di Gonzague de Reynold (1880-1970)
La principale missione dell’imperatore, dei re, dei principi, di ogni barone, di ogni cavaliere, di ogni cristiano consisteva nel difendere la cristianità contro gl’infedeli. Con il nome d’infedeli non s’intendevano assolutamente soltanto i musulmani, ma i pagani nel loro insieme. Infatti, normanni, sassoni, slavi, avari, ungari, mongoli, tatari erano tutti “nemici del nome cristiano”, massacratori, martirizzatori. Più tardi, quando furono tolti di mezzo i pericoli dal Settentrione e dall’Oriente, l’epiteto “infedeli” designava soltanto i musulmani.
Allora il crociato divenne superiore al cavaliere. Se ne trova la prova in un sermone pronunciato da Urbano II a chiusura del Concilio di Clermont-Ferrand, che decise la prima crociata (1095)! “Avanzino per impegnare contro gl’infedeli una lotta giusta, che li colmerà di trofei, quanti, in altri tempi, erano soliti condurre illecitamente guerre private contro i fedeli…”. L’abbiamo sentito: una delle ragioni della crociata fu di porre un termine al flagello delle guerre private, che indebolivano all’interno la cristianità mentre, all’esterno, essa era così minacciata. Dunque, il vero soldato di Cristo era il crociato.
Il pericolo asiatico è una costante dell’Europa. Ma che cosa intendere per Asia?
L’Asia è un termine collettivo che riunisce e abbraccia una serie di compartimenti, di mondi separati gli uni dagli altri da ostacoli naturali, a lungo insuperabili. Questi compartimenti, questi mondi si raccolgono in due grandi zone: quella della civiltà e quella della barbarie. L’Europa – penisola asiatica, non dimentichiamolo -, l’Asia anteriore, questa Preeuropa, le Indie e l’Estremo Oriente costituiscono la prima.
Oltre ogni differenza e ogni opposizione, questi quattro mondi hanno caratteri comuni. Sono marittimi e montagnosi. Servono da quadri e da supporti a grandi civiltà stabili e monumentali. Li si vede estendersi come un arco di cerchio dall’Atlantico al Pacifico, attraverso il Mediterraneo, il Mar Rosso, il Mare di Oman, l’Oceano Indiano, il Golfo del Bengala, i due mari di Cina e quello del Giappone.
La zona della barbarie è formata dall’Asia Alta e dall’Asia Bassa. La prima è il nocciolo montagnoso del vecchio mondo, l’insieme orografico più potente del globo. La seconda si limita a prolungare la prima come un ampio terrazzo cementato in un muro.
L’Asia Alta e l’Asia Bassa possiedono in modo indiviso una via: quella della steppa. Questa via si dirige verso l’Europa. La zona di civiltà è quella dei sedentari, la zona di barbarie quella dei nomadi. Saranno i popoli nomadi, o d’origine nomade, a premere sull’Europa, perché hanno spirito di cavaliere, lo spirito di migrazione e di conquista. I nomadi non si trovano tutti nell’Asia Settentrionale: nelle zone desertiche dell’Asia anteriore vi sono gli arabi.
Fatte queste precisazioni, siamo in grado di tracciare la linea di forza delle pressioni asiatiche.
II
La prima pressione storica è quella dei persiani achemenidi. Essa si ricollega alle migrazioni ariane nell’Asia anteriore. Queste migrazioni seguirono due vie: le une, il bordo occidentale del Mar Nero, i Dardanelli e l’Asia Minore; le altre, l’Asia Centrale e l’altopiano iranico. Tutte si scontrarono con vecchie civiltà che non poterono arrestarle. Una migrazione fonderà in Asia Minore l’impero feudale degl’ittiti. Un’altra, quella dei kassiti, s’installerà a Babilonia, e questo per quanto riguarda la prima via.
In Asia Centrale e in Iran faranno la loro comparsa i medi e i persiani, e questo per quanto riguarda la seconda via. L’impero achemenide, che intraprenderà la conquista della Grecia e dell’Occidente per essere a sua volta conquistato da Alessandro, sarà dunque un impero ariano. Sostituirà e continuerà imperi semiti.
Se gli elleni non fossero riusciti a spezzare lo sforzo dei persiani, l’Europa non si sarebbe mai fatta. Salamina e Maratona sono vittorie europee. Le guerre persiane hanno fatto nascere il sentimento continentale; hanno trasformato la nozione d’Europa, fino ad allora geografica, in un’idea politica.
