Pubblicato su © Cristianità, n. 60 – 1980.
Infiltrazioni ideologiche nell’Islam e «fondamentalismo»
Un’intervista del 1980 a tre esperti di islamistica – i professori Noja e Vallaro e a padre F. Peirone I. M. C. – offre spunti di riflessione e approfondimenti sul cosiddetto «fondamentalismo» islamico, sulla ortodossia islamica, sull’Islam «occidentalizzato» e sulle deviazioni dall’ortodossia coranica
L’intervista muove, doverosamente, da elementi di quadro generale sul carattere espansivo dell’Islam e sulla divisione fra Sunna e Scia (resa attuale dalla contrapposizione tra l’Arabia Saudiana sunnita e l’Iran sciita), per esaminare quindi la penetrazione di elementi liberali prima e socialisti poi all’interno del mondo islamico e venire infine all’attuale situazione di alcune zone particolarmente «calde».
Le opinioni espresse riflettono, naturalmente, il pensiero degli illustri docenti intervistati, che Cristianità ringrazia vivamente, e non corrispondono sempre necessariamente agli orientamenti della nostra rivista
CARATTERE ESPANSIVO DELL’ISLAM
D. Il mondo islamico sembra manifestare oggi una particolare vitalità e riaffermare una sua vocazione mondiale. Si può parlare di una aspirazione dell’Islam al dominio sul mondo intero? Viviamo in una fase « missionaria » della storia dell’islamismo?
NOJA. L’Islam è per concetto « apostolico » e diffusivo: è sempre in guerra con gli altri popoli per espandersi, tanto che divide il mondo in terra dell’Islam e terra di guerra. Nella prima fase della sua espansione, l’Islam vuole veramente convertire soltanto gli arabi, ai quali viene presentata l’alternativa fra convertirsi e essere uccisi; ai «popoli del libro» (cristiani ed ebrei, a cui furono aggiunti con un cavillo giuridico gli zoroastriani), popolo a cui Dio ha già parlato, non chiede la conversione, ma il pagamento di una tassa e l’accettazione di uno status di cittadini di seconda categoria, rappresentati dagli arabi per quanto riguarda la difesa militare.
Quando l’Islam incontra popoli che non sono né arabi né «del libro», all’inizio li equipara agli arabi, presentando loro la scelta tra la conversione e la morte; poi, arrivato in India, molti indù non si convertono, si rende conto che non è possibile ammazzarli tutti e si ferma. Nel frattempo accade un altro fenomeno: cristianità intere (come quelle dell’Egitto) si riducono, «convertendosi» in massa all’Islam per non pagare le tasse dovute dai non musulmani. Concorrendo il venir meno dello slancio militare arabo, l’Islam inizia una nuova fase in cui si espande non più con le armi ma mediante «missionari»: l’Indonesia e l’Africa nera sono state islamizzate da mercanti, non da soldati.
L’imperativo di espandersi continua, ed è presente ad ogni musulmano: lo denota un episodio interessante. Il più laico dei paesi musulmani è la Turchia, e l’elemento più laico della vita turca è l’esercito: ebbene, il battaglione turco che combatté in Corea nel 1951 ottenne molte conversioni e fondò un Islam coreano, che oggi è fiorente
VALLARO. Il diritto musulmano concede ai cristiani e agli ebrei lo status di dhimmi (protetti), oggetto della famosa «tolleranza islamica»: ma la tolleranza non è mai accettazione piena; qualcuno ha parlato di «ospiti sgraditi». Dal punto di vista della dignità la situazione di «protetti» non è invidiabile: contro di essa hanno reagito con magnifica fierezza i cristiani libanesi che hanno proclamato appunto (è il titolo di un libro di un autore cattolico maronita) «Non vivremo come dhimmi». Bisogna distinguere, poi, tra il diritto musulmano come è stato elaborato in teoria e la pratica storica, che ha visto spesso episodi di restrizioni e di creazioni di «ghetti», e anche manifestazioni di intolleranza cruenta.
