Dalla Newsletter di Giulio Meotti 28 Gennaio 2021
In esclusiva il primo capitolo del mio libro, “Ippocrate è morto ad Auschwitz. La vera storia dei medici nazisti” (Edizioni Lindau)
di Giulio Meotti
Collina dell’Ettersberg, Germania. In basso, Weimar e la sterminata foresta della Turingia, pascoli e case dai tetti spioventi, campanili sottili, strade bianche, meli fioriti ed Eisenach, il castello di Wartburg, dove Lutero si ritirò per tradurre la Bibbia dopo la Dieta di Worms. È lo scenario che trasuda storia civile e culturale in cui il genio tedesco seppe toccare le vette della più alta creazione. Su quell’altura vennero meditando Herder e Schiller. L’Ettersberg è visibile anche da Villa Silberblick, dove trascorse gli ultimi anni Friedrich Nietzsche, il filosofo della «morte di Dio» e del Superuomo. A Weimar è nato il Bauhaus e ha vissuto Bach. La città è stata la capitale culturale d’Europa nel 1999.
La fragile Repubblica tedesca, la Repubblica di Weimar, cercò in quelle memorie così ricche di cultura e Lumi gli auspici della sua nuova vita. Anche Adolf Hitler adorava il posto, visitandolo decine di volte e cercando di fare della città di Franz Liszt una sorta di luogo sacro al Volk tedesco. I nazisti decisero di costruirvi Buchenwald, il «bosco di faggi». Sul portone spicca ancora, in ferro battuto, il motto evangelico col quale i nazisti irridevano i deportati: «Jedem das Seine», a ciascuno il suo. Il piano originale era di chiamare il campo, dove morì anche Mafalda di Savoia, Ettersberg. Ma il nome era troppo identificato con Goethe. Quindi fu scelto Buchenwald. Nell’aprile del 1942, per volere del municipio di Weimar, ai detenuti nella falegnameria di Buchenwald fu ordinato di copiare i mobili dello studio di Schiller. I mobili originali furono portati nel campo di concentramento dalla Casa di Schiller e lì riprodotti sotto la direzione del falegname Willy Werth. In un angolo del campo, una targa ricorda la Goethe Eiche, la quercia di Goethe. Alla sua ombra, il grande poeta ha meditato e scritto i versi «Edel sei der Mensch, hilfreich und gut», nobile sia l’uomo, generoso e buono.
Tra gli alberi dove Goethe parlava d’amore con Carlotta von Stein furono commessi mostruosi delitti. Lì sorgeva il Blocco 46, il Centro sperimentale per il tifo. Aveva buoni letti, sale luminose, coperte di trapunte. Era il luogo più confortevole e atroce del campo. In quel «bosco dei faggi», che divenne Totenwald, il «bosco dei morti», alcuni fra i migliori medici della Germania, la nazione che fino ad allora aveva vinto il maggior numero di premi Nobel e che era l’avanguardia della medicina e della scienza nel mondo, commisero il più allucinante crimine medico che la storia ricordi. Un giorno si presentò al campo Eugen Gildemeister, il presidente del Robert Koch-Institut, coinvolto negli esperimenti per arrivare a un vaccino contro il tifo condotti sui prigionieri di Buchenwald.
«Gli esperimenti sugli esseri umani devono essere mirati a…». Così scriveva Albert Demnitz, il manager dell’azienda farmaceutica Behringwerke, che dopo la guerra andrà a insegnare all’Università di Gießen. C’è una lettera, conservata nel museo di Buchenwald, che Demnitz scrisse al dottore del campo, Waldemar Hoven, il 2 febbraio 1943, riguardante gli esperimenti sul tifo. «Buchenwald-Weimar…», si legge. Demnitz si rivolse al batteriologo delle SS Joachim Mrugowsky, che in seguito fu condannato a morte a Norimberga per aver diretto la distribuzione del gas Zyklon B ai campi di sterminio. Demnitz gli chiese di includere i vaccini di Marburgo nella serie di esperimenti a Buchenwald, che era diventato un vero e proprio «laboratorio dell’industria farmaceutica», per dirla con le parole dello storico e giornalista Ernst Klee. Hoven e Mrugowsky saranno fra i medici processati e impiccati a Norimberga.
Molti di questi scienziati nazisti, come il dottor Paul Rostock, erano stati di casa al Charité, il più antico e famoso ospedale di Berlino, fondato da Federico I nel 1710 come «rifugio contro la peste», punto nevralgico della medicina e della ricerca in Europa, da cui passarono metà di tutti i premi Nobel tedeschi in medicina. Quando il Blocco 46 di Buchenwald venne costruito, la medicina tedesca era al vertice mondiale.
Medici e ricercatori europei si recavano in Germania per approfondire la propria istruzione e conoscenza, e aggiornarsi professionalmente. Si possono citare diversi grandi nomi: Rudolf Virchow, il fondatore della moderna patologia; Robert Koch, che insieme al francese Louis Pasteur è il fondatore della moderna batteriologia; Emil von Behring, che sconfisse il tetano e la difterite e fu l’artefice del primo farmaco chemioterapico contro la sifilide insieme a Paul Ehrlich. Due anni prima che i nazisti costruissero Buchenwald, Gerhard Domagk produsse il sulfanilamide, che curava la sepsi streptococcica. Koch, von Behring, Ehrlich e Domagk avrebbero ricevuto il Nobel per la medicina.
Durante la Repubblica che prese il nome da Weimar, a due passi da Buchenwald, uno psichiatra di nome Alfred Hoche e il giurista Karl Binding scrissero il testo chiave del futuro massacro, «La liberalizzazione della soppressione della vita senza valore». Essi vi parlano di «morte caritatevole» (Gnadentod) per i malati e i disabili. E riconoscono allo Stato il diritto-dovere di sopprimere questi individui. Una volta diventato ufficiale il principio della «vita indegna di essere vissuta», lo Stato e i medici non dovevano far altro che metterlo in pratica. I nazisti crearono soltanto le condizioni ideali. Non è stato il nazismo a subordinare le scienze della vita, ma gli scienziati della vita che hanno reso possibile la dittatura nazista. Ottenere tessuti dai corpi dei giustiziati era molto difficile durante la Repubblica di Weimar, a causa della scarsità di esecuzioni capitali. Il nazismo avrebbe liberato risorse mai viste prima per gli scienziati tedeschi. C’è una fotografia di August Bier, il chirurgo che realizzò la prima anestesia spinale al mondo, con Leonardo Conti, capo della Sanità del Reich nazista. Quanto resta ancora da scoprire sui rapporti fra il nazismo e la grande medicina del tempo?
Conosciamo tutti i nomi di Auschwitz, Treblinka, Sobibór, Bełżec e Chełmno, i campi di sterminio con le camere a gas dove a milioni perirono. Quasi nessuno conosce i nomi di Brandeburg, Grafeneck, Bernburg, Sonnenstein, Hartheim e Hadamar, ospedali e istituti le cui camere a gas uccisero a migliaia malati e disabili, e furono le prove generali dell’Olocausto. La riunione nella Cancelleria del Reich per decidere come realizzare l’eutanasia, alla presenza di quindici medici, per la prima volta nella storia vide degli specialisti riunirsi per decidere di distruggere i propri pazienti. Ancora nel 2016, la scoperta che nella collezione del Max-Planck-Institut per la psichiatria di Monaco ci sono ancora resti delle vittime dell’eutanasia nazista…
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