L’Europa, per gli elleni, è il contrario dell’Asia. Essi avevano davanti a sé i barbari asiatici: l’ethnos smisurato, invadente dei persiani; avevano dietro a sé i barbari europei, l’Occidente di cui i loro navigatori e i loro mercanti avevano rivelato solo le grandi linee. Vi sentivano una forza fresca e popoli più vicini a loro degli asiatici. L’idea che lentamente si libera e si precisa, configurandosi nel loro spirito, è guidare questa forza per opporsi all’Asia.
L’idea d’Europa è d’origine ionica. Nel secolo V la si trova allo stato virtuale nel trattato di Ippocrate, il padre della teoria dell’ambiente, Dell’aria, delle acque e dei luoghi. Ecco la tesi: gli asiatici sono inferiori, sia dal punto di vista morale che da quello fisico, ai barbari europei, che hanno, come i greci, il senso della libertà.
Nel libro IV, capitolo VI, della Politica, Aristotele riprende e precisa: se i greci fossero uniti in un solo Stato, avrebbero l’impero del mondo. Al tempo di Filippo il Macedone, Isocrate, che si rassegna a vedere nel padre di Alessandro il solo uomo capace di costringere i greci all’unione, pone come principio che si è elleni non per la razza, ma per la civiltà. I barbari, civilizzandosi, possono quindi diventare elleni. Orbene, se l’elleno è il contrario dell’asiatico, l’Europa deve essere il contrario dell’Asia. Infine, Teopompo si chiede: l’avvenire non sarà dalla parte dell’Occidente piuttosto che dell’Oriente? Invece di partire per la conquista dell’Asia, macedoni e greci non farebbero meglio a opporre un impero europeo all’impero asiatico dei persiani?
Questa fu la prima pressione storica dell’Asia contro l’Europa. Fallì perché, per una sola volta nella loro storia e per un tempo molto breve, aveva trovato gli elleni uniti. E allo stesso modo fallì la seconda, quella di Cartagine, perché incontrò lo slancio imperiale romano.
La fenicia Cartagine, la figlia di Tiro, era l’Asia semita. Senza Roma, tutto il bacino del Mediterraneo Occidentale sarebbe stato semitizzato. Se ne immaginano le conseguenze per l’Italia, l’Iberia e la Gallia.
Colloco fra le pressioni asiatiche, con il numero tre, l’impresa di Antonio e di Cleopatra. Questa regina greco-egiziana e questo transfuga romano trascinavano con sé, contro Ottaviano e la Repubblica, una strana coalizione, quella del mondo ellenistico con, alle proprie spalle, i neri d’Etiopia, i nomadi arabi, parti e sciti, più oltre ancora tutti i popoli cui gli antichi davano il nome vago di indiani: i superbi Indi di Orazio, l’imbellem Indum di Virgilio.
Che cosa sarebbe accaduto se, nell’anno 31 prima della nostra era, Ottaviano non avesse riportato la vittoria di Azio? L’imperium avrebbe mutato centro, la sua capitale non sarebbe più stata Roma, ma Alessandria; la sua espansione in Occidente si sarebbe arrestata; eccentrica rispetto a questo nuovo impero, l’Italia avrebbe perso la sua importanza; l’Europa non si sarebbe potuta fare. Per questo Augusto merita di essere promosso al rango dei suoi grandi fondatori.
III
Alla fine dell’impero sorgono gli unni. I goti, partendo dal Baltico, erano scesi fino all’Ucraina, all’Ungheria e alla Romania. L’impero aveva dovuto sacrificare loro una provincia ricca d’oro: la Dacia. La perdita sarebbe stata largamente compensata dal vasto sfogo che si apriva a questi barbari, se la loro migrazione nelle terre fertili dell’Europa Orientale avesse avuto il tempo di trasformarsi in stanziamento: tutta la storia d’Europa ne sarebbe stata modificata, perché i goti cominciavano ad attirare altri germani nelle pianure orientali, i late patentes et uberes pagi di Ermanrico, per citare Ammiano Marcellino. Ma l’arrivo degli unni fece saltare l’impero di Ermanrico e respinse i goti sulla Pars Orientis, da dove si ritirarono nella Pars Occidentis in tre tappe: Italia, Aquitania, Spagna. Ed ecco l’occasione per ricordare che le pretese invasioni germaniche sono state solo una fuga davanti agli unni.
