da in Terris 5 marzo 2019
Parla Carmen Pafundi, autrice di un libro sulla giovane religiosa napoletana
di Giuseppe Brienza
Beatificata il 18 giugno 2016, madre Maria Celeste Crostarosa, al secolo Giulia Marcella Santa, è nata a Napoli il 31 ottobre del 1696, decima di dodici figli. Fin dall’infanzia ha i primi soliloqui con Gesù che, un giorno, le promette: «Sappi che per me vivrai e sarai mia in eterno, ti proteggerò nel mio cuore come unica colomba mia».
Sebbene cresca in un in una famiglia cattolica e devota, e in piena armonia, la futura madre Maria Celeste del Santissimo Salvatore (questo il suo nome da religiosa) cerca fin da ragazzina la solitudine e il digiuno dell’anima e del corpo: predilige la polverosa e tacita soffitta di casa, che paragona al suo cuore, dove fa regnare solo Cristo, che in tutto la istruisce e la “pressa” col suo amore. È adolescente quando decide di fare voto di castità e cerca un padre confessore che la guidi nell’orazione mentale. Nessuno eguaglierà in ciò don Bartolomeo Cacace, uomo pio e dotto, molto conosciuto a Napoli, che la guida per anni.
Dopo una visita con la madre e la sorella maggiore al monastero di Marigliano, in provincia di Napoli, decide di restare lì per farsi monaca. La sorella Ursula, che aveva un’adorazione per la sua Giulietta, si unisce a lei. Le seguirà di lì a poco anche la minore, delle quattro viventi, Giovanna.
Per soprusi nobiliari il monastero di Marigliano viene però chiuso e le tre sorelle Crostarosa devono trasferirsi, per alcuni mesi, nella villa paterna a Portici. Ma è ora il momento di parlare del seguito di questa storia con Carmen Pafundi, autrice del libro-biografia La colomba del redentore, appena pubblicato dalle Edizioni Ares (Prefazione di mons. Vincenzo Pelvi, arcivescovo metropolita di Foggia-Bovino, Milano 2018, pp. 584, € 24).
Una volta cacciata dal monastero di Marigliano, cosa succede alla mistica Maria Celeste Crostarosa?
Su suggerimento di Gesù, come sempre, si reca a Scala, in provincia di Salerno, nel monastero visitandino, riformato, diretto da don Tommaso Falcoja che, dopo la morte di don Cacace, era diventato il suo padre spirituale. È qui, in questo monastero sui Monti Lattari, che non aveva una Regola propria, che il Gesù si compiace di lei. Ormai divenuta visitandina, con il nome di suor Maria Celeste Del Santo Deserto, le rivela, infatti, cosa ora vuole da lei: un nuovo Ordine monastico ad effigie della sua vita terrena e Passione. Nei giorni successivi ha altri chiarimenti: nell’ostia vede il Cristo con l’abito dell’Ordine (rosso fosco e mantello azzurro); le chiede di scrivere, un’ora al giorno, dopo la santa comunione e in 40 giorni, le sue Regole; la «Sua Opera» prenderà il nome di SS. Salvatore e di Essa e delle sue Regole non ci sono «fondatori» né «fondatrici», essendo Lui il Fondatore. Le preannuncia che per giungere a ciò tanto sarà il suo patire e che non le sarà riconosciuta alcuna gloria terrena.
Non è a questo punto che la storia di Giulia Crostarosa va a intrecciarsi con quella di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787)?
Sì, esattamente. Se Gesù alla “guida” del ramo monastico femminile del nuovo Ordine sceglie lei, per quello maschile, missionario, le fa intendere, con una visione che ha il giorno di San Francesco d’Assisi, di aver scelto il suo amico fraterno, don Alfonso Maria de Liguori, nato anche lui a Napoli, nel 1696. Anche lui di nobili origini, primogenito, per questo destinato alla carriera di avvocato, che rinnega per seguire la nobiltà di Cristo. Poiché non sarebbe stato ammissibile né comprensibile che si attribuisca ad una monaca, “visionaria” e “matta”, come veniva considerata la fondazione di un Ordine religioso, Sant’Alfonso accetta la proposta di Giulia Crostarosa. Nonostante ciò, si trova costretto a contraddirla in alcune sue decisioni, quali ad esempio il non accettare che don Falcoja abbia corretto le Regole, il non volerlo più come suo padre spirituale etc.
