Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân
sulla Dottrina sociale della Chiesa
22 Settembre 2021
di Stefano Fontana
Una ri-lettura dell’opera “La fine dell’epoca moderna” di Romano Guardini [la citerò dall’edizione della Morcelliana del 1993] può essere utile per fissare alcuni punti interessanti sulla laicità nel senso autenticamente cristiano del termine. Ogni discorso cristiano sulla laicità richiede la corretta impostazione del rapporto tra natura e sopra-natura e preoccupa che la nuova teologia non consideri più questo rapporto in senso metafisico.
Guardini, pur non essendo un metafisico, tuttavia offre una considerazione densa del rapporto quando dice: “Ogni essere è più di se stesso; ogni avvenimento significa più che non il suo stretto compiersi. Tutto si riferisce a qualcosa che sta al di sopra e al di là. E solo a partire da là riceve la sua pienezza. Se esso scompare le cose e le situazioni si svuotano di senso” (p. 96).
Come dicevo, il discorso non è nettamente metafisico, però risulta chiara la dipendenza della natura dalla sopra-natura per acquisire un proprio senso: da sola la natura non sa darsi un senso.
Sul piano della laicità questo discorso è molto importante e comporta subito una conseguenza: “Non esiste un mondo profano e quando una volontà ostinata riesce a creare un qualche cosa che gli somigli, esso non funziona. È un edificio senza forza interiore … Senza elemento religioso la vita diviene come un motore che non ha più olio” (p. 98).
Con un linguaggio non tecnico dal punto di vista filosofico e non certamente metafisico, comunque Guardini qui asserisce l’impossibilità di una laicità intesa come indipendenza del piano naturale da quello sopra-naturale, stabilisce la non esistenza del profano (ciò che sta davanti al tempio) e la necessità del sacro, ossia della religione. Non viene detto qui cosa significhi nella vita pubblica questo discorso, però l’affermazione è sufficientemente chiara: non esiste una laicità come profanità o assenza della religione cristiana, che deve avere un ruolo pubblico.
Ciò vuol forse significare che i valori cosiddetti umani, quelli che la ragione può conoscere con le sue forze e la coscienza sperimentare con la propria immediata saggezza, non hanno nessuna consistenza? Guardini non è di questo parere e infatti afferma: “In verità questi valori e queste attitudini sono legate alla rivelazione, la quale si trova in un particolare rapporto a ciò che è immediatamente umano. Discende dalla libertà della Grazia divina, ma attrae l’uomo nella sua economia e ne nasce la struttura cristiana della vita. Così si liberano nell’uomo delle forze che sono per sé naturali, ma non si svilupperebbero al di fuori di quell’economia. L’uomo diviene consapevole di valori che per sé sono evidenti, ma divengono visibili solo in quell’atmosfera” (p. 99).
Questo punto è di notevole interesse. Ciò che è umano, è umano, e non divino. Ciò che è naturale, è naturale e non sopra-naturale. Però senza la luce della grazia e della rivelazione non emergerebbe come deve emergere, non se ne avrebbe consapevolezza come si dovrebbe averne. Molte cose naturali, che in astratto si potrebbero conoscere, e molti valori naturali, che in astratto si potrebbero attuare e rimanervi fedeli, nel concreto della vita non si acquisirebbero e non si manterrebbero senza il “piano superiore”.
Come si vede, qui la laicità è definita in modo molto interessante. Non si nega che il piano naturale non abbia una sua consistenza propria, ma eliminando da sé il piano sopra-naturale perde questa stessa sua consistenza, degenerando, sicché il rapporto strutturato con il sopra-naturale è garanzia della sua stessa identità e legittima autonomia.
Essendo molto attratto dal tema antropologico, Guardini fa a questo proposito l’esempio della persona: “La conoscenza della persona è perciò legata alla fede cristiana. La persona può essere affermata e coltivata per qualche tempo, anche quando tale fede si è spenta, ma poi gradatamente queste cose vanno perdute” (p. 100). Si può discutere se Guardini sia un “personalista” nel senso di Mounier e di Maritain, ma in questo passo egli sembra dire il contrario del personalismo, anche se lo fa con un linguaggio personalista.
In questo passo è chiara la visione di legittima autonomia della persona dalla fede rivelata, ove legittima vuol dire che essa può essere se stessa nel proprio ordine solo se non si chiude nel proprio ordine, ma si pensa come debitrice sostanziale dall’ordine superiore della grazia, e non solo all’origine ma sempre. Mentre il personalismo separa i due piani dicendo di volerli distinguere, Guardini qui non li separa ma li tiene uniti nel primato del sopra-naturale sul naturale.
La secolarizzazione e la laicità moderne, però – continua Guardini – si comportano in modo “sleale” con i cristiani: adoperano i valori umani che sono stati resi possibili dal cristianesimo contro il cristianesimo stesso, fanno “quel doppio gioco che da un lato rifiuta la dottrina e l’ordine cristiano e dall’altro rivendica a sé le conseguenze umane e culturali di quella stessa dottrina”. Così il cristiano “dappertutto si imbatte in valori essenzialmente cristiani che sono invece rivolti contro di lui” (p. 105).
La secolarizzazione separa i valori umani, nati dal cristianesimo, dal cristianesimo e conduce il discorso nelle “nebbie della laicizzazione”. La secolarizzazione “si appropria dei valori e delle forze che essa ha elaborato” e le adopera in “usofrutto” (p. 102).
La secolarizzazione moderna non ammette l’indispensabilità della sopra-natura affinché la natura sia se stessa. La sfida è epocale e assolutamente radicale. Per questo Guardini, con eguale radicalità, dice “allora anche la fede cristiana stessa dovrà acquistare nuova risolutezza. Anche la Chiesa deve uscire dalle laicizzazioni, dalle analogie, dalle mezze misure e dalle confusioni” (p. 104). Ben detto!