La Croce quotidiano 29 maggio 2018
L’Irlanda dice di sì alla legalizzazione dell’aborto: favorevoli alla c.d. “interruzione volontaria di gravidanza” all’italiana, cioè entro la 12ª settimana, oltre il 66% dei votanti. Non tutto il male viene però per nuocere “a valle” del referendum che ha abrogato l’Ottavo emendamento della Costituzione irlandese. Ora si attende entro l’estate una legge sull’aborto, che il governo di Varadkar ha promesso
di Giuseppe Brienza
«Perché chiedermi come sto?
Voi come mi vedete?
Sono caduto, ho perso il mio capitano
e il mio equipaggio, sono lontano,
un milione di miglia da qui».
(Rory Gallagher, A millions miles away, Irish Tour 1974)
Rory Gallagher (1948-1995), uno dei più grandi chitarristi che la storia della musica rock ricordi, era un irlandese semplice, dal viso pulito, sorridente. La sua terra ancora lo celebra come un eroe nazionale a partire da quel giorno in cui, a soli 47 anni (era il 14 giugno del 1995), ne diedero notizia commossi e sconcertati tutti i tg e le radio nazionali, compresa la Bbc, interrompendo le consuete programmazioni per trasmetterne in diretta i funerali.
Rory Gallagher è nato e cresciuto nella piccola cittadina di Ballyshannon, contea di Donegal, che ogni anno lo celebra e ricorda in un festival rock-blues che si tiene ad inizio giugno. Perché parliamo di lui in un articolo sull’esito del referendum abortista in Irlanda, nel quale hanno vinto i “SI” (prochoice) con il 66,4%, contro i sostenitori (prolife) del “NO”, attestatisi al 33,6%? Semplice, perché la terra natia di questo “Guitar Hero”, Donegal, la quarta per dimensione della nazione nonché la più vasta dell’Ulster (la popolazione complessiva supera i 160mila abitanti), è l’unica contea dove ha vinto il no all’aborto con il 52% dei voti.
A livello culturale il Donegal è senz’altro una delle contee più prolifiche ed interessanti d’Irlanda. Gran parte della contea è considerata come un bastione della cultura gaelica, di antiche tradizioni e soprattutto della lingua irlandese, con una tenuta maggiore delle altre della pratica religiosa (fra l’altro lo stesso Gallagher vi ha frequentato fino ai 15 anni la locale “Scuola dei Fratelli Cristiani”).
Sebbene il movimento anti-abortista irlandese abbia ammesso appieno la sua sconfitta, John McGuirk, il portavoce di “Save The 8th” – l’Ottavo emendamento dell’articolo 40 della Costituzione è quello che parifica il diritto del bambino concepito a quello della madre e, a causa della vittoria dei “SI”, dovrà essere ora abrogato -, ha voluto rendere onore agli “eroi” «che sono stati con noi in questa campagna: militanti, finanziatori, le nostre famiglie e i nostri cari, sui quali è gravato un costo personale enorme per il loro coinvolgimento» (Official Statement by #Savethe8th on the referendum result, Dublin May, 26 2018).
Non tutto il male vien per nuocere, quindi, non solo perché la mobilitazione alla quale abbiamo assistito negli ultimi 4 mesi (da quando cioè la consultazione è stata indetta dal Governo) è stata generale ed unitaria da parte di tutto il movimento prolife, ma anche e soprattutto perché la Chiesa è finalmente scesa in campo. E non solo con le dichiarazioni e gli interventi dei suoi pastori, ma anche iscrivendosi, lo crediamo fermamente, nel novero dei “grandi finanziatori” della campagna in favore dell’ottavo emendamento, definito esplicitamente nel documento collettivo dell’episcopato irlandese «una dichiarazione di uguaglianza e di rispetto per la vita umana».
Anche l’appello rivolto agli elettori dal primate d’Irlanda, l’arcivescovo di Armagh mons. Eamon Martin, è stato molto chiaro in questo senso: «nel momento del voto pensate a due vite». Uno dei maggiori vaticanisti anglosassoni che hanno seguito in modo diretto la mobilitazione referendaria irlandese, direttore della testata on line a noi omonima “The Crux”, ha esplicitamente commentato in questi termini: «Nel periodo precedente al voto del 25 maggio la Chiesa Cattolica in Irlanda ha condotto una vigorosa campagna in favore del “No”, con parecchi vescovi che hanno anche persino ammonito i fedeli sulle conseguenze tragiche, in termini di difesa della vita del concepito, di un voto contrario all’ottavo emendamento» (John L. Allen Jr., Exit polls say Irish overwhelmingly dump pro-life amendment, in “The Crux”, May 25, 2018 – https://cruxnow.com).