Inizia così la “passione” di Maria Celeste, tra calunnie, discredito, invidia, carcerazioni e buio dell’anima. Insomma come la storia di tanti Santi…
Direi proprio di sì, con l’enormità del rifiuto del suo padre spirituale che, divenuto direttore del monastero di Scala, la porterà all’espulsione dal monastero. Con lei anche le sue sorelle, che non vogliono più restare. Raminga, fra altri, che la ospiteranno e la vorranno già come «Madre e fondatrice» si ferma solo dove Cristo la vuole. «Va’, in Foggia», le dirà. Dove, in verità, oltre a gettare le fondamenta all’Opera, madre Celeste viene a instaurare una novità per l’epoca e per la città: un conservatorio per «donzelle civili», si diceva allora. Ossia un conservatorio e non solo un monastero di clausura, nel quale le ragazze, e di ceto borghese, potevano scegliere di farsi monache o solo studiare, ed era infatti solo la loro retta, senza dare la dote, a sostenere il monastero del SS. Salvatore.
Tutto ciò ha comportato un maggiore scetticismo con relative difficoltà sia nell’accettazione di ciò da parte della città sia economiche per la piccola comunità religiosa. Ciononostante, anche quando, per i danni del devastante terremoto del 1731, che aveva colpito al cuore la città di Foggia, crollerà una parte del monastero, procurando la morte di una sua educanda, madre Celeste “non crolla”, resta immagine viva e fiamma ardente della volontà di Cristo e lo rimarrà vi rimarrà fino alla sua morte; avvenuta nel 1755, in un giorno a lei caro, quanto esemplificativo della sua “missione”: il 14 settembre, L’Esaltazione della Santa Croce.
La «Santa Priora», come la chiamano ancora oggi i fedeli di Foggia, è ricordata soprattutto per aver dato vita all’Ordine delle monache Redentoriste e alla Congregazione dei padri Redentoristi, quest’ultima considerata la risposta che, nell’individualistico “secolo dei lumi” S. Alfonso Maria de Liguori ha dato alla chiamata di Gesù tramite poveri.
In effetti la Congregazione dei Redentoristi ha dato moltissimo alla Chiesa, compresi molti santi. Va ricordato che sant’Alfonso Maria de Liguri, divenuto vescovo, è morto nel 1787 e, già nel 1816 fu dichiarato beato (nel 1839 santo). Quasi lo stesso vale per un amico comune e confratello di Alfonso Maria e Giulia, vale a dire Gerardo Majella, morto anche lui nel 1755, un mese dopo madre Celeste, tanto da dichiarare di aver veduto l’anima di suor Celeste volare in cielo come colomba, e canonizzato nel 1893.
Come mai invece per la beatificazione di Giulia Crostarosa abbiamo dovuto attenere invece Papa Francesco?
La causa di canonizzazione di madre Celeste, nei secoli, sembra non giungere mai a conclusione. I suoi tanti miracoli, avvenuti già a 24 ore dalla morte, sono ritenuti “vecchi” e gli iter per mantenere aperta una causa appaiono altresì troppo costosi per il suo piccolo monastero di Foggia che, davvero tante, ne ha passate. Ha cambiato nel tempo diverse sedi, ha subito crolli, è stato abbattuto, ricostruito e cambiato nuovamente sede, prima di diventare quello odierno. Si dovrà, così, attendere la vigilia del bicentenario della sua morte, ovvero il 13 settembre del 1955, per giungere alla circostanza risolutiva.
Si fa la ricognizione del corpo, incorrotto, e avviene un nuovo miracolo, ad una sua consorella: sorda, fin da bambina, per un’otite purulenta, sente immediatamente, dopo aver poggiato l’orecchio sul costato della madre. Ancora ostacoli vari fanno sì che la data dell’arrivo agli onori degli altari per Giulia Crostarosa giunga “solo” il 18 giugno del 2016.
Va ricordato che un ruolo importante nell’avanzamento e a sostegno della causa lo hanno avuto i padri redentoristi, e in particolare il postulatore generale delle cause dei redentoristi e redentoriste, padre Antonio Marrazzo; come a dire che il fraterno amico don Alfonso è venuto in aiuto della tenace e amata amica Celeste. Si può dire che la sua vita e le vicende successive alla sua morte sono come quella via che ebbe in visione: «tortuosa e di spine, ma che conduce al Cielo».
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A ragione le vicende della vita e dell’eredità della Beata Giulia Crostarosa sono un esempio e un magistero ancora tutti da scoprire. Come scrive Carmen Pafundi nella sua biografia: «I santi non hanno tempo e non hanno un luogo, esistono per sempre».