P. PEIRONE. Oggi l’Islam è ancora missionario soltanto in Africa, il terreno missionario che gli interessa non è il mondo ma l’Africa. In Africa vi sono due fronti, i cristiani e l’Islam, e il nemico numero uno della Cristianità è l’Islam. Mentre il Cristianesimo esigeva dall’animista una metanoia, uno sconvolgimento completo di valori dopo 4-5 anni di preparazione, l’Islam non esige una metanoia; dopo aver chiacchierato un po’, gli fanno pronunciare la formula dello shahàdah e dell’imàn (i rites de passage descritti da Spencer Trimingham in Islam in West Africa); con questo diventa musulmano a tutti gli effetti. L’Islam è una sublimazione di elementi animisti preesistenti, nasce un paganesimo islamizzato. Quella dell’Islam in Africa è un’avanzata lenta, ma sicura e trionfante.
SUNNA E SCIA
D. Gli scritti di Corbin sull’Islam iraniano e ora, soprattutto, la polemica tra l’Iran sciita di Khomeini e l’Arabia Saudiana sunnita hanno riportato alla ribalta il problema della distinzione tra Sunna e Scia. Quali sono i principali elementi di differenziazione e come si riflettono sulla situazione attuale?
NOJA. Scia significa «partito»: partito di Alì, che nasce per una questione di legittimità che spacca in due l’Islam al momento del IV califfo. Tra la Scia nell’Islam e la riforma protestante nella Cristianità vi sono, a prima vista, elementi di analogia; la Scia si affermerà solo grazie al favore della dinastia regnante persiana, ciò che ricorda l’appoggio dei principi tedeschi a Lutero; come il protestantesimo, la Scia si divide in una miriade di sottosette. In realtà, però, l’analogia con i protestanti non è del tutto esatta, perché la Scia nasce soprattutto come legittimismo.
Le differenze tra Scia e Sunna sono sostanzialmente tre. In primo luogo la Scia conserva l’istituto della mut’ah o matrimonio temporaneo, spesso confuso con la prostituzione sacra, mentre a mio avviso è piuttosto il residuo di un antico matriarcato. Secondo, la Scia ha un carattere triste, cupo, perché Alì e i suoi figli sono stati uccisi (è un’angoscia storica, non un’angoscia metafisica): da questo punto di vista la faccia triste di Khomeini è tipica dello sciita. Ma la caratteristica principale della Scia è la terza: la credenza in un Imam nascosto che ora si cela e che riapparirà, come il Messia ebraico, per guidare gli sciiti alla vittoria. I sunniti, invece, hanno una escatologia più vicina a quella della Apocalisse cristiana: alla fine il mondo sarà sconvolto da una Bestia, poi verrà un mahdi che porterà la Bestia dinanzi a Gesù Cristo, il quale la vincerà e inizierà il giudizio finale.
VALLARO. Sulla distinzione iniziale tra sunniti, sciiti e kharigiti (quest’ultimo gruppo, sostenitore del califfato elettivo e non ereditario, è oggi ridotto a piccoli gruppi sparsi dall’Algeria a Zanzibar) si innesta il dualismo fra l’Impero Omayyade, monopolio degli arabi e i clientes di ceppo etnico non arabo, ai quali gli Omayyadi non lasciano alcun potere. Gli sciiti – dopo una alleanza con gli Abbasidi, una dinastia nemica degli Omayyadi, che tuttavia rimase sunnita – si legarono ai clientes iranici.
Il contatto con l’Iran ha colorato la Scia di elementi di tipo gnostico diffusi nell’area persiana: la salvezza come effetto della conoscenza, la dottrina dell’Imam nascosto, talora presentato come preesistente al mondo. Non mancano neppure elementi emanazionistici, chiaro frutto di questo contatto con la Gnosi. La Scia si è poi spaccata in due a proposito di quale fosse stato l’ultimo califfo legittimo, tra cosiddetti settimani e duodecimani. La differenza veramente importante con la Sunna resta quella relativa alla ghaibah, l’occultamento dell’Imarn nascosto.