Questa quarta pressione si realizzò in due tempi: lo stanziamento degli unni al posto dei goti, l’offensiva degli unni contro l’Occidente. Questi barbari, della stessa razza dei tatari e dei turchi, si erano unificati sotto un khan intelligente e ambizioso: Attila. Tali popoli sono temibili soltanto se s’impone loro un capo di genio che li guida politicamente, come dice Ferdinand Lot nelle Invasions germaniques quando denuncia “la tendenza irresistibile dei popoli nomadi a espandersi indefinitamente come sotto l’azione di una forza fisica”.
È vero che Ezio, nel 451, riuscì a gettarli fuori dalla Gallia: vittoria dei Campi Catalaunici, vicino a Troyes, vittoria più europea che romana. Ma quando, l’anno seguente, Attila ritornò e scese in Italia, l’impero non aveva nessuna riserva militare da opporgli. Si dovette negoziare. Ravenna ne incaricò il Papa san Leone. Egli riuscì: questo fu l’inizio della potenza pontificia. Poco dopo, Attila morì.
IV
Quinta pressione: i persiani sassanidi. La parte più esposta dell’imperium romanum e, poi, dell’impero bizantino, era la Siria-Palestina. Perché vi era, completamente alle sue spalle, l’oasi mesopotamica, una regione di passaggio tanto più contesa in quanto l’Eufrate era allo stesso modo una linea d’invasione e una linea di difesa, a causa del grande gomito descritto da questo fiume.
Dietro all’Eufrate, vi erano i persiani sassanidi. La dinastia sassanide aveva preso il posto della dinastia arsacide, che era di origine partica. Questa, che era debole, si esaurì nella lotta con la Roma imperiale; quella, che era forte, esaurì l’impero. I Sassanidi regnarono poco più di quattro secoli. Il loro fondatore, verso l’anno 225 dell’era cristiana, si chiamava o si era denominato lui stesso Artaserse. Pretendeva di discendere dagli Achemenidi. Quindi il fine che si propose la nuova dinastia era ricostituire l’impero di Dario. Essa non fu lontana dal raggiungerlo. All’interno dell’Iran organizzò un potere totalitario, al quale s’ispirerà il Basso Impero: il totalitarismo è d’origine asiatica, non ci si deve mai stancare di ripeterlo.
Questo potere odiava tre cose: la civiltà greca, la religione cristiana e l’impero romano. A questo i Sassanidi inflissero le più gravi disfatte e le più crudeli umiliazioni. Nel 260 il Gran Re Sapor fece prigioniero l’imperatore Valeriano; se ne servì come di uno sgabello per montare a cavallo, poi, dopo averlo messo a morte, ne fece tingere la pelle di rosso e l’appese in un tempio. Combattendo i Sassanidi, l’imperatore Giuliano, ferito gravemente, morì durante una disastrosa ritirata.
Sotto Giustiniano, la cui riconquista preoccupava i persiani, si produsse lo scontro più violento. Il Gran Re Cosroe (531-579) passa all’offensiva in Oriente. Nel 540 si getta sulla Siria, saccheggia Antiochia; nel 542 devasta la Commagene; nel 544 caccia i bizantini dalla Mesopotamia. Giustiniano si vede costretto a una pace umiliante. Pagare un tributo al vincitore e vietare ogni propaganda cristiana nell’impero dei persiani. Dopo di lui, nuova e più grave offensiva. Nel 608, i Sassanidi prendono Calcedonia, di fronte a Bisanzio. Nel 615 entrano a Gerusalemme. L’impero venne salvato dal basileus Eraclio. Nel 629 potè riportare in trionfo a Costantinopoli la Santa Croce, che i persiani avevano presa. La sua controffensiva vittoriosa fu già una crociata.
L’ambizione dei Sassanidi andava oltre l’Oriente. Volevano impadronirsi della capitale e di tutte le parti greco-balcaniche dell’impero. Perciò si erano alleati agli avari. Ma nel 641 una nuova forza, anch’essa barbara, quella degli arabi musulmani, mise fine all’impero dei persiani.
