di Massimo Introvigne
Un recentissimo sondaggio dell’IPSOS mostra che i cattolici italiani, nonostante il governo tecnico, hanno ancora voglia di politica e sarebbero interessati a offerte politiche coerenti con i loro valori, di cui tuttavia riscontrano la mancanza, e che oltre il quaranta per cento degli italiani – cattolici o non – segue con interesse il dibattito sulla politica all’interno dell’associazionismo cattolico.
Che cosa ha scoperto Garelli? Che l’Italia ha un sua via alla modernità, alla religione e alla secolarizzazione che non coincide esattamente con quella di alcun altro Paese occidentale. Uscendo dai dibattiti un po’ stucchevoli su se vi sia o no una secolarizzazione, e se sia vero che all’America devota si contrappone un’Europa che sta abbandonando la religione, Garelli dopo un’ampia indagine mostra, cifre alla mano, che gli italiani sono ancora cattolici ma lo sono, appunto, «all’italiana».
Con riferimento a una precedente indagine che lo stesso sociologo condusse, con altri, nel 1995, Garelli mostra che sono passati quindici anni ma le cose non sono molto cambiate. L’82,7% degli italiani continua a credere in Dio, anche se il 36,8% crede «con dubbi». Il 32,5% prega almeno una volta al giorno.
Il 26,5% dichiara di andare a Messa tutte le settimane – cifra che può sembrare bassa, ma che è ai vertici europei se si escludono Malta e la Polonia – e il 42,3% afferma di andarci almeno una volta al mese. Quasi l’80% degli italiani si considera cattolico. Il numero di atei e agnostici – nonostante una rumorosa promozione – non aumenta da vent’anni. Crescono i fedeli di altre religioni, ma questo avviene in gran parte a causa dell’immigrazione.
Come tutte le ricerche importanti, quella di Garelli ha avuto molte recensioni, talora «di parte», nel senso che c’è chi ha visto il bicchiere mezzo pieno e chi mezzo vuoto. Va sempre così per la sociologia: si può sottolineare che gli italiani dichiarano di andare a Messa cinque volte più dei francesi oppure, al contrario, che comunque quasi tre quarti dei nostri connazionali non rispettano il precetto domenicale. Tuttavia è innegabile la maggiore tenuta della Chiesa Cattolica in Italia rispetto agli altri grandi Paesi europei.
Ma che cosa «tiene» esattamente? Qui sta, specificamente, la via italiana al cattolicesimo di cui parla Garelli. Il sociologo nota come, quando parla di tenuta della Chiesa Cattolica in Italia con colleghi stranieri, viene spesso accolto con sorrisi di sufficienza. Com’è possibile, si chiedono all’estero, che gli italiani siano ancora cattolici quando l’Italia ha il triste primato mondiale della denatalità? E la stessa ricerca di Garelli dimostra come – sia pure fra molte perplessità e dubbi, anche questi tipici del nostro Paese – una metà abbondante degli italiani non si senta di escludere l’aborto e l’eutanasia sempre e comunque, anche se c’è ancora una maggioranza contraria al matrimonio e alle adozioni omosessuali.
Ma la contraddizione, in qualche modo, fa parte del carattere nazionale italiano. Più del settanta per cento degli italiani non segue la Chiesa nei suoi insegnamenti in materia di morale sessuale, e anzi dichiara che si può essere buoni cattolici anche senza conformarsi al Magistero sul punto. Ma nello stesso tempo oltre il settanta per cento dei nostri connazionali afferma che la Chiesa fa bene a mantenere fermo un insegnamento alto ed esigente sui temi dell’aborto, dell’eutanasia e della sessualità.
In altre parole, mentre in altri Paesi è forte una contestazione organizzata, anche intra-cattolica, del Magistero morale della Chiesa che ne chiede a gran voce il cambiamento, in Italia questo dissenso è ridotto a piccole frange d’intellettuali. La maggioranza degli italiani non si conforma alla dottrina morale della Chiesa, ma la sente con una sorta di nostalgia come annuncio di un mondo diverso e forse migliore. Non chiede che la Chiesa modifichi questo annuncio, per quanto non si senta capace di seguirlo, talora più per debolezza che per vero dissenso.
Il dichiararsi cattolici, nota Garelli, non è una variabile significativa per la morale individuale, per il voto politico, e anche per comportamenti di morale sociale come l’evasione fiscale o il non pagare il biglietto sull’autobus. L’ottanta per cento che si dichiara cattolico si comporta più o meno come il venti per cento che è ateo, agnostico o segue altre religioni. Garelli però sostiene che l’espressione «mondo cattolico» è ormai obsoleta. È un ombrello troppo grande, che copre realtà molto diverse fra loro. All’interno del cosiddetto mondo cattolico c’è una parte – circa il venti per cento degli italiani – che va regolarmente a Messa e in più s’interessa agli insegnamenti della Chiesa, anche se non li segue sempre e tutti.
Un dieci per cento degli italiani fa parte di associazioni e movimenti cattolici – una percentuale altissima e unica al mondo – e un altro dieci per cento segue con qualche assiduità la vita parrocchiale. È questo venti per cento che sul piano morale e del comportamento è diverso dal resto degli italiani, e più vicino alle indicazioni del Magistero anche se ad esse non perfettamente e sempre docile.
Del resto, gli italiani dichiarano di sentirsi più vicini al Papa – anche se più al beato Giovanni Paolo II (1920-2005) che a Benedetto XVI – che ai loro vescovi, e più ai vescovi che ai politici, anche «cattolici». E a grande maggioranza i nostri connazionali apprezzano molto l’aiuto concreto che i preti, le parrocchie e il volontariato danno a chi ne ha veramente bisogno, per cui non contestano l’otto per mille anche se – forse suggestionati da campagne recenti – vorrebbero più severità nel far pagare l’ICI alla Chiesa per gli edifici non strettamente di culto.
Il testo di Garelli è un’opera di sociologia, non di pastorale o di apologetica. Tuttavia è di grande interesse per i cattolici e per i pastori. Da una parte, indica che il cattolicesimo in Italia è ancora vivo e vitale, assai più di quanto non sia in altri Paesi mediterranei di antica tradizione cattolica come la Francia o la Spagna. Gli italiani restano affezionati alle loro radici cattoliche. Ma il rapporto con queste radici è confuso. Se le radici non sono irradiate da un’adeguata catechesi, rischiano d’inaridire. È questo il senso della «nuova evangelizzazione» e ora dell’Anno della Fede proclamato da Benedetto XVI. Una base c’è, ma è fragile. O su questa base si costruisce, o la vedremo a poco a poco sgretolarsi.