Voci per un Dizionario del Pensiero Forte
1. Il campione del “progressismo educativo”
“Nessun filosofo contemporaneo esercitò un’azione così vasta sul pensiero, sulla cultura, sul costume politico e soprattutto sulla prassi educativa dell’intero mondo civile”: così il filosofo Nicola Abbagnano (1901-1990) e il pedagogista Aldo Visalberghi presentano John Dewey (1859-1952) e la corrente dell’”educazione progressiva”, di cui è principale esponente.
Senza pregiudizio per la portata della sua filosofia, la sua pedagogia è considerata fra i più efficaci strumenti di trasformazione sociale.
Così il filosofo Nicola Abbagnano (1901-1990) e il pedagogista Aldo Visalberghi presentano John Dewey (1859-1952) e la corrente dell’”educazione progressiva”, di cui è principale esponente. Senza pregiudizio per la portata della sua filosofia, la sua pedagogia è considerata fra i più efficaci strumenti di trasformazione sociale.
Così il filosofo Nicola Abbagnano (1901-1990) e il pedagogista Aldo Visalberghi presentano John Dewey (1859-1952) e la corrente dell’”educazione progressiva”, di cui è principale esponente. Senza pregiudizio per la portata della sua filosofia, la sua pedagogia è considerata fra i più efficaci strumenti di trasformazione sociale.
John Dewey nasce nel 1859 a Burlington, nello Stato americano del Vermont, dove riceve l’educazione tipica dei ceti medi del tempo: nel 1879 si diploma alla Vermont University e nel 1884 si laurea alla John Hopkins University di Baltimora, con una tesi sulla psicologia di Immanuel Kant (1724-1804).
Conseguito il diploma insegna per due anni in un liceo e già da questo periodo si orienta alla filosofia di Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716), di Kant e di Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831). Ma, fra le teorie in campo nel secolo XIX, Dewey crede di trovare una sorta di conciliazione nel pragmatismo, che tralascia ogni tema metafisico e pone l’accento sulle conseguenze pratiche di ogni filosofia: non esistono fini e valori assoluti perché verità e utile coincidono, misurandosi la verità di un principio dal suo successo. Su questa via, mentre insegna filosofia nelle università del Minnesota e del Michigan dal 1884 al 1894, matura un profondo interesse per i problemi educativi.
2. La critica a Herbart
In quegli anni, negli Stati Uniti d’America, gode di grande popolarità il pedagogista tedesco Johann Friedrich Herbart (1776-1841): il cosiddetto realismo herbartiano è consono a un mondo tecnologico, inventivo e “pratico”, e ben si presta alla costruzione del self made man voluto da quella parte di statunitensi smaniosa di successo e decisa a rompere con i valori della propria tradizione.
Herbart – allievo di Johann Amadeus Fichte (1762-1814) e influenzato dal pedagogista svizzero Johann Heinrich Pestalozzi (1746-1827) – è il più autorevole esponente della pedagogia “romantica” – derivante anche da Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) -, allora la più avanzata tappa del processo di sovvertimento in campo educativo per la forte connotazione idealistica e statalistica. Ma, per Dewey, Herbart teorizza una scuola ancora troppo selettiva ed elitaria, in cui la centralità del programma e del maestro sono “decisamente soffocanti”.
Di Herbart accetterà, invece, l’embrione della teoria dell’“interesse” – ossia il fatto che l’apprendimento avvenga attraverso una disposizione attiva del soggetto -, che svilupperà con l’aiuto della psicologia di Stanley Granville Hall (1846-1924), sino a sostenere che il “[…] vero interesse non si misura che dall’entità dello sforzo, né può darsi sforzo che non poggi su di un genuino interesse”: connesso ad attività pratiche in mutamento, anche l’interesse deve esser fatto evolvere di continuo.
La peculiarità delle teorie deweyane sta nell’affermazione secondo cui l’uomo è un essere con natura prioritariamente sociale. Se il compito tradizionalmente assegnato all’educazione consiste – in una sintetica formulazione di Papa Giovanni Paolo II – nel “[…] promuovere la formazione della persona umana in vista sia del suo fine ultimo che del bene delle varie comunità, di cui essa è partecipe ed in cui, divenuta adulta, dovrà svolgere precisi compiti”, posponendo gli interessi della società al raggiungimento di quel fine personale, ne Il mio credo pedagogico, del 1897, Dewey afferma invece che, “coll’avvento della democrazia e delle moderne condizioni industriali […] è impossibile preparare il fanciullo ad un ordine preciso di condizioni”.