P. PEIRONE. La Scia si è ancorata fortemente al mondo indoeuropeo, nettamente distinto da quello semita arabo. Il fondamento storico c’è, ma l’elemento essenziale è questa differenza tra popoli iranici e popoli semiti, è una frizione secolare tra due correnti etniche diverse. Tuttavia in Africa, almeno fino a qualche anno fa, la differenza sunniti-sciiti non era molto sentita, l’Ummah era considerata unita, il musulmano di Rabat che andava a Teheran pregava tranquillamente nella moschea sciita.
VALLARO. Dove la Scia è forte, vi sono posizioni politiche da difendere, la divisione è più sentita.
IL «MODERNISMO ISLAMICO»
D. Si può parlare, nell’Islam, di un fenomeno di allontanamento dalla tradizione e di accoglimento di elementi occidentali moderni? Qualcuno ha parlato, a proposito dei riformatori del secolo scorso, di un «modernismo islamico»…
NOJA. L’innesco di una «modernizzazione» dell’Islam è stato la spedizione di Napoleone in Egitto; nell’Ottocento – e poi – per un fenomeno di orizzontalizzazione delle comunicazioni molte idee occidentali moderne sono state trasmesse dai libanesi emigrati negli Stati Uniti ai parenti rimasti in patria. A cavallo tra il secolo XIX e il XX troviamo i due riformatori Afghani e Abdu, che auspicavano una modernizzazione dell’Islam e insieme un ritorno al puro Corano, saltando la tradizione canonistica; nell’insieme, però, si tratta dì un fenomeno meno virulento di quello che fu il modernismo in ambito cattolico.
Dagli anni ’20 inizia, poi, una tendenza alla laicizzazione dello Stato, di progressiva sostituzione del diritto musulmano (che rimase solo nelle questioni di status personale e di famiglia) con codici di tipo moderno. Questo, però, non riguarda tutti i paesi: vi sono ancora Stati a diritto musulmano completo, come l’Arabia Saudita, il Kuwait e, fino a qualche anno fa, l’Afghanistan monarchico, dove non esiste un diritto civile se non in quelle zone marginali (come il diritto doganale) di cui la legge islamica si è disinteressata.
VALLARO. Nella storia dell’Islam vi sono stati numerosi riformatori, «antitradizionalisti», in quanto rifiutavano la traditio e volevano tornare alle origini dell’Islam: per esempio, nel secolo XII Ibn Tumart nel Mahgreb, nel settecento Abd-el-Wahhab (alla versione Wahhabita della Sunna aderisce l’attuale dinastia saudiana). Con questi riformatori però, non si esce fuori dall’ortodossia islamica; è solo nell’ottocento che si può parlare di una vera «rivoluzione» che proclama di voler riportare l’Islam alla purezza primitiva, ma in realtà è modernistica, liberale, razionalistica, vuole adattare l’Islam reale all’interpretazione dell’Islam data da illuministi come Voltaire, che l’avevano presentato come religione razionale e libera.
E’ il periodo in cui la massoneria penetra profondamente nel mondo islamico: Afghani e Abdu furono certamente massoni, tutti i circoli liberali dell’ottocento nei paesi arabi sono ispirati, quando non chiaramente gestiti, dalla massoneria. Nel Novecento questo riformismo liberale si combina con il nazionalismo, che quasi ovunque non è un nazionalismo religioso ma laicistico.
P. PEIRONE. Sul piano teoretico aggiungerei due nomi di oggi: Mohammed Arkoun, oggi alla Sorbona di Parigi, semiologo e filosofo del linguaggio; il filosofo Lahbabi in Marocco, che ha scritto De l’étre à la personne, che rimette in questione il pensiero coranico alla luce dell’esistenzialismo. Sul piano esistenziale parlerei di bonhoefferismo: una grande fascia di islamici, specie intellettuali, hanno abbandonato non solo la pratica religiosa, ma qualsiasi interesse verso la problematica islamica.