V
Sesta pressione: quella degli slavi. Appena gli spostamenti dei germani avranno aperta a essa la porta dell’Occidente, la si vedrà biforcarsi verso ovest e verso sud. La prima direzione porterà gli slavi, dal secolo V, fino all’Elba. Di là, l’infiltrazione finirà per penetrare nella valle del Meno, molto vicino al Reno. Questa avanzata era stata resa possibile dal fatto che i germani, e anzitutto i goti, avevano evacuata la regione compresa fra la Vistola e l’Elba: da questo, un vuoto d’aria. Ma vi fu anche la pressione degli asiatici, particolarmente degli avari: essa fu la causa della fuga degli slavi verso sud.
Questa seconda direzione li porta fino ai piedi delle Alpi Orientali, fin sull’Adriatico, fino in Tessaglia e nella regione di Salonicco, fin nel Peloponneso. Il movimento comincia con il secolo VI e cesserà soltanto alla fine del VII. Dal 650, in Europa, sotto la sovranità effettiva dell’imperatore d’Oriente resta soltanto la capitale, una parte della Tracia e le coste. “Il grave – scrive F. Lot – è che questa marea umana non lascia sussistere nulla del passato. Distrugge le antiche città, lascia crollare monumenti, strade e ponti; per lungo tempo sembra impermeabile alla civiltà greco-latina. La penisola dei Balcani e l’Europa Centrale sono precipitati di nuovo in una barbarie da cui queste contrade erano uscite da lunghissimi secoli”.
Gli slavi sono i selvaggi dell’epoca. Pagani feroci, torturano i prigionieri e bruciano tutto senza necessità, sono armati male; si pensa siano incapaci di resistere alle forze bizantine o franche. Vengono massacrati, ma ne arrivano incessantemente altri. Alla fine, ci si trova sommersi. Non sono sempre guidati dai capi indigeni: sono anche germani, baltici, asiatici. Gli slavi hanno fatto alla civiltà e all’Europa un male irreparabile separando, come un cuneo piantato in un tronco, l’Oriente e l’Occidente, distruggendo la bella civiltà intermedia che li univa.
VI
Settima e ottava pressione: quelle dell’Islam, degli arabi o, come venivano chiamati allora, dei saraceni. Più tardi verranno chiamati barbareschi, cioè gli abitanti della Barbaria: l’Africa del Nord.
La settima pressione fu fatta contro l’Oriente, l’ottava contro l’Occidente. Gli arabi cacciano i bizantini dalla Siria e dall’Egitto; minacciano Costantinopoli, s’insediano a Creta, in Sicilia, in Sardegna, in Corsica, stabiliscono covi su tutte le coste del Mediterraneo Settentrionale. Siccome padroneggiano il mare, niente è più facile per essi che intraprendere spedizioni di saccheggio fin nell’interno dell’Italia.
Nel mese d’agosto dell’846, i saraceni sbarcano all’imboccatura del Tevere, occupano Porto, penetrano in Roma, saccheggiano la basilica di San Pietro. Per fortuna, si trasferiscono nella ricca Campania. Grazie a questo brusco cambiamento di direzione San Pietro non venne trasformata in moschea otto secoli prima di Santa Sofia di Costantinopoli. Ma con questa differenza: i saraceni erano solamente bande, i turchi saranno un esercito.
I saraceni si stabiliranno saldamente a Napoli, a Gaeta e a Capua. Vi troveranno alleati cristiani. Guido di Spoleto infliggerà loro una sconfitta nell’885, ma saranno eliminati soltanto nel 916, dopo un’autentica crociata, alla quale prende parte tutta l’Italia.
Ecco cosa si deve ricordare.
Dalla loro comparsa nel Mediterraneo fino al secolo XVIII e anche fino alla conquista dell’Algeria, i corsari barbareschi infestavano il Mediterraneo. Praticavano la tratta dei bianchi. Attaccavano le navi male armate o senza difesa. Quando ne avevano l’occasione, procedevano a razzie sulle coste cristiane. Rilasciavano dietro riscatto i prigionieri sufficientemente ricchi per pagarlo oppure quelli che i religiosi dell’ordine della Mercede riuscivano a liberare, spesso prendendone il posto. Riducevano in schiavitù il maggior numero possibile di persone. In occasione della sua crociata contro i turchi nel 1535, Carlo V liberò 18.000 prigionieri cristiani.
Le montagne non fermavano né i saraceni né gli asiatici. Ecco quanto è accaduto sulle Alpi Centrali e sul futuro territorio della Svizzera.