Perciò l’educazione – che “[…] deriva dalla partecipazione dell’individuo alla coscienza sociale della specie” -, per svilupparne pienamente la personalità, deve aver presente solo la necessità d’inserire l’educando adeguatamente nei cambiamenti sociali.
3. L’impegno nel Teachers College
Nel 1894 Dewey passa all’università di Chicago, in cui dà vita a una scuola sperimentale, annessa al Dipartimento di filosofia, psicologia e pedagogia da lui diretto, nella quale mette in pratica le teorie pragmatistiche. Degli esperimenti dà conto in Scuola e società, del 1900, in cui ribadisce la propria impostazione iniziale con – fra l’altro – il rifiuto della “dipendenza di una mente da un’altra mente” e dell’“attitudine ad ascoltare” in quanto implicano “passività, assorbimento”. Nel 1905 è al Teachers College della Columbia University, a New York, che svolgerà un ruolo decisivo nella diffusione dei princìpi deweyani.
Già dagli anni in cui Dewey si dedicava alle sue prime opere sull’educazione, vari riformatori, desiderosi di modificare la società attraverso la scuola e tutti influenzati dall’una o dall’altra delle componenti del pensiero progressista ottocentesco, compivano esperimenti educativi.
La pubblicazione, nel 1915, di Schools of Tomorrow, “Scuole di domani” – una raccolta di modelli e di sistemi scolastici -, segna l’inizio dell’opera di raccordo e di coordinamento delle varie scuole che intendono sperimentare le nuove metodologie. In questo periodo nasce pure la PEA, l’American Progressive Education Association, che, con la diffusione della rivista Progressive Education, contribuisce allo scambio di esperienze con analoghi movimenti europei.
4. Un’educazione per la democrazia
Nel 1916 Dewey pubblica l’opera di maggior successo, Democrazia e educazione, che dichiara essere “un tentativo di scoprire ed esporre le idee implicite in una società democratica, e di applicare queste idee ai problemi del compito educativo”. Tale concetto, parafrasabile in “non una democrazia a misura d’uomo, ma un uomo funzionale alla democrazia”, è la perfetta inversione della missione educativa, secondo cui bisogna educare l’uomo ai valori che, da sempre, hanno costituito la condizione della sua felicità e che tendono a perfezionare la persona nel mutare degli eventi e delle situazioni sociali, divenendo insieme condizione di una “società a misura di uomo”.
Questa impostazione, che ben sintetizza la caratteristica del pensiero di Dewey, può portare a dubitare anche dei suoi corollari: la centralità del fanciullo nell’atto educativo, la ricerca e l’applicazione di metodi individuali, la formazione attraverso lo stimolo del bisogno e dell’interesse, il rispetto delle sue natura e psicologia. Tali corollari – che possono anche esser considerati validi se isolati dalla concezione naturalistica a essi soggiacente – perdono credibilità quando la centralità del fanciullo diviene affermazione della superiorità dell’infanzia sull’età adulta; le leggi del bisogno e dell’interesse diventano le sole da usarsi; la psicologia, la biologia o la sociologia divengono strumento – come in alcuni casi accade – per rimuovere resistenze a un non meglio definito “progresso”.
5. L’affermazione delle tendenze progressiste
Nei primi tre decenni del secolo XX l’autorità e l’influenza di Dewey crescono e si espandono: nel 1927 egli diviene presidente della PEA, che domina la preparazione degli insegnanti e gli orientamenti pedagogici e di cui il Teachers College aveva assunto il controllo. Molte sue idee trovano accoglienza e consenso in organismi internazionali, quali il Bureau International des Écoles Nouvelles, la NEF, la New Education Fellowship, e l’École International di Ginevra: è la saldatura con la corrente europea delle “scuole nuove” e dell’”educazione attiva”.
In questo periodo Dewey compie pure vari viaggi “propagandistici” nel mondo: nel 1928 è in Unione Sovietica, dove stringe amicizia con Anatolij Semionovic Lunacarskij (1875-1933), ministro dell’Istruzione e sostenitore dei “metodi attivi” nel periodo “liberale” dell’URSS. Dewey simpatizza per il socialismo anche sovietico: muterà quando il socialismo diverrà staliniano, difendendo, nel 1937 a Città di Messico, Lev Davidovic Trotskij (1879-1933), accusato di aver tradito la Rivoluzione d’Ottobre.