Una volta che scompaia la generazione dell’intellighenzja devota di oggi, la nuova intellighenzja è formata da un calderone occidentale che va dal marxismo ai nouveaux philosophes francesi (che in Africa musulmana hanno avuto molto successo); ci sarà una crisi dell’Islam molto grave. Monsignor Aldegunde d’Orrego, il vecchio arcivescovo di Tangeri, mi disse una volta: «L’Islam avrà una crisi gravissima dovrà scegliere, o il marxismo o il cristianesimo». C’è una secolarizzazione violenta più che nel mondo cristiano – un abbandono completo della religione. Non tutto l’Islam è così, ma molte nazioni sono su quella strada, è un lento scivolamento
ISLAM E COMUNISMO
D. Dopo la penetrazione liberale, la penetrazione comunista: sul rapporto Islam-comunismo le opinioni, oggi, sono piuttosto contrastanti…
NOJA. Distinguerei tra penetrazione comunista e penetrazione sovietica. Quanto al comunismo come dottrina, la società islamica gli oppone delle resistenze quasi invincibili; benché queste resistenze siano maggiori presso i popoli islamici indoeuropei (Iran, Afghanistan), per una differenza di genio socio-culturale che non si spiega facilmente ma che pure esiste. Quanto alla penetrazione sovietica, essa è stata resa possibile dalla creazione dello Stato di Israele: l’appoggio sovietico alla nascita di Israele, che fu determinante, è stata una mossa vincente e decisiva nel gioco di Mosca.
In un momento in cui tutti i paesi arabi erano monarchici, reazionari, chiusi a ogni influenza socialista, la creazione di Israele ha avuto due effetti destabilizzanti. Primo: ha offerto ai paesi vicini un modello di Stato socialista, collettivista e talora anche ateo (ho conosciuto personalmente una bambina israeliana delle elementari, alla quale si era insegnato nel suo paese che «Dio non esiste»). Secondo: è stata una mina destabilizzante per tutta l’area, creando frustrazioni negli eserciti arabi, rivolte militari in Egitto, Siria, Iraq, Libia. La destabilizzazione ha permesso i tentativi sovietici di entrare nell’area, che senza Israele non si sarebbero potuti neppure tentare. Dopo questa partenza, l’URSS ha sempre adottato la tattica comunista di sfruttare tutte le dialettiche, cercando di inserirsi: arabi contro curdi in Iraq, sunniti contro sciiti in Siria, cristiani contro musulmani in Libano, e così via.
VALLARO. Quanto alla penetrazione dottrinale comunista sono meno ottimista. Come ha insegnato per l’Europa il pensiero cattolico contro-rivoluzionario, dal liberalismo nasce il socialismo: anche nel mondo islamico vi è lo stesso passaggio dalla penetrazione liberale alla penetrazione socialista (sempre indotto dall’esterno perché la Rivoluzione nel mondo islamico non è altro che la Rivoluzione occidentale esportata). Distinguerei tra un liberal-socialismo, una sorta di socialismo utopico pre-marxista che inizia con il riformatore Afghani, e il comunismo marxista vero e proprio.
Il socialismo pre-scientifico e utopico si trova adesso nell’Indonesia, in Siria, nel nasserismo egiziano. C’è, invece, un marxismo islamico ortodosso. Il sovietico tartaro Sultan Galiev negli anni venti aveva presentato l’Islam come una ideologia di liberazione proletaria e nazionale; ma scomparve nelle purghe staliniane. Il marxismo islamico conta su intellettuali di prestigio, come il sociologo egiziano Abd-el-Malek; conta sui palestinesi, spesso educati in paesi comunisti; conta su vari partiti comunisti, nei paesi arabi che li ammettono, e si diffonde, sia pur lentamente, presso i giovani. Quanto alla penetrazione sovietica, non va dimenticato che essa è stata favorita della latitanza dell’Occidente, che noti ha mai seguito una politica medio-orientale coerente e seria.
