di Alexandra Javarone
Due settimane fa Abdelmajid Zergout, è tornato a guidare le preghiere della comunità mussulmana di Varese. A maggio, dopo esser stato riconosciuto appartenere al gruppo radicale islamico combattente marocchino, Zergout era stato prosciolto dalla Prima Corte d’Assise di Milano per una serie di vizi formali.
L’imam, accusato di associazione a delinquere finalizzata al terrorismo internazionale (come peraltro sottolineato dalla stessa sentenza delle Corte «mostra una chiara adesione alla ideologia islamica fondamentalista, raccoglie denaro per la causa comune, ed esalta la lotta all’infedele attraverso il jihad ») è, dunque, nuovamente libero di predicare odio e intolleranza sul suolo italiano, sfruttando la democrazia occidentale per far apologia di terrorismo.
Il ministro degli Interni, che pure avrebbe avuto la facoltà di espellere il terrorista (coinvolto a vario titolo nella strage di Madrid) ha mostrato, allora, un chiaro atteggiamento di negligenza e d’indifferenza, tendente quasi a sottrarre gravità alla questione fondamentalista-islamica.
Insomma, il governo ha disatteso alla principale responsabilità che imporrebbe «di predisporre un piano capace di contrastare razionalmente la strisciante avanzata integralista sui diversi fronti di battaglia», condannando i cittadini alla paura.
Il forte relativismo culturale delle sinistre ha, ormai, prodotto l’abbattimento dei limes fisico-culturali contribuendo ad agevolare un graduale ed inesorabile sgombero di ideali, innestato in virtù di un progetto disomogeneo di pluralismo ed integrazione, privando radicalmente gli stessi cittadini della capacità di far valere il più basilare diritto alla sicurezza, condannandoli, insomma, a subire il disegno integralista dell’Ummah globale.
Dunque, l’inerzia della politica italiana sta favorendo, nei fatti, la dilagante offensiva islamista: l’esecutivo tende ancora a sottovalutare la forte componete anticristiana ed antioccidentale di cui si compone la propaganda fondamentalista, auspicando, all’inverso, un ingenuo tentativo di dialogo fra popoli e culture, impossibile sintesi tra valori europei ed il mondo arabo.
Il paradosso è più che evidente: ad agosto il Cesis aveva rilevato la formazione di una cintura ultrafondamentalista in tutto il Nord Italia «con la tendenza a realizzare un coordinamento nazionale e transnazionale». Un dato preoccupante che s’aggrava ancor più se messo in relazione alla straordinaria crescita del numero dei luoghi di culto islamici in Italia: dai 696 del dicembre 2006 ai 735 censiti lo scorso maggio 2007. Eppure, la reticenza delle istituzioni potrebbe, un giorno, mettere in pericolo le nostre stesse libertà fondamentali, condannandoci a divenire dissidenti o clandestini nel nostro stesso Paese (come è accaduto a Redecker).
(A.C. Valdera)