Di sicuro il 25 maggio rappresenta un passaggio destinato a segnare un’epoca: l’Irlanda, terra di secolari radici cristiane, s’incammina sulla scia del resto dell’Europa occidentale verso la “cultura della morte”. Crediamo, però, abbia gli anticorpi per scuotersi finalmente e risalire la china.
La giornata di bel tempo, almeno per gli standard irlandesi, ha favorito come speravano i sostenitori del sì, l’affluenza attestatasi alla fine attorno al 70%. In uno scenario per certi versi simile a quello di un altro referendum contrastato e assai simbolico, sfociato giusto tre anni fa nel via libera ai matrimoni gay, il movimento prolife ha sfidato una campagna telematica inedita per silenziarlo, che ha coinvolto anche i grandi social networks come Google e Facebook, conseguendo un risultato comunque analogo rispetto a quello del 2015 (allora fu il 37,9% a votare NO al “matrimonio” omosessuale, il 25 maggio il “NO” all’aborto è stato quasi il 34%). Ricordiamo che in questo caso tutti i leader istituzionali, tutti i maggiori partiti (pur con la foglia di fico della “libertà di coscienza” per deputati e militanti obiettori), tutti i media che contano, tutte le star irlandesi del jet set internazionale si sono ampiamente espresse in modo contrario ai movimenti per la vita, prima che fossero oscurati peraltro pubblicitariamente dai colossi del web per timore di presunte «interferenze straniere».
Eppure il «Cmon Ireland! Facciamo la cosa giusta per le grandi donne della nostra nazione» ha guarda caso avuto la giusta tempistica per riempire le orecchie dei giovanti amanti del pop di Niall Horan, ex “One Direction”, la band che ha venduto finora in totale circa 50 milioni di registrazioni vincendo quattro BRIT Award e quattro MTV Video Music Awards (non a caso l’esito della consultazione del 25 maggio è stato in gran parte dovuto al voto della fascia di età 18-24 anni che – l’87% in favore del “SI”! -).
Un appello, quello di Horan, condiviso apertamente dal premier liberale di Dublino, Leo Varadkar, gay dichiarato e promotore di un referendum spacciato con la compiacenza dei media legati al Governo come «opportunità di una sola generazione» per mettere «fine ai viaggi della disperazione di troppe donne». Ebbene, in questo scenario sono stati ben 723,632 gli Irlandesi che hanno comunque votato in favore dell’ottavo emendamento e del futuro della loro nazione.
Sono gli stessi che attendono Papa Francesco nel prossimo agosto, per l’Incontro Mondiale delle Famiglie 2018. Una attesa che dura da quasi quarant’anni, dato che al 1979 risale l’ultima visita di un pontefice nell’Isola del Trifoglio. Bergoglio è stato “profeta” anche in questo, scegliendo proprio il popolo irlandese per il suo viaggio apostolico. Un popolo da rivitalizzare e incoraggiare, dopo i decenni di scandali e di crisi interna della Chiesa e, da ultimo, come visto anche nel recente referendum di un progressivo scivolamento nella sensibilità comune sui temi essenziali della vita e della famiglia.
Come giustamente ricordato, infatti, gli Incontri Mondiali delle Famiglie sono nel tempo divenuti anche un «centro di aggregazione dei più motivati sostenitori pro-family e, quindi, anche dei maggiori intellettuali e attivisti da sempre in lotta contro l’aborto – in poche parole lo stesso ambiente umano chiamato in questi giorni ad affrontare la disfatta storica del referendum irlandese.
Tutto sembra dunque apparecchiato affinché la visita di Papa Francesco possa guidare la rinascita del movimento pro-life cominciando dal promuovere un buon esame di coscienza collettivo» (J. L. Allen Jr. Ireland and pro-life soul-searching, From Musings on a big Saturday on the Vatican news beat, in “The Crux”, May 27, 2018). Ce ne sarà bisogno, perché il governo arcobaleno di Leo Varadkar, che ha sostenuto con tutte le forze l’abrogazione dell’ottavo emendamento, si è impegnato a proporre una legge sull’aborto entro l’estate, di modo che il parlamento possa votarla entro la fine dell’anno.
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La Croce quotidiano 31 maggio 2018
Referendum Irlanda: dobbiamo parlarne ancora
L’Irlanda ha detto sì alla legalizzazione dell’aborto ma tutto il male viene però per nuocere. Oggi iniziamo ad indicare alcuni protagonisti e/o movimenti che potrebbero promuovere presto una riscossa prolife nell’Isola del Trifoglio
di Giuseppe Brienza
È stato abrogato, con la vittoria dei “SI” al referendum del 25 maggio, l’ottavo emendamento dell’articolo 40 della Costituzione irlandese che, dal 1983, aveva il merito di proteggere il diritto alla vita del bambino concepito, rendendo quindi impossibile (incostituzionale!) qualsiasi legge abortista. Prima dell’estate il ministro della Sanità Sam Harris promulgherà invece quella pessima bozza di normativa che, già resa nota nelle sue linee essenziali, permetterà di abortire su richiesta fino al terzo mese per motivi di “salute fisica e psichica” della madre fino al sesto mese e, per patologie del concepito a prognosi infausta, fino al momento della nascita.
