n.147 ottobre 2019
E’ il rapporto con il potere il carattere ossessivo dell’islam. Ed è in virtù dello stesso che ha senso e si può parlare di islamizzazione ovvero del complicato processo in virtù del quale le popolazioni musulmane soppiantarono e soppiantano i popoli, le civiltà e le religioni dei Paesi vinti. Un processo a due fasi: quella della fusione e quella della conflittualità, che peraltro possono coesistere. Un processo di cui l’Europa oggi è vittima.
di Lorenzo Formicola
L’ islam, religione rivelata in lingua araba da un profeta arabo, sorse in Arabia nel VII secolo d.C. e si sviluppò in seno a una popolazione, le cui tradizioni e usanze erano influenzate da un particolare ambiente geografico.
Il jihad, infatti, nasceva dall’incontro tra le consuetudini del grande nomadismo guerriero e le condizioni di vita di Maometto a Yathrib, dove era emigrato nel 622, sfuggendo alle persecuzioni degli idolatri a La Mecca.
Priva di mezzi di sostentamento, la piccola comunità musulmana in esilio viveva a carico dei neoconvertiti di Medina, gli ansar ovvero gli ausiliari. Poiché tale situazione non poteva protrarsi, il Profeta organizzò alcune spedizioni volte ad intercettare le carovane, che commerciavano con La Mecca.
Interprete della volontà di Allah, Maometto riuniva in sé i poteri politici del capo militare, la leadership religiosa e le funzioni di un giudice: «Chiunque obbedisce al Messaggero, obbedisce a Dio» (Corano IV, 80).
E fu così che una serie di rivelazioni divine, elaborate ad hoc per tali spedizioni, vennero a legittimare i diritti dei musulmani sui beni e sulla vita dei loro nemici “pagani” e furono composti versetti coranici finalizzati a santificare di volta in volta il condizionamento psicologico dei combattenti, la logistica e le modalità delle battaglie, la spartizione del bottino e la sorte dei vinti.
Scopo del jihad è, oggi come allora, sottomettere tutti i popoli della Terra alla legge di Allah, rivelata dal suo profeta Maometto. L’obiettivo da raggiungere, in forza di una convinzione profonda, quella che anima il cuore di ogni musulmano, è considerare l’umanità divisa in due, musulmani e non musulmani.
Enclave islamiche in occidente
Di jihad si sente parlare molto, a causa del terrorismo islamico, entrato ripetutamente in azione negli ultimi vent’anni. Ma mai nei termini che più rispettano la realtà del fenomeno, poiché oggi si cerca di far prevalere la pretesa di costituire nel nostro mondo enclaves, in cui siano riconosciuti come regolatori della vita sociale i principi islamici.
Motivo per il quale il nostro orizzonte, in Italia e in giro per l’Occidente, è sempre più uniforme nell’evidenza di teste velate. Per quanto il velo possa sembrare un dettaglio banale, non lo è. E così fuorviante l’idea secondo cui, presi singolarmente, gli elementi dell’islam possano risultare innocui!
Come se non componessero, uno ad uno, l’ampiezza del sistema (che vuole a tutti i costi essere alternativo) di questa religione, che è anche un vero e proprio progetto politico. Se «islam religioso» e «islam politico» non possono essere categorie separate nettamente, è perché è la stessa religione islamica a non prevederlo, dal momento che nella religione di Maometto non è dottrinalmente accettabile la separazione tra società (dawla) e religione (din).
Per meglio comprendere bisogna, però, soffermarsi sulla natura “costituente” dell’islam. Quando si parla di fraternità nella religione musulmana, lo si fa con un riferimento ben preciso, dalla nascita del nuovo monoteismo predicato da Maometto, alla caratteristica della società, che la nuova religione andava formando.
La comunità sacralizzata nel Corano da Allah viene stabilita dalla Carta di Medina, scritta dal Profeta per fondare la sua confederazione. Ed, oltre agli hadith, che regolano le relazioni sociali, è la stretta solidarietà tra gli islamici contro quanti siano contrari, l’argomento ricorrente ed unificante.
Islam e terra degli infedeli
Nella Carta di Medina gli aderenti al movimento di Maometto sono i mu’minùn. Parola che viene tradotta con una accezione molto generale di «credente», ma indica più precisamente quanti si siano resi garanti di un patto di sicurezza in caso di aggressione o guerra, fidandosi gli uni degli altri. Il carattere religioso interviene laddove è Allah a fare da garante di tale solidarietà.
Gli affidati «sono una umma unica, ad esclusione degli altri uomini», si legge nell’incipit della Carta. E non designa un raggruppamento etnico o tribale, bensì la federazione dei Qurayshiti della Mecca, giunti a Medina con il profeta, nonché i vari clan della zona di Medina.
Si tratta di una confederazione di natura politica, insomma, la cui finalità è quella di garantire l’efficacia dello sforzo guerriero. Quest’ultimo non è un dettaglio, bensì qualcosa di ben codificato nella parola jihad.
Allah ricorda a più riprese ai musulmani che sono i soli a credere nel Corano, dando loro una superiorità intrinseca, che conferisce la capacità di distinguere tra fede e infedeltà, tra bene e male. Da qui discende il senso vivo del musulmano che si sente inviato da Allah per difendere i suoi diritti sulla terra.
Ma soprattutto si comprende meglio la nozione di «terra dell’islam» (dàr-al-islam) nel rapporto con gli «infedeli». Espressione, che va accostata a quella di «terra dell’infedeltà» (dàr al-kufr), la cui conquista è un dovere collettivo per installarvi la umma, che difende i diritti di Allah.
Un mandato che contempla, pertanto, la dimensione religiosa assieme a quella politica. Da questa divisione del mondo, l’idea di un islam che possa diventare “moderno”, come auspicato da taluni, decade tecnicamente, poiché il diritto islamico classico è strutturato secondo uno schema preciso, fatto di musulmani e non musulmani, liberi e schiavi, uomini e donne: nessuno ha i medesimi diritti o doveri. E la comunità dei credenti è privilegiata a ragione della sua origine resa sacra nel Corano.
Religione di Stato
Dove arriva, l’islam vuole essere «la religione dello Stato». Affinché sia lo Stato a fare professione di islam. Che non solo è religione della collettività, bensì anche di uno statuto giuridico, voluto e decretato da Allah. E gli individui che vi si sottraggono vengono perseguitati e messi a morte dall’islam stesso.
Chi è cresciuto tra governi quale quello islamico dell’Iran o quello siriano, sotto la guida di capi di governo come Hafiz al-Asad, l’ayatollah Ali Khamenei e Mahmoud Ah-madinejad, racconta di una gioventù influenzata da due principali denominazioni dell’islam nel mondo musulmano: gli sciiti e i sunniti.
Nella società l’islam domina le leggi attraverso la shari’a, che scruta e s’impone nell’alimentazione, nell’abbigliamento, nella socializzazione, nell’intrattenimento, in ogni cosa. Un’esistenza, in cui il credo di governo esercita la propria potenza attraverso la violenza sfrenata. Dimensione sociale e privata sono impossibili da separare, religione e politica vivono una simbiosi imposta.
Motivo per cui l’islam in Occidente è un problema politico.