Il Corriere del Sud 19 maggio 2014
Omar Ebrahime
Esiste un’idea cristiana del lavoro? e se sì, in che consiste esattamente? Sono le domande da cui parte il saggio di don Carlo Pioppi, docente di storia della Chiesa presso la Pontificia Università della Santa Croce, pubblicato nella collana “Maestri” dell’editrice La Scuola che – raccogliendo testi dei principali riferimenti cristiani sull’educazione del ‘900, da Luigi Giussani a Joseph Ratzinger – presenta qui al grande pubblico i fondamenti della concezione cristiana del lavoro muovendo dalla lezione in merito di un sacerdote spagnolo giunto alla gloria degli altari, l’aragonese Josemaría Escrivá (1902-1975), fondatore dell’Opus Dei (cfr. C. Pioppi,Josemaría Escrivá de Balaguer, un’educazione cristiana alla professionalità, La Scuola, Brescia 2013, Pp. 136, Euro 9,00).
L’opera, che offre un breve profilo bio-bibliografico del sacerdote di Barbastro e una raccolta dei suoi principali interventi e discorsi sulla missione e il lavoro del cristiano nella società, presenta una vasta panoramica dell’influenza che Escrivá ha esercitato (in vita e poi, post-mortem, tramite i suoi numerosi allievi e discepoli) sui campi dell’istruzione e della cultura ispirando la fondazione di numerosi istituti scolastici ed universitari un po’ ovunque per il mondo. La passione per la missione educativa l’aveva contratta fin da piccolo frequentando il liceo degli Scolopi (l’ordine di un altro grande santo aragonese che spese la vita per i giovani, Giuseppe Calasanzio (1557-1648)) e l’aveva poi approfondita andando a studiare giurisprudenza all’università di Saragozza (dove si laureò) e a Madrid (dove conseguì il dottorato).
Successivamente, oltre ad essere impegnato nella catechesi parrocchiale – uno dei primi compiti che svolse da giovane sacerdote nella capitale spagnola – , sarà pure docente di diritto canonico e romano presso alcuni centri accademici di Saragozza e ancora Madrid, costruendosi così una vera formazione integrale a trecentosessanta gradi. E proprio la formazione pastorale verso gli studenti universitari sarà in effetti l’altra grande passione della sua vita che non a caso si concretizzerà poi realmente nella fondazione di università importanti come quelle di Pamplona (sempre in Spagna, nel 1952) e di Piura (in Perù), delle quali fu Gran Cancelliere, senza parlare dei collegi avviati a Roma come il Collegio Romano della Santa Croce (istituito nel 1948) e il Collegio Romano di Santa Maria (istituito nel 1953).
Ma è in particolare il caso di Pamplona (dove al tempo non esisteva ancora nessuna università) a rendere evidente il «fortissimo impatto sociale” (pag. 17) che l’opera di Escrivá conseguì: “l’università di Navarra è divenuta col tempo un centro di eccellenza, soprattutto nel campo della medicina, e ora attrae studenti da tutta la Penisola Iberica e dall’estero. Su sua ispirazione è sorto anche lo Strathmore College, a Nairobi, trasformatosi dopo la sua morte in Strathmore University, un centro di formazione di grande rilievo nel panorama educativo del Kenya dopo l’indipendenza» (pag. 17).
Tuttavia, l’impatto sugli ambiti della scuola primaria e secondaria non fu minore: anche se non direttamente coinvolto, il suo invito a spendersi convintamente per l’educazione delle giovani generazioni spinse infatti i membri sposati dell’Opus Dei alla promozione di vari istituti d’istruzione elementare, media e secondaria, fino ad arrivare ai 250 circa di oggi. Un discorso a parte, poi, meriterebbero le tante scuole professionali, tecniche, agrarie ed alberghiere (oggi pure diffuse in decine di Paesi, in tutti i continenti) caratterizzate dalla presenza di un tutor personale che guida sia la formazione pratica che umana dei singoli allievi, ad evidenziare la decisa centralità che la persona assume nel complesso del progetto pedagogico ed educativo in quanto tale. Il valore aggiunto, inoltre, è dato anche dalla forte messa in rilievo della buona pratica quotidiana delle virtù (fortezza, giustizia, etc) da parte degli allievi, il che poi, dal punto di vista strettamente cristiano, non é altro che l’inizio del cammino di santità vero e proprio.
Insomma, ad Escrivá si deve il merito di aver riportato (si pensi anche agli anni non proprio facili in cui agiva, a cavallo tra i drammi della ricostruzione materiale e morale post-bellica dell’Europa e l’imminente boom generazionale edonista e nichilista degli anni Sessanta e Settanta, simboleggiato esemplarmente nei fatti dell’anno 1968) nelle aule delle scuole e nell’università (che ufficialmente peraltro rimanevano laiche) l’importanza di parole-chiave ormai perlopiù dimenticate – o messe da parte – come ‘laboriosità’, ‘spirito di sacrificio’, ‘ordine’, rinnovandole al contempo con una incrollabile fiducia (questa sì, di derivazione soprannaturale) nel fatto che le virtù umane fossero sempre acquisibili da parte di tutti, ovunque e in qualunque situazione.
Sarà questo ottimismo antropologico di fondo (tutt’altro che utopico e anzi estremamente realista nella considerazione delle potenzialità dell’essere umano) a originare le sue riflessioni più significative su quella “santificazione del lavoro” che sarà infine il suo grande messaggio al mondo: l’idea, cioè, che non solamente la santità sia possibile senza estraniarsi dal proprio contesto di vita familiare e sociale ma che anzi proprio lavorando e svolgendo bene giorno dopo giorno il proprio faticoso – e magari anche routinario – dovere si possa arrivare dritti dritti al Paradiso, al modo dei Santi appunto.
Così facendo Escrivá riportava il tema del lavoro, la buona pratica del lavoro e persino il gusto per il lavoro ben fatto al centro della riflessione cattolica (tanto ecclesiale quanto laicale) del suo tempo. Lo faceva con la parola e gli scritti (predicando, dettando esercizi spirituali e riflessioni bibliche) ma anche con l’azione concreta (insegnando egli stesso, dirigendo università e preparando future classi di docenti).
Non solo un ‘Santo’ da venerare per il popolo cristiano quindi, ma anche un maestro di vita per l’uomo sempre più immerso nel mondo dei nostri tempi che però, avendo rimosso le domande fondamentali sulla propria origine, non riesce più a comprendere dove debba andare: «La religione é la più grande ribellione dell’uomo che non si rassegna a vivere come una bestia, dell’uomo che non si adatta – non si dà pace – finché non conosce e non stabilisce una comunicazione con il suo Creatore: lo studio della religione è una necessità fondamentale. Un uomo privo di formazione religiosa non è del tutto formato. Per questo la religione deve essere presente nell’università; e deve essere insegnata al livello più alto, scientifico, di buona teologia. Un’università in cui la religione è assente, è un’università incompleta: perché ignora una dimensione fondamentale della persona umana, che non esclude – anzi richiede – le altre dimensioni» (cit. a pag. 44)