Non tutto il male, però, vien per nuocere, dato che questa rovinosa caduta ha scosso finalmente le coscienze e, a breve, potrebbe suscitare (in parte già l’ha fatto) nuove energie e protagonisti in grado di suscitare tentativi di reale possibile riscossa. Anzitutto qualcuno di quei 31 deputati e senatori del Fianna Fáil che, in dissenso col segretario del loro partito, hanno dichiarato il loro voto per il “NO” al referendum e la necessità di una politica chiaramente anti-aborto. Ma iniziamo a indicare, al di fuori di questo partito, alcune possibili speranze per una prossima “primavera pro-life” nell’Isola del Trifoglio.
In primo luogo va menzionato il deputato dello Sinn Féin Peadar Tóibín, che sta emergendo come dinamico leader del Movimento per la vita nazionale. Fin dall’inizio della sua campagna per il “NO”, infatti, il giovane politico ha invitato a fare l’unica cosa giusta: mantenere così com’è l’ottavo emendamento della Costituzione per non aprire la via a una legge che non solo avrebbe depenalizzato l’aborto nelle prime dodici settimane di gestazione ma che, in sostanza, avrebbe puntato «a una sorta di + ragione, così come quel motto «No all’aborto on demand», che ha in pratica ripetuto fino all’ultimo minuto utile a scongiurare la vittoria dei “SI”. Ci auguriamo allora che la rediviva Chiesa irlandese vorrà investire su Peadar Toibin, sia scegliendolo come uno dei suoi interlocutori politici ma, anche, come “mobilitatore” di coscienze di altri parlamentari e/o attivisti spendibili nella riscossa pro-life.
Poi abbiamo Justin Barrett, classe 1971, fondatore nel 2016 del “National Party” (www.nationalparty.ie), dopo oltre vent’anni di “gavetta” anti-abortista con il gruppo “Youth Defence”. Barrett ha correttamente individuato l’origine eurocratica di molte delle campagne anti-vita ed anti-famiglia del suo Paese, organizzando nel 2002 una mobilitazione contro la ratifica del Trattato di Nizza. Il National Party è stato molto attivo in quest’ultima campagna referendaria, cavalcata con lo slogan senza compromessi “Mai più aborto!” (“Abortion Never!”).
Nel 2001 Barrett è venuto a parlare in Italia come relatore a due conferenze che hanno trattato del tema centrale riguardante l’attuale “dittatura del relativismo”. L’una a Roma dal titolo “I poteri forti e le libertà dei popoli”, l’altra a Civitanova Marche (MC) su tema analogo ma complementare: “Indagine sul Mondialismo ed i poteri forti”.
Concludiamo questa nostra prima molto parziale rassegna con Greg Daly, giornalista del periodico “Irish Catholic”, che si è distinto per una requisitoria ferma e documentata degli esponenti del centro-destra al governo a Dublino, colpevoli di fluttuare «dove tira il vento, annusano la direzione che sta prendendo l’opinione pubblica e fingono di essere loro a volere il cambiamento e a guidarlo. A loro interessano i voti, e li vanno a cercare dove credono di aver capito dai sondaggi che si trovino.
Poi c’è la questione internazionale: la politica irlandese si sta americanizzando, l’agenda politica nazionale riflette l’andamento del dibattito politico e culturale statunitense. I nostri leader vogliono fare bella figura quando vanno all’estero, vogliono apparire moderni e progressisti, e legalizzare l’aborto fa parte di questa operazione di immagine». Greg Daly è stato anche uno dei primi giornalisti che hanno approfondito il caso dei fondi provenienti dalla “Open Societies Foundation” di George Soros illecitamente incassati da Amnesty International Irlanda, Abortion Rights Campaign e Irish Family Planning Association per finanziare le loro campagne per la legalizzazione dell’aborto in Irlanda.
Di tutti questi milieu Daly ha scritto: «Un tempo si diceva che in Irlanda non c’era libertà perché preti, politici e poliziotti facevano congrega, controllavano tutto e soffocavano gli scandali; oggi sono solo cambiati due dei tre componenti della camarilla: grandi aziende americane e gruppi di pressione per i “diritti riproduttivi” al posto di poliziotti e preti».