26 agosto 2014
Lo studioso: così il califfo potrà reclutare adepti presentando la guerra come scontro tra islam e crociati, quando in realtà è anche una lotta tra musulmani
di Andrea Tornielli
«Parlare di scontro tra islam e cristianesimo è una semplificazione, credo che abbiano ragione il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin come pure Papa Francesco. È essenziale che a intervenire sia la comunità internazionale con la partecipazione di Paesi musulmani. Altrimenti si finisce per rimanere nel copione voluto dal sedicente califfo al-Baghdadi, che fa di tutto per presentare la guerra come lo scontro finale tra crociati e islam». Lo afferma il professor Massimo Introvigne, fondatore del Cesnur (Centro studi sulle nuove religioni). Nell’articolo pubblicato oggi sulla «Nuova Bussola quotidiana» lo studioso ha analizzato una pubblicazione plurilingue promossa dall’Isis, il gruppo fondamentalista islamico dei tagliagole che ha proclamato il califfato in Iraq. Ed è giunto a conclusioni identiche a quelle proposte e ripetute da parte della Santa Sede. Conclusioni che divergono sensibilmente da quelle dei propugnatori dello scontro tra cristianesimo e islam.
Perché è una semplificazione presentare ciò che accade in Iraq come uno scontro tra islam e cristianesimo?
«L’aggressione delle milizie dell’Isis contro la minoranza turcomanna di religione sciita, dopo quelle contro i cristiani e gli yazidi, ci fa capire che il califfato sunnita massacra altri musulmani, sciiti. Bisogna capire bene la strategia e l’ideologia dell’Isis, su cui spesso in Occidente circolano notizie imprecise o semplificate. Possiamo farlo grazie alla rivista del califfato, edita sia in formato cartaceo che web in numerose lingue – tra cui l’inglese – e intitolata Dabiq. Si tratta di una pubblicazione di propaganda per i musulmani, una rivista raffinata, con illustrazioni. Anche se il sito viene spesso oscurato, non è difficile procurasela e studiarla».
Che cosa si apprende dalla lettura?
«Il mercato ideologico dell’ultra-fondamentalismo islamico è molto affollato. E che i nemici dell’Isis sono la galassia che fa capo ai Fratelli Musulmani, la casa madre del fondamentalismo islamico, e al-Qaeda. Leggendola si scopre che l’Isis considera come fondativa la morte nel 2006 in Iraq del terrorista internazionale giordano Abu Musa al-Zarqawi. Quest’ultimo si era distinto da Bin Laden, il quale considerava controproducenti per al-Qaeda i metodi da tagliagole, culminati nella decapitazione dell’ostaggio americano Nicholas Berg. Zarqawi teorizzava il massacro di tutti i non sunniti: cristiani, seguaci di altre religioni ma anche i musulmani “eretici” sciiti. Le sue milizie distruggevano in Iraq interi villaggi sciiti, uccidendo tutti gli abitanti. L’Isis oggi vuole creare zone integralmente sunnite, eliminando i seguaci di tutte altre religioni, compresi i musulmani sciiti».
Che cosa significa il nome della rivista, «Dabiq»?
«È il nome di una cittadina in Siria dove, secondo un noto “hadith”, cioè un detto attribuito a Maometto, avverrà nei tempi ultimi lo scontro finale fra i musulmani e i cristiani, quello che aprirà all’islam la via verso Roma. Un’ideologa apocalittica. Capiamo allora perché l’Isis non solo non tema, ma auspichi un intervento contro il suo territorio di americani ed europei e anche della Russia: per questo in Siria moltiplica le provocazioni anti-russe».
Perché il sedicente califfo spinge per un intervento occidentale?
«I “cristiani” (europei, americani, russi), identificati con i crociati, devono essere attirati a combattere nella terra dell’islam, e lì sconfitti, dopo che un’invasione “cristiana” avrà mostrato al mondo islamico che al-Baghdadi è il vero califfo, facendo accorrere musulmani di tutto il mondo ad arruolarsi sotto le sue bandiere. Dalla lettura di Dabiq si capisce come tra i nemici dell’Isis vi sia la componente di al-Qaeda che combatte in Siria contro Assad (Jabhat al-Nusra), e vi siano anche Fratelli Musulmani (compresa la direzione di Hamas in Palestina e i leader dei Fratelli attualmente in carcere in Egitto): sono considerati nemici perché mantengono rapporti con gli sciiti e non rifuggono – almeno in Palestina – dalla collaborazione con cristiani, purché di sentimenti anti-israeliani. Un altro nemico giurato è l’islam politico turco di Erdogan, che ha promesso all’Unione Europea libertà e uguaglianza per le minoranze religiose: questo spiega la furia di queste settimane di al-Baghdadi contro i turcomanni dell’Iraq».
Dunque i musulmani non sono tutti uguali…
«Certo che no. Quanto sta accadendo dimostra che neppure i fondamentalisti islamici sono tutti uguali, e neppure gli ultra-fondamentalisti violenti lo sono. Tra Fratelli Musulmani, al-Qaeda, Isis ci sono differenze reali. Non si limitano a discutere di teologia, si ammazzano tra loro. Il califfato è un pericolo non solo per i non musulmani, ma anche per i musulmani non sunniti e per gli Stati islamici vicini, che al-Baghdadi considera tutti illegittimi ed eretici».
Che cosa bisogna fare, allora, per fermare i massacri dell’Isis?
«Se si vuole fermare il califfato, e proteggere le minoranze che minaccia di sterminare, si deve tenere conto della sua ideologia. L’intervento armato solo americano, o americano ed europeo, rientra nel cliché predisposto dal sedicente califfo, che così potrà presentare la guerra come lo scontro finale tra l’islam aggredito e i crociati cristiani. Per questo sono importanti le parole di Francesco sul coinvolgimento delle Nazioni Unite: l’intervento per fermare l’ingiusta aggressione contro le minoranze deve essere multilaterale e coinvolgere i paesi dell’area, altri paesi musulmani. Secondo me è essenziale non dare l’impressione di rimanere all’interno del copione voluto dall’Isis».