in piedi, e, per una volta, anche orgogliosi di essere italiani.
p.s.
Purtroppo tutta questa vicenda non è solo questione di non amare e non capire la fragilità. C’entra anche molto altro: la paura che il possibile errore fatto su Alfie – evidentemente errore di diagnosi che manca, e di prognosi completamente smentita, probabilmente di terapia e forse qualcosa di più – cominci a tirar fuori anche altre mancanze dell’ospedale, errori medici grossolani, presunzione, arroganza, metodi scioccanti e disumani e scheletri nell’armadio, incompetenza scientifica. Di tutto questo non possiamo parlare perché non siamo documentati esattamente.