Nel secolo X, gli ungari fanno la loro comparsa nella regione di San Gallo, saccheggiano l’abbazia, devastano il paese; poi, costeggiando il Reno, si portano a Basilea, massacrano il vescovo e la maggior parte della popolazione: accadde nel 917, il vescovo di allora, martire, si chiamava Rodolfo II. Quanto ai saraceni, dagli accampamenti fortificati che avevano stabilito sulla costa, erano risaliti attraverso le Alpi. Il re Ugo d’Italia li aveva presi al proprio servizio e aveva affidato loro la guardia dei passi.
Nel 940 saccheggiano l’abbazia di San Maurizio. Secondo la tradizione, sarebbero penetrati dalla valle del Rodano nella regione di Vaud e anche in quella di Neuchâtel. Altre bande devastano il vescovado di Coira. Nel 952, superando il Septimer con la sua nuova sposa, Adelaide, Ottone il Grande trovò questo vescovado in un tale stato di devastazione che fece il voto di aiutarlo.
Le leggende raccolte in Svizzera sui saraceni sono più significative della storia perché ci rivelano il terrore delle popolazioni come la loro nostalgia di una protezione efficace. Ci fanno comprendere meglio la necessità delle due restaurazioni imperiali, quella di Carlo Magno e quella di Ottone.
VII
Frattanto, si erano già prodotte la nona e la decima pressione: quella degli avari, poi quella degli ungari. Gli uni e gli altri sono i successori degli unni e i predecessori dei turchi.
Sotto la pressione di questi, gli avari, di origine manciù, avevano abbandonato i confini dell’Altai, dove vivevano da nomadi. Seguendo la via delle steppe, fra Urali e Caspio, erano giunti nel Basso Danubio. Di là, andarono a raccogliersi nella steppa pannonica, dove si espansero nell’Europa Centrale fino alle Alpi e nella Turingia. Fu compito di Carlo Magno vincerli e distruggerli.
Quanto agli ungari, fanno la loro comparsa nella regione che si stende dai monti Urali fino all’Ob e anche allo Ienissei. Vi subiscono un’influenza turca, forse quella dei bulgari. Nel secolo IX, li s’incontra nella Russia meridionale. Pressati da una nuova popolazione turca, i peceneghi che si fermano in Ucraina e in Romania, avanzano più a ovest, passano le montagne della Transilvania, scendono nella valle del Danubio.
Non si danno nemmeno il tempo di respirare e si gettano sull’Italia, la Germania, la Francia, la Borgogna. Fu compito di Ottone I mettere fine a questo flagello con la vittoria vicino ad Augusta. Dopo di che, rinunciando alla vita nomade, gli ungari ripiegarono nelle valli del Danubio e della Theiss dove si radicarono, si cristianizzarono, divennero molto presto il grande popolo europeo che si conosce: uno dei più valenti difensori della cristianità, un popolo tenace abituato alla sorte avversa.
Undicesima pressione: i bulgari. Sono anche loro di origine turca, parenti prossimi degli unni. Venuti dall’Asia, li si trova anzitutto nella regione fra Volga e Kama. Questa regione, il cui centro è Kazan, verrà chiamata fino al secolo XV Grande Bulgaria. Continuando la loro avanzata, i bulgari riusciranno a installarsi sulla riva destra del Danubio. L’attuale Bulgaria. Da questa marca di confine, terrorizzeranno l’impero bizantino: saranno necessarie venti campagne, all’inizio del secolo XI, perché l’imperatore Basilio riesca a sottometterli. I bulgari seguiranno l’esempio dei loro parenti ungheresi: rinunceranno alle incursioni e diverranno cristiani. Si fonderanno con le popolazioni preslave e slave, di cui adotteranno la lingua.
VIII
Dodicesima pressione: i mongoli, dal cinese mong, bravo. I nomadi, lo ripeto, sono pericolosi soltanto se trovano un capo che li raccolga, li organizzi, li guidi. Questo capo mongolo ci è noto: Gengis. Appena è riuscito a imporsi alle tribù dell’Asia Settentrionale, cerca di conquistare la Cina, ma vi deve rinunciare. Allora si volge alla Persia. Cominciava a dirigersi verso l’Occidente quando morì, nel 1227.
Il suo successore Ogodai riprende la marcia verso l’Europa. L’esecuzione del grande disegno inizia con la sottomissione dei principi russi e con la distruzione di Kiev, già ridotta in rovine dai russi di Mosca. Prosegue con la devastazione della Volinia e della Galizia. Poi, è la volta della Polonia, della Boemia, dell’Ungheria, della Valacchia, della Serbia, della Bulgaria. Cracovia e Breslavia cadono.