P. PEIRONE. Mi riferirei a Owen e al liberal-socialismo utopico pre-marxista – quando mi è capitato di leggere Owen ho pensato che rappresentava bene il socialismo marocchino, algerino, libico. Il libretto verde di Ghedaffi è sul tipo di Owen, con toni «religiosi»: è un socialismo di tipo utopistico piuttosto che marxista. Non so se Owen sia stato studiato nel mondo islamico…
VALLARO. Certo è stato studiato in Indonesia…
P. PEIRONE. Tipico owenismo è il caso di Nyerere in Tanzania, mentre in Libia e in Algeria penetra una terminologia marxista: «cellula», «compagno», ecc. Nei miei viaggi in Oriente direi, poi, che presso tutti ho riscontrato un atteggiamento ostile alla Russia per il suo carattere ateo; nel russo detestano generalmente l’ateismo, la propaganda atea. Molti mi dicevano: guardi, io non sono musulmano praticante, però so che Dio esiste, come si può vivere senza credere che esiste Dio?
LE «ZONE CALDE» E LA CRISI MONDIALE
D. Concludendo, come si riflettono tutti questi elementi sull’attuale situazione di crisi e di tensione nell’area islamica? Esaminando brevemente alcune situazioni come valutate, per esempio, la situazione in Iran?
NOJA. Il mio giudizio sulla politica dello scià Reza Palilavi è radicalmente negativo. Il suo è stato un tentativo di occidentalizzazione forzata, di riforma antireligiosa, di assurda aspirazione al ritorno al mondo dei persiani del tempo di Ciro il Grande: una occidentalizzazione alla Alaturk, ma senza il carisma nazionalista del leader turco. Contro questa situazione (giunta fino all’adozione della lingua inglese a corte e all’ostentata provocatoria violazione di importanti norme morali islamiche) è insorto il radicalismo islamico di Khomeini. Il khomeinismo non è un nuovo Islam, è solo un ritorno alla legge tradizionale dove la repressione dell’adulterio, per esempio, è una cosa normalissima. La fase del terrore tipica delle rivoluzioni, mi sembra orinai passata; il vero pericolo è il tentativo comunista di inserirsi in questa situazione turbolenta.
VALLARO. Certo, la cosiddetta rivoluzione in Iran esce dal rifiuto popolare di tutti i frutti della Rivoluzione moderna, dall’ateismo all’immoralismo, che la politica iraniana dall’epoca dei Qagiar fino allo scià aveva importato dall’Occidente. Restano tutti i pericoli insiti nell’Islam – dalla non chiara distinzione tra ordine naturale e soprannaturale alla mancanza di una idea del peccato originale – che lo rendono attaccabile dal marxismo: ma questo è un discorso di carattere più generale. E restano i problemi internazionali: la notizia, diffusa da qualche giornale, di Khomeini in contatto da anni con i servizi segreti sovietici non è assurda. Tra Khomeini e Mosca ognuno pensa probabilmente di servirsi dell’altro per i suoi fini; in ogni caso, prima in Iran c’era un grosso esercito filoamericano e adesso non c’è più.
P. PEIRONE. Vorrei formulare una domanda io – mi domando: Khomeini non si sentirà nel suo subcosciente il famoso Imam nascosto che gli Sciiti aspettano? Non oso rispondere. Personalmente, da quanto ho letto – non sono stato in Iran di recente -, userei volentieri per Khomeini l’aggettivo «losco», non so se c’è una parola più sottile. Se allo scià va rimproverato l’ateismo pratico e militante, Khomeini fa dei danni all’Iran celando tutto un disegno politico sotto il nome di Allah e della religione. Gli rimprovero soprattutto questo, avere commesso certe nefandezze squisitamente politiche celate sotto l’Islam.
VALLARO. Un esponente tradizionale dell’Islam come Hassan del Marocco ha detto: «Se l’Islam fosse quello di Khomeini mi convertirei subito al cristianesimo».
D. E quanto all’Afghanistan?
NOJA. L’invasione dell’Afghanistan è una continuazione non della politica zarista di ricerca di uno sbocco verso il mare, ma dell’opera di agglutinamento all’URSS dell’Asia Centrale islamica iniziata con l’occupazione dell’Arzerbaigian e di Bukhara tra il 1921 e il 1925, e con la sconfitta e l’uccisione di Enver Pascià. Ragioni internazionali inducono oggi l’URSS a continuare quell’operazione che negli anni venti aveva dato meno nell’occhio (in Occidente se ne erano occupate solo poche riviste specializzate), ma che già allora era preoccupante.
