da Il Populista 11 Maggio 2019
A dare l’allarme sono studiosi e vertici delle intelligence internazionali riuniti a Roma per la conferenza “Bridg&” (Bringing Radicalized Individuals to Disengag&), promossa dal Governo Conte e dai servizi segreti italiani per discutere della radicalizzazione, dei giovani, dell’uso del web
di Giuseppe Brienza
Alla conferenza detta “Bridg&” (Bringing Radicalized Individuals to Disengag&) di Roma hanno partecipato il 7 maggio scorso rappresentanze di ben 40 Stati, contro i 20 che di solito intervengono nella capitale francese per l’analogo formato del “Paris group”. Tanti gli spunti d’interesse politico generale delle relazioni e degli interventi degli studiosi e dei rappresentanti delle agenzie di sicurezza intervenuti, vale a dire quelle dei Paesi affacciati sul Mediterraneo e degli Stati Uniti. Il tema: Come evitare che un radicalizzato diventi un terrorista.
L’obiettivo principale dei servizi di sicurezza nazionali e internazionali, infatti, è stato finora quello di evitare gli attentati Com’è stato però ampiamente condiviso dai partecipanti alla conferenza, occorre porsene un altro di obiettivo, altrettanto importante: evitare appunto che un islamico si radicalizzi e diventi un terrorista.
Un tema urgente d’affrontare, perché la minaccia jihadista resta “attuale e concreta”, ha assicurato Gennaro Vecchione, direttore del Dis, il Dipartimento italiano che coordina le Agenzia d’intelligence Aisi e Aise. La radicalizzazione, ha aggiunto Vecchione, va pertanto “prevenuta e intercettata nella sua fase iniziale” perché il pericolo “può annidarsi ovunque”.
Allo stato attuale, ha affermato il vicedirettore vicario del Dis Enrico Savio, “l’Italia ha affrontato da sola certi problemi” come l’immigrazione prima di tutto. Ecco però che su circa 60mila detenuti ristretti nei penitenziari del nostro Paese, gli stranieri sono 20mila e, di questi, circa 13.600 provengono da Paesi di religione musulmana, ha documentato Augusto Zaccariello, che lavora nel Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), del Ministero della giustizia.
Uno degli interventi più interessanti dal punto di vista socio-politico alla conferenza “Bridg&” è stato quello del sociologo francese Farhad Khosrokhavar, attualmente in servizio all’Osservatorio parigino sulla radicalizzazione della Maison des Sciences de l’Homme. Dopo aver sottolineato che le “vocazioni jihadiste” sono cresciute dal 2013 al 2016 di 30 volte per effetto dell’Isis, Khosrokhavar ha snocciolato una verità finora solo sussurrata: l’appello al jihad sta sostituendo quello ormai (ideologicamente) tramontato della rivoluzione marxista.
La capacità attrattiva dell’Isis, infatti, si pone in questo senso in primo luogo perché questa “internazionale islamista” si è dichiarata Stato. Insomma, una volta finite le utopie socialista o comunista, “la distopia dell’Isis ha attirato i giovani”, e anche gli adolescenti, che invece al Qaeda non voleva.
Diverse le cause sociali all’origine di questa escalation nel reclutamento secondo lo studioso francese. Anzitutto molti soggetti si credono “respinti e vittimizzati, credono di subire trattamenti ingiusti e, tranne che in Italia, ci sono in Europa quartieri con una percentuale tra il 60 e l’80 per cento di giovani emarginati”. Parliamo di quella banlieue che Khosrokhavar definisce significativamente “struttura jihadogenica urbana”.
Il dott. Vecchione, commentando a margine queste importanti valutazioni, ha fatto notare che solo “un’ordinata immigrazione, regolata e controllata, ha permesso all’Italia di evitare la creazione di zone di disagio”. La domanda che le classi dirigenti dell’Occidente dovrebbero porsi, tanto più all’esito dei contributi emersi al “Bridg&”, dovrebbe dunque essere: come combattere contro i due mortali nemici, interni ed esterni, del comunismo e dell’islamismo?
Sembrava fossero entrambi morti e defunti ma, non pochi orfani del marxismo e una parte dei giovani occidentali resi orfani dei valori dal relativismo delle élites, si stanno volgendo all’integralismo islamico con lo stesso ardore di quanto facevano le precedenti generazioni rosse prima dell’abbattimento del Muro di Berlino.
Gli “islamisti ex marxisti” più stagionati cercano di riciclare il mito della guerra di classe nel jihad riproponendo lo stesso millenarismo comunista in salsa ideologico-religiosa. Nella grande battaglia islamica del Giorno del Giudizio si riciclano vecchie parole d’ordine per distruggere il nemico di sempre, l’Occidente di tradizione cristiana. Li conferma il mito della “guerra santa” lanciata da non pochi leaders islamisti contro un mondo occidentale definito “cristiano” e “islamofobico”.
Il problema è che buona parte delle classi dirigenti del “vecchio continente” sono laiciste e, probabilmente, almeno in alcuni importanti esponenti, più anticristiane che antimusulmane. Questo potrebbe portare a sottovalutare i cortocircuiti ideologici citati e, alla lunga, ciò potrebbe lasciar alimentare qualcosa di più che una manciata di Foreign Fighters