I cavalieri mongoli galoppano fino all’Adriatico, li si vede a Trieste, a Spalato, a Ragusa. Il mondo cristiano è preso dall’angoscia. Il pericolo è così grave che l’imperatore rivolge un pressante appello ai principi, che il papa Innocenzo IV ordina preghiere e fa predicare la crociata e che san Luigi vi si prepara. Frattanto, Enrico II il Pio, duca di Slesia e figlio di santa Edvige di Trebnitz, riesce, alla testa di un esercito di tedeschi e di polacchi riuniti davanti al pericolo comune, a trattenere i mongoli. A prezzo della vita, perché muore nella battaglia con quasi tutti i suoi cavalieri (1241).
Improvvisamente, i cavalieri piegano le tende e fanno dietrofront verso il fondo dell’Oriente: era appena morto Ogodai e si trattava di disputarsi la successione.
I mongoli avevano una politica precisa, sostenuta da un’organizzazione militare e amministrativa che si può qualificare come un modello. La loro prima cura consisteva nell’assicurare comunicazioni le più rapide possibili da un’estremità all’altra dell’impero. Saccheggiavano, distruggevano, massacravano; dopo di che, praticavano un governare dall’alto, con un reale senso dell’ordine e della giustizia.
È interessante constatare il loro sforzo di aprirsi un varco verso il mare libero, sia attraverso la Cina, sia attraverso la Persia, sia attraverso l’Europa; non meno interessante vederli estendere incessantemente le loro conquiste, proteggendo l’impero delle steppe con un sistema di marche di confine e di Stati tributari, oltre i limiti naturali. La scomparsa di capi geniali e incontestati – ve ne sono stati due – e le divisioni del potere furono le cause interne di un crollo tanto rapido quanto era stata irresistibile la spinta in avanti.
La disgregazione dell’impero mongolo fece sorgere in Turkestan una nuova potenza: i tartari. Essa trovò il suo capo nella persona di Timur, “l’uomo di ferro”, soprannominato Leng, perché claudicava: il Tamerlano degli europei.
Timur si richiama ai mongoli, riprende il loro piano di conquistare il mondo. Appena consolidato nel Turkestan, si lancia in una serie di conquiste nell’Asia anteriore. Persia, Mesopotamia, Armenia, Caucaso, Anatolia cadono nelle sue mani. Si era gettato sui turchi selgiuchidi; ma la cristianità, che in un primo tempo aveva accolto con entusiasmo l’umiliazione dei suoi nemici più temibili, non tardò a sentirsi a sua volta presa di mira.
Nel 1402 Timur toglie Smirne ai cavalieri di Rodi. Per allontanarlo, l’imperatore di Costantinopoli si affretta a pagargli tributo. Nello stesso tempo, i tartari premono fino in Polonia. Malgrado questi successi, l’ambizione di Timur riguardava soltanto l’Asia. Invade le Indie, s’impadronisce di Delhi. Quando muore, nel 1405, organizzava una grande spedizione contro la Cina. Se avesse avuto successo non avrebbe certamente mancato di ritornare sull’Europa. La sua morte la liberò di un musulmano intelligente ma fanatico, di un massacratore. La tredicesima pressione fu dunque soltanto una minaccia.
Con i turchi ottomani, la questione fu diversa. La loro storia è troppo nota, troppo legata a quella dell’Europa per attardarvisi.
Mi limiterò a ricordare la loro origine. Turco significa forte. Come tataro e mongolo, questo nome bellicoso indica un insieme di tribù associate per la guerra e la conquista. Le più importanti vivevano nomadi nella regione dell’Altai; discendevano dagli antichi unni, avevano il lupo come totem. All’inizio del secolo VI, una parte delle tribù turche formano una sorta d’impero che scambia ambasciate con Bisanzio e preme fino in Crimea. Altri turchi penetrano nel Khorassan. Nel secolo XI, un avventuriero di nome Selgiuk si rende indipendente dagli arabi, fonda la dinastia dei Selgiuchidi. Così esordisce la potenza ottomana.