A seguito della crisi del 1929, Dewey aderisce al New Deal – il “nuovo corso” progressista e statalista promosso dal presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt (1882-1945) – e, nel 1932, la PEA istituzionalizza i suoi legami con l’Europa, diventando la sezione statunitense della NEF. Nel 1933 esce l’annuario di quella che, nel frattempo, è diventata la National Society of College Teachers Education, che affronta il tema del come vivere in un mondo trasformato dalla scienza e dalla tecnologia.
Sotto l’egida di Dewey viene proposto un programma d’azione – i cui contenuti segneranno le politiche scolastiche di molti paesi – articolato in tre punti: estensione dell’istruzione agli adulti, insistenza sulla storia sociale e sui problemi sociali nel programma di studi scolastico, aumento della partecipazione degli insegnanti e degli studenti nell’amministrazione scolastica. Accanto a Dewey è William Heard Kilpatrick (1871-1965) – suo discepolo dal Teachers College nel 1909 e inventore nel 1918 del diffusissimo Metodo dei progetti -, che con Helen Parkhurst (1887-1973) – fautrice del Dalton Plan del 1920 – e con Carleton Wosley Washburne (1889-1968) – diffusore del Winnetka Plan del 1920 -, viene generalmente indicato come il principale continuatore dell’opera di Dewey.
6. La crisi dell’educazione progressiva e la sua eredità in Italia
Nel 1930 il filosofo e pedagogista nordamericano va in pensione – morirà il 1° giugno 1952 – e, anche se continuerà a scrivere senza sosta – ormai con un taglio soprattutto filosofico -, inizia il declino della sua azione. Come per una strana coincidenza, il 31 dicembre 1929 Papa Pio XI (1922-1939), con l’enciclica Divini illius Magistri, aveva duramente condannato, pur senza menzionare esplicitamente Dewey e le “scuole nuove”, i princìpi fondanti e le caratteristiche dell’educazione progressiva.
Dal 1940, a causa delle prime notizie sugli orrori del socialismo sovietico, il progressismo più radicale perde il suo potere d’attrazione. Fra il 1945 e il 1955 la PEA degenera e viene sciolta e, nel dopoguerra, la cultura statunitense ha una generale “crisi di rigetto” nei confronti del progressismo a causa dei guasti prodotti dall’educazione permissiva: Dewey aveva difeso, nel 1941, Bertrand Russell (1872-1970), radiato dal College di New York per le sue idee sovversive sulla famiglia e sull’etica sessuale.
In questo clima di generale distacco, quando ormai il gruppo di Dewey aveva pienamente adempiuto alla sua funzione vessillare, vi è una singolare eccezione: l’Italia, dove – dal 1943 al 1948 – il “colonnello” Washburne opera come consigliere scolastico plenipotenziario del Governo Militare Alleato e come direttore dell’USIS, l’Ufficio Informazioni degli Stati Uniti d’America, a Milano.
L’eredità dell’educazione progressiva in Italia troverà ulteriore sostegno grazie all’opera di Lamberto Borghi – emigrato negli Stati Uniti d’America perché israelita -, assiduo frequentatore degli ambienti deweyani. Dalla nascita della rivista Scuola e Città e della casa editrice La Nuova Italia – fondate da Ernesto Codignola (1885-1965) -, egli dà vita a una corrente pedagogica chiamata di “democrazia laica”, che instaura un confronto fra laici e marxisti sulla base di Dewey.
Negli anni successivi, grazie anche all’azione di Aldo Visalberghi, l’influenza di questa corrente sulla pedagogia e sulle istituzioni educative italiane è enorme, raggiungendo il suo apice con la conquista dei ministeri educativi dello Stato in seguito alla vittoria elettorale del 1996 da parte della coalizione detta dell’Ulivo.
Per approfondire: vedi, di John Dewey, Il mio credo pedagogico. Antologia di scritti sull’educazione, trad. it., a cura di Lamberto Borghi, La Nuova Italia, Firenze 1992; Scuola e società, trad. it., ibid. 1983, a cura di Ernesto Codignola; e Democrazia e educazione, trad. it., a cura di Alberto Granese, ibid. 1992; sull’autore, vedi Aldo Visalberghi, John Dewey, La Nuova Italia, Firenze 1976; e Amalia De Maria, Invito al pensiero di John Dewey, Mursia, Milano 1990; vedi un quadro storico-dottrinale generale, in Christopher Dawson (1889-1970), La crisi dell’educazione occidentale, trad. it., Morcelliana, Brescia 1965; e la problematica, in Carlos Cardona, Etica del lavoro educativo, trad. it., Ares, Milano 1991.