VALLARO. Il popolo afghano sembra compatto nell’anticomunismo, e per di più in una secolare antipatia antirussa: i vari governi comunisti di Kabul sono composti da piccoli gruppi di collaborazionisti, quinte colonne che in questi casi si trovano sempre.
P. PEIRONE. Quando il Regno Sardo ha cominciato a espandersi aveva le sue quinte colonne, i carbonari che gli preparavano la strada, erano delle minoranze filo-piemontesi piccole ma efficienti. L’Unione Sovietica ha fatto lo stesso lavoro; c’era un background di minoranze indottrinate e di lavorio segreto che ha aperto la strada alla Armata Rossa, ma la maggior parte della popolazione non è d’accordo. Se per ipotesi (inverosimile) i russi si ritirassero, questi gruppetti dovranno scappare con loro, altrimenti verranno per certo trucidati.
D. Si parla, talora, di altre «zone calde» e si prevedono difficoltà anche per Mosca nelle repubbliche islamiche sovietiche. Si possono fare delle previsioni per il futuro?
NOJA. Le previsioni sono sempre difficili: credo, però, che prevedere rivolte nell’Asia sovietica sia un fenomeno di «pensiero vorace» da parte di occidentali che scambiano i loro desideri con la realtà. Mi sembra che i popoli turco-mongoli abbiano perso in qualche modo l’interesse per l’organizzazione statale; c’è una sorta di sciatteria, di disinteresse fatalistico per la politica; nella zona, per contro, il potere sovietico è saldo e bene organizzato. Vedo, piuttosto, problemi per la Cina nel Sinkiang, dove c’è una vecchia aspirazione delle popolazioni musulmane a riunirsi al Turkestan che è oggi una repubblica sovietica.
Una certa attenzione meritano il Belucistan pakistano, che chiede l’indipendenza e che potrebbe trasformarsi in una repubblica filo-sovietica, e l’Arzerbaigian del Nord iraniano, rivendicato dall’URSS e già occupato durante la seconda guerra mondiale, di cui è possibile ipotizzare una nuova occupazione sovietica. Infine, ci sono le vecchie strutture delle monarchie islamiche, che se da una parte hanno subìto meno la penetrazione di idee occidentali, dall’altra denunciano una debolezza strutturale che le rende esposte a rivolte populiste improvvise, eventualmente indotte dall’esterno: il Marocco è appeso a un filo, e la stessa Arabia Saudiana non è saldissima.
VALLARO. Non sono sicuro della staticità dell’Islam sovietico: tutto sta a indicare l’efficacia di questo nuovo processo espansivo islamico. Quanto alla Cina, sembra che stia ammorbidendo la sua politica nei confronti della religione. La situazione sta cambiando profondamente rispetto a diversi anni fa: la Cina perseguita meno la religione; l’URSS, dopo l’Afghanistan, è in rapporti meno buoni con l’Islam La situazione potrebbe rovesciarsi.
P. PEIRONE. Se si parla di «zone calde», io direi: occhio alla Tunisia. Ho avuto contatti in Tunisia con molli studenti locali: molti giovanotti ventenni già nel ’72 mi dicevano: «vogliamo fare una rivoluzione cruenta, non vogliamo più le strutture di Burghiba». E non c’erano ancora gli infiltrati libici. Non è solo un fenomeno esogeno, è anche un fenomeno interno, c’è tutto un fermento che è partito dal Sud della Tunisia per marciare sulla capitale. E’ un rinnovamento estremista del socialismo di Burghiba, accusato di immobilismo neo-capitalistico. E, a due passi dall’Italia, c’è un caso che può essere sintomatico di tutto un processo: una penetrazione prima economica, ma che ora crea dei problemi anche religiosi, sta lentamente islamizzando Malta…
VALLARO. Vorrei ricordare l’importanza non solo strategica ma vessillare e morale della resistenza eroica dei cristiani libanesi. Si tratta, per usare le categorie presentate da Corrêa de Oliveira, di una lotta tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, la cui posta in gioco è altissima, perché implica ripercussioni suscettibili di estendersi a tutto il mondo islamico.