di Gianfranco Amato
Bambine di nove anni costrette a sposarsi in moschea. Non siamo nel profondo Yemen o in una desolata area rurale dell’Afganistan. Siamo ad Islington, uno dei quartieri centrali più caratteristici della civilissima Londra. Proprio nel cuore della political correctness.
A confermare la tendenza di quel dato impressionante, è intervenuto il Ministero della Giustizia, comunicando che nell’anno 2011 sono stati emessi una trentina di provvedimenti giudiziari (i Forced Marriage Protection Order) a tutela dei minori costretti a contrarre matrimonio, alcuni dei quali riguardavano bambine tra i nove e gli undici anni.
La IKWRO ha lanciato l’allarme sul fenomeno che in Gran Bretagna sta crescendo in maniera esponenziale, assumendo una dimensione preoccupante. Lo si può facilmente riscontrare leggendo uno dei volantini fatti diffondere in tutta Londra dall’Ufficio dal HMCS (Her Majesty’s Courts Service), l’Ufficio dei servizi giudiziari di Sua Maestà, in cui si spiega cosa sia un Forced Marriage Protection Order, come lo si possa richiedere, a cosa serve, e cosa accade una volta che lo si richiede.
Dianna Nammi, direttrice dell’IKWRO, non usa mezzi termini per esporre il problema: «Queste bambine frequentano ancora le scuole elementari di Islington, svolgono i loro compiti a casa, e nello stesso tempo vengono praticamente abusate da uomini di mezza età; sono mogli ma con l’uniforme scolastica». «Il motivo per cui non si ribellano», continua la Nammi, «è perché sono letteralmente terrorizzate per parlarne, e sono sottoposte ad un controllo ferreo da parte delle famiglie».
Vengono sposate così giovani a familiari o amici di familiari, anche per garantire la loro verginità, e per assicurarsi che non vengano deflorate da uomini non graditi e non scelti dal padre. Ci sono pure motivazioni di carattere economico, dato che le ragazze, una volta sposate, diventano proprietà del marito sul quale incombe la responsabilità e l’onere del mantenimento.
E ci sono, infine, motivazioni di carattere religioso, in quanto la sharia consente di contrarre matrimonio non appena viene raggiunta la pubertà (bulugh), che per le donne, in particolare, è legalmente riconosciuta con il raggiungimento dei nove anni lunari. Non pochi ricordano, del resto, che lo stesso profeta Maometto sposò Aisha quando lei era una bimba.
E’ davvero un paradosso quello che sta accadendo a Londra, se si considera che proprio da quelle parti sono partite le prime battaglie per l’emancipazione femminile. Ben prima della nascita del movimento delle suffragette (1872), a Londra viveva ed operava Mary Wollstonecraft Godwin, una filosofa e scrittrice inglese, considerata la fondatrice del femminismo liberale.
A lei si deve la pubblicazione, nel 1792, di un famoso libro intitolato A Vindication of the Rights of Woman, nel quale si sosteneva la tesi, in controtendenza con le idee dell’epoca, secondo cui le donne non sono inferiori per natura agli uomini, anche se la diversa educazione a loro riservata nella società le pone in una condizione di inferiorità e di subordinazione.
Il fenomeno londinese dei matrimoni forzati – che farà rivoltare nella tomba la povera Mary Wollstonecraft – si inserisce, in realtà, nel contesto di tutte quelle forme espressive culturali tipiche del mondo musulmano (sharia, poligamia, jihad, burqa, alimentazione hālal, ecc.) che rendono per molti versi incompatibile l’islam con la civiltà occidentale.
In Gran Bretagna la questione è visibilmente più marcata, e se non siamo di fronte ad uno scontro di civiltà, certo ci troviamo dinnanzi ad un duro confronto.
C’è una preoccupante differenza, però, tra le due civiltà.
Una è fortemente connotata da una dimensione identitaria culturale e religiosa, ove la vita umana e la prolificazione assumono un valore etico assoluto, mentre l’altra è una civiltà demograficamente moribonda e affetta da una sorta di necrofilia (aborto, eutanasia, contraccezione, sterilizzazione, ecc.), che tenta disperatamente di cancellare le proprie radici culturali e religiose, sostituendole con un pericoloso vuoto assoluto. Sì perché anche per la società, come per la natura, vale la teoria aristotelica dell’horror vacui.