25 Agosto 2020
Il titolo di questo articolo suona come una contraddizione. Come è possibile che una Chiesa progressista, ossia aperta al cambiamento, orientata al futuro, non tradizionalista né conservatrice … possa essere sempre in ritardo sulla storia?
Il progressismo è l’esaltazione del “nuovo” e proprio per essere disponibile al nuovo essa rinuncia al passato. Quindi non può essere in ritardo, ma semmai al passo con i tempi o addirittura in anticipo su di essi se sa sviluppare la profezia e l’utopia. Eppure, a pensarci bene, le cose stanno proprio così: la teologia progressista è sempre in ritardo. Vediamo di capire perché.
La teologia progressista crede che lo Spirito Santo animi la storia e che Dio si auto-comunichi all’uomo negli eventi storici. Non c’è una comunicazione di notizie, leggi e prescrizioni fatta una volta per sempre e, soprattutto, immessa nella storia dal di fuori, dall’eternità. C’è invece una presenza e comunicazione da dentro la storia, nelle vicende dell’umanità. Questa idea di fondo è propria di tutte le correnti teologiche progressiste che si differenziano tra loro per alcune varianti ma non su questo punto. La teologia pragmatica, la teologia narrativa, la teologia evoluzionista delle linea de Chardin-Rahner-Kasper, le teologie del genitivo degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso e così via … pensano che la rivelazione non abbia una storia ma sia storia.
Per questo motivo è facile capire che prima un evento storico deve capitare e poi in esso si scopre – con discernimento teologico ed ecclesiale – il suo significato. Prima la storia produce profanamente i suoi frutti e poi questi frutti sono intesi come una auto-comunicazione di Dio da parte della Chiesa. Se all’uomo fosse dato di ricevere da Dio delle verità eternamente uguali a se stesse fin dall’inizio della rivelazione, allora egli potrebbe valutare gli eventi storici con delle categorie che non nascono con essi, ma li anticipano. Li potrebbe leggere dall’alto, valutarli e interpretarli. Questa operazione si può chiamare discernimento.
Ma la teologia intende il discernimento in un altro modo, ossia come una valutazione degli eventi storici dal loro interno, essendo essi a darci un messaggio che noi dobbiamo cogliere non alla luce di verità preesistenti – considerate perciò astratte – ma facendosi coinvolgere negli eventi stessi, partecipandovi, accompagnandoli dall’interno insieme a tutti gli altri uomini.
Se così è, però, prima la storia deve svolgersi e poi il cristiano vi partecipa, arrivando sempre in ritardo su di essa. Siccome Dio opera nella storia profana dell’umanità, la teologia progressista che ammette questo deve anche ammettere di essere sempre in ritardo, e che la sua funzione è di adattarsi a questa storia.
L’espressione teologica “segni dei tempi” purtroppo contiene questa ambiguità. Se ci sono una rivelazione trascendente di Dio e una storia sacra, cogliere i segni dei tempi vuol dire leggere le cose che avvengono alla luce di quella rivelazione e di quella storia sacra. Ma se la rivelazione è dentro i fatti storici e se c’è solo una storia profana, la storia del mondo nella sua mondanità, allora sarà la storia stessa ad essere un segno dei tempi e coglierli vorrà dire adattarsi ad essi.
Per esempio, per la Chiesa di oggi le migrazioni o il riscaldamento globale sono delle verità storiche che non si possono mettere in discussione. Per fare un altro esempio, nel caso della epidemia da covid-19 la Chiesa italiana ha ritenuto che adattare se stessa alla nuova situazione storica fosse un dovere perché in quella situazione Dio ci parlava. In questo modo si rinuncia a valutare criticamente le migrazioni, il riscaldamento globale e il covid-19 finendo per sostenere gli interessi che ci stanno dietro. Oltre che la giusta analisi teologica è così venuta a mancare anche la corretta analisi storica e la Chiesa “beve” l’idea inculcata dai nuovi poteri senza adeguato discernimento critico anzi, dimostrando una sciocca ingenuità.
Il progressismo teologico è cosa della modernità e la Chiesa lo ha abbracciato soprattutto nell’età contemporanea, nonostante le tante condanne dei pontefici di un tempo. È diventato la norma di fatto dopo il Vaticano II. Osservare, quindi, questa sua contraddizione – una fede nel progresso che arriva sempre a rimorchio della storia – ha un significato molto ampio, vale anche come spunto per valutare il rapporto della Chiesa con l’intera modernità e per considerare l’inaffidabilità di tanti percorsi teologici che oggi vanno per la maggiore.
La verità non può mai derivare dalla prassi, né la legge dai fatti. Agli uomini non interessa il futuro in quanto tale, ma il senso del futuro, e il senso del futuro non può derivare dal futuro stesso.