n.641/42 luglio-agosto 2014
Riprendiamo da Il Foglio del 3 luglio 2014 questa illuminante ricostruzione delle guerre di religione fra arabi che stanno insanguinando il Medioriente, con milioni di morti.
di Carlo Panella
Sciiti e sunniti si massacrano in Iraq per colpa e responsabilità di George W. Bush e della sua «dissennata guerra»? A ogni crisi irachena ci viene propinata questa verità indiscutibile: se Saddam Hussein fosse ancora al potere col suo pugno di ferro, sciiti e sunniti iracheni sarebbero in pace. Questa sciocchezza ribadita da un coro unanime – uniche eccezioni Tony Blair e pochi altri saggi – è il metro perfetto dell’incultura che permea l’Occidente, sintomo della sua falsa coscienza, quasi che bere pozioni che obnubilano la memoria, anche dei fatti più recenti, possa dare serenità a un Occidente che si sente vivo solo quando trova il modo di vergognarsi di sé stesso. Non è così. E a chi sostiene che sciiti e sunniti si stanno massacrando in Iraq e Siria solo a causa della caduta di Saddam Hussein vanno ricordate alcune verità storiche.
La prima – lontana ma fondante – è che nel 1744, mentre in Europa si affermava l’illuminismo e si strutturava la modernità, prodromi delle grandi rivoluzioni democratiche, nasceva e si affermava nell’islàm uno scisma oscurantista, il wahabismo salafita della casa dei Saud, che aveva nell’eliminazione fisica degli sciiti la propria principale vocazione. La motivazione di questa prassi wahabita è semplice nella rozza teologia di Muhammed al Wahab: gli sciiti accostano al culto di Allah quello dei 12 Imam di cui venerano i santuari. Quindi sono politeisti, idolatri, traditori della fede nell’unico Dio. Sono «falsi musulmani che diffondono corruzione sulla terra». Vanno spazzati via.
Soldati sciiti massacrati a freddo
Oggi, quando il wahabita Abu Bakr al Baghdadi, il leader dell’Isis che assedia Baghdad e massacra a freddo soldati sciiti, promette che «metterà a ferro e fuoco» le città sante sciite di Kerbala e Najaf, ripropone l’obiettivo della distruzione e del saccheggio di quei santuari già messo a segno nel lontano 1802 dal wahabita re Abdulaziz ibn Saud (morto poi per mano di un sicario sciita).
Da allora la vicenda della regione è costellata di scannamenti tra sunniti e sciiti, obbligati nel 1925 da un altro Abdulaziz ibn Saud a pagare la Jiza, la tassa di sottomissione imposta a ebrei e cristiani, a chi non è musulmano. Questo è l’indispensabile punto di riferimento per mettere a fuoco le ragioni profonde dello sterminio reciproco a cui assistiamo dal 1979 in poi.
Gli scannamenti brutali tra sciiti e sunniti riprendono con forza dopo la vittoria nel 1979 della rivoluzione sciita di Khomeini in Iran, che contesta la custodia dei luoghi santi da parte dei Saud wahabiti e che è specularmente vissuta dai wahabiti come la minacciosa affermazione di un’idolatria nel corpo dell’islàm. Centinaia sono i morti degli scontri tra pellegrini sciiti e sunniti alla Mecca nel corso degli Haji dei primi anni ’80.
Negli stessi anni Riad manda 25 mila uomini della Guardia nazionale per schiacciare la rivolta degli operai del petrolio sciiti nella regione di Hasa. Centinaia di morti conta la rivolta sciita nel Kuwait. Tra il 1980 e il 1988 la stessa guerra tra Iran sciita e Iraq con governo sunnita, che costa 500 mila morti, è combattuta dall’una e dall’altra parte anche come jihad. Nel frattempo Saddam impicca l’ayatollah Baqir al Sadr (zio di Moqtada al Sadr) e centinaia di suoi accoliti accusandoli di apostasia e attentato alla sicurezza dello Stato.
Nel 1991, alla fine disastrosa della guerra del Golfo, la rivolta sciita del sud Iraq è schiacciata da Saddam Hussein con non meno di 15 mila vittime. Questo è il prezzo della pax sunnita che Saddam Hussein impone all’Iraq che tanta nostalgia suscita oggi nelle anime belle che esecrano la sua deposizione da parte di George W. Bush. Pochi anni dopo, in Afghanistan, i talebani arrivati al potere massacrano l’etnia sciita degli Hazara. Da allora sanguinosi attentati sunniti contro fedeli in preghiera dentro moschee sciite si succedono non solo in Iraq, ma anche in Bangladesh e Pakistan.
La realtà di cui l’Occidente si rifiuta di prendere atto è che si sta combattendo nel mondo musulmano una Fitna, una guerra di religione che contrappone lo scisma wahabita agli sciiti e in particolare al nuovo scisma in ambito sciita che è stato delineato dall’ayatollah Khomeini. Questo è il contesto culturale e politico che produce il terrorismo islamista. Questa è la ragione per cui la strategia di contrasto di Barack Obama basata sugli assassinii mirati e sui droni è ai limiti dell’assurdo. Stiamo assistendo allo sviluppo esponenziale di un’inarrestabile guerra di religione tra musulmani, che si combatte anche in ambito sciita tra khomeinisti e antikhomeinisti.
Guardare la foresta, non solo gli alberi
II 10 aprile 2003 a Najaf il potente e famoso ayatollah sciita Abdul Majid al Khoei, appena rientrato dall’esilio londinese, viene assassinato a colpi di mannaia dai sicari armati dallo sciita Moqtada al Sadr, che l’anno successivo minaccia di uccidere l’ayatollah Ali al Sistani e attacca Najaf e Kerbala. Abdul Majid al Khoei era amico di Tony Blair, il suo ispiratore nello schierarsi a fianco di George W. Bush nella guerra contro Saddam. Era figlio del grande ayatollah Abu al Kassim al Khoei, maestro dell’attuale grande ayatollah Ali al Sistani, arrestato da Saddam Hussein e morto nel 1992 agli arresti domiciliari. Era esponente di rilievo della componente sciita avversa al khomeinismo (e a Baqir al Sadr) e la sua morte costa un prezzo enorme alla coalizione dei volenterosi.
Con al Khoei scompare l’indispensabile mediatore tra la coalizione occidentale e la situazione interna irachena e si perde il contatto con la fondamentale componente religiosa sciita affidata incautamente dall’America ai laici lyad Allawi e Ahmed Chalabi (suggeritore della disastrosa decisione di sciogliere l’esercito iracheno e i suoi vertici sunniti).
Infine, ma non per ultimo, se si vuole guardare la foresta e non solo gli alberi, un dato secco: dal 1956 a oggi, se si guarda ai conflitti in Indonesia, Pakistan-Bangladesh, Giordania, Oman, Ciad, Sudan-Sudan del sud, Yemen, Iran-Iraq, Siria, Libano, Algeria Marocco, si vede che tra i 4 e i 6 milioni di musulmani sono stati uccisi da altri musulmani in guerre civili, attentati e conflitti di religione (statistiche precise sono impossibili). In questo contesto più di un milione e mezzo di arabi sono stati uccisi da arabi. Senza alcun intervento dell’Occidente, né di Israele.