Avvenire 10 Ottobre 2017
di Roberto Festorazzi
Nella Ddr, lo Stato vassallo dell ‘Urss sorto nel 1949 nella zona d’occupazione sovietica della Germania, esistette, per quarant’anni, un partito che si richiamava all’eredità diretta del nazismo e delle altre forze fiancheggiatrici di Hitler, come i tedesco-nazionali, che, nel 1933, nella fase di ascesa al potere delle camicie brune, garantirono la maggioranza parlamentare al governo del neocancelliere.
Fu un’idea dello stesso Stalin, autentico mostro di realpolitik, imposta ai capi del Partito comunista della Germania Orientale, quella di fondare una forza organizzata che fornisse uno sbocco politico agli ex membri della Nsdap (Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori), della Wehrmacht, delle Ss, della Hitler Jugend, e delle Sa, le Squadre d’assalto che furono bandite dal Terzo Reich dopo la Notte dei lunghi coltelli, la purga di fine giugno del 1934.
Così, prima ancora della nascita ufficiale della Ddr, le autorità sovietiche d’occupazione, il 25 maggio ’48, autorizzarono l’Ndpd, il Partito nazionaldemocratico, che anche nella sigla richiamava la Nsdap. Peraltro, nel 1964, nella Repubblica federale tedesca, fu creato un partito dall’identica denominazione, che tuttora resiste ai vari tentativi di metterlo al bando.
L’atto di nascita dell’Ndpd, che raccoglieva «un gruppo di tedeschi che amano la patria», seguiva la fine del rapido processo di “denazificazione” che i sovietici condussero nella Germania Orientale, decretando, già all’inizio del ’48, la riammissione alla vita civile, ma anche ai posti di responsabilità, di tutti gli ex nazisti che non si fossero macchiati di delitti efferati.
La vicenda, inquietante e poco studiata, del Partito nazionaldemocratico della Ddr, rappresenta uno dei capitoli più sconcertanti della continuità totalitaria che segnò il passaggio da un regime con la svastica a uno con la falce e martello. Non soltanto, il governo comunista di Berlino Est, evitò, per quanto possibile, di epurare e giudicare gli ex membri delle organizzazioni naziste, ma creò degli ascensori politici per coloro che avevano servito Hitler, anche in posizioni di ragguardevole autorità e comando, ed erano caduti, nel prestigio e nei livelli di potere, dopo il crollo del Terzo Reich.
Nella lingua di cartone dei burocrati della propaganda della Ddr, l’Ndpd, che alla vigilia della caduta del Muro, contava oltre 110 mila iscritti, raccoglieva membri «di provenienza piccolo borghese», cioè, in prevalenza, «artigiani privati, soci di cooperative artigianali, esercenti e operatori culturali». Ma la realtà era ben altra. Nel surrogato di pluralismo politico vigente nella Germania Orientale, nella Camera del Popolo, l’erede dissimulato del nazismo poteva contare su un numero fisso di seggi (52), esattamente come le altre forze politiche che collaboravano, nell’alleanza di ferro, con i comunisti della Sed, il Partito socialista unificato, forza egemone dello Stato: i cristiano-democratici, i liberaldemocratici e il Partito democratico dei contadini.
Anche se nessuna delle forze fiancheggiatrici della Sed osò mai votare, anche una sola volta, contro un provvedimento del governo. I “nazi” di Berlino Est, nelle intenzioni dichiarate dei padri fondatori dello Stato comunista, avrebbero dovuto subire una sorta di “lavaggio del cervello”, di “riorientamento” ideologico, per passare gradualmente, dalle posizioni nazionaliste di partenza, a quelle internazionaliste vigenti nella comunità socialista mondiale.
In realtà non importava a nessuno che gli ex aderenti alla Nsdap, intruppati dentro l’Ndpd, facessero abiura dei loro vecchi e intimi convincimenti. Ciò che davvero contava, era che i nazionaldemocratici rappresentassero un gruppo di attivisti e di funzionari d’apparato coesi nell’opposizione ai valori e agli interessi dei Paesi occidentali, ossia gli alleati dell’odiata Germania federale. In tal senso, la Ddr diede vita a quella che possiamo considerare come la più poderosa azione di rilancio e di recupero delle posizioni del nazionalsocialismo di sinistra, che erano state brutalmente represse, da Hitler, nella Notte dei lunghi coltelli.
Con il “golpe interno” dell’estate del ’34, il dittatore aveva raso al suolo l’organizzazione delle Sa, guidata da Emst Röhm, che raccoglieva l’ala sinistra del movimento nazista. Con l’uccisione di Röhm e dei suoi fedelissimi, vennero cacciati ai margini i fratelli Otto e Gregor Strasser, i quali, con i loro programmi paracomunisti, avevano propugnato la collettivizzazione dei mezzi di produzione.
L’unico nazista filomarxista, che sopravvisse, in cima alla piramide del potere, dopo il ’34, fu Joseph Goebbels, il ministro della Propaganda del Reich. L’operazione di salvataggio, ai vertici della Ddr, degli ex ” nazi”, fu talmente spregiudicata, che lo stesso Stalin accarezzò perfino l’idea di riesumare l’organo ufficiale della Nsdap, il “Völkischer Beobachter”. A sostenere questa versione, fu il plenipotenziario e ultraspecialista per l’area tedesca, che il Cremlino incollò ai gerarchi rossi della Germania Orientale: si trattava del diplomatico Vladimir Semenovich Semyonov, già consigliere dell’ambasciata sovietica della capitale del Reich, nel periodo in cui fu in vigore il Patto Ribbentrop-Molotov.
Semyonov, nel dopoguerra, fu, dapprima, consigliere politico dell’amministrazione militare sovietica in Germania, poi, dopo la nascita della Ddr, ambasciatore russo a Berlino Est.
Alla fine, se il “Völkischer Beobachter” non tornò in edicola, ne prese tuttavia il posto la National-Zeitung, che uscì ogni giorno, sino alla fine della Ddr. In uno dei suoi primi numeri, il 25 marzo 1948, il quotidiano scrisse: «Mentre in altre parti della Germania si gioca ancora con pesante determinazione alla denazificazione, nella Zona Est gli occhi possono vedere più chiaro, oggi un semplice ‘Pg.’ (Parteigenosse, membro del partito nazionalsocialista, ndr) non deve più guardarsi attorno intimidito, sentendosi come un paria».
Era la sintesi del teorema caro a Stalin, il quale invitava a rimuovere la linea di separazione tra ex-nazisti e non nazisti. Imbarazzante era il retaggio degli stessi leader dell’Ndpd. Uno dei due suoi cofondatori, Wilhelm Adam, era un ex ufficiale pluridecorato della Wehrmacht. Anche il secondo presidente della formazione politica, Heinrich Homann, in posizioni di vertice dal 1972 fino alla caduta del Muro, era stato, fin dal 1933, membro del Partito nazista e, dal 1937, ufficiale della Wehrmacht.