Essa avanza in Occidente con una serie di pressioni. Quella a cui attribuisco il numero quattordici fu la conquista del territorio bizantino nell’Oriente mediterraneo, ai confini immediati dell’Europa: l’Anatolia meno la zona di Trebisonda. La quindicesima li porta nello stesso Occidente: presa di Adrianopoli nel 1360, scomparsa dello Stato bulgaro nel 1393 e 1396, disfatta di un esercito cristiano a Nicopolis nel 1396.
Ecco i turchi padroni della penisola balcanica. Si sarebbero rapidamente impadroniti di Costantinopoli se Tamerlano non li avesse attaccati alle spalle. La sedicesima pressione, che inizia con la presa della grande capitale, sarà dunque rimandata al 29 maggio 1453. Dalla diciassettesima uscirà l’impero di Solimano, che si estenderà sulla Croazia, la Slavonia e quasi tutta l’Ungheria, fino ai Carpazi. La diciottesima porterà i turchi nel 1683 davanti a Vienna. L’Europa sarà salvata solo in extremis dall’intervento di Giovanni Sobieski e dei suoi polacchi: gli ultimi crociati. Nel 1683 Luigi XIV cominciava a declinare e Racine doveva scrivere soltanto Esther e Athalie per completare la sua opera.
Ancora nel 1715, sotto il sultano Ahmed III (1673-1736) le armi turche avevano causato preoccupazioni all’Europa. Questa inquietudine ispirò Jean-Baptiste Rousseau. Nel terzo libro delle sue Odes si troverà un appello ai principi cristiani. Questa lunga composizione, capolavoro della retorica e della metafora, è una sorta di riassunto in versi della storia delle pressioni turche. L’anno seguente, 1716, il principe Eugenio schiacciò gli ottomani a Peterwaerden e nel 1717 a Belgrado. Fu il punto d’arresto. Ormai l’impero turco non farà altro che indebolirsi e ritirarsi.
IX
Gettiamo una sguardo d’insieme. Allo scopo, ripartiamo dalla distinzione fra la zona di civiltà e la zona di barbarie. Perché? Perché il pericolo asiatico viene solo dalla prima o dai popoli originari della prima. Con un’eccezione: gli arabi, i nomadi del deserto.
L’Europa non ha mai potuto vivere senza rapporti e scambi con la zona di civiltà. Solo questa produceva le spezie, le sete, i tappeti, gli avori, tutto quello di cui gli europei avevano bisogno o avevano voglia quando, per esempio sotto Carlo Magno, erano ancora poveri e semibarbari. Se ne ha la prova nel ruolo d’intermediari giocato dagli scandinavi nel tempo in cui i musulmani dominavano il Mediterraneo e avevano interrotto le vecchie vie del traffico. Il giro delle mercanzie attraverso il Turkestan e la pianura russa, fino all’isola di Gotland nel Baltico, è la dimostrazione di questa necessità.
Il che ci riporta agli arabi. Da tutti i punti di vista da cui ci si può porre, ci appaiono superiori ai barbari della steppa o della foresta. Non sono stati soltanto distruttori e massacratori: hanno fondato un impero. Agli occhi dei contemporanei di Carlo Magno, questo impero aveva uno splendore da racconto di fate; è entrato nella leggenda con Harun el Rashid, il califfo abbaside di Bagdad. Il che ci porta a distinguere gli arabi e la civiltà araba. I primi sono vivaci, intelligenti, ricettivi, assimilatori; manca loro il dono dell’invenzione. La seconda è opera tanto di arabi che di siriani, persiani, spagnoli, mozarabi, ebrei. Gli arabi sono stati grandi intermediari. Si sono aperti all’ellenismo e ci hanno riportato Aristotele. Era giusto e importante ricordarlo.
Le pressioni asiatiche hanno avuto effetti positivi e risultati durevoli. Senza di esse, mai l’Europa avrebbe preso coscienza di sé. Ci si definisce soltanto opponendosi: è bene ricordare questa verità a quanti, oggi, hanno una paura maledetta di ogni opposizione ferma e chiara. La nascita dell’idea di Europa nello spirito degli elleni, di certi elleni, è la conseguenza delle guerre persiane, la necessità della difesa comune è all’origine della cristianità.
Se le pressioni asiatiche hanno avuto risultati durevoli, l’Europa li deve al cristianesimo. Il cristianesimo possedeva una forza di assimilazione che non avevano, nello stesso grado, né la civiltà ellenica, né a maggior ragione l’impero romano. Lo si vede nella storia coloniale: finché l’Europa fu cristiana, assimilava; il giorno in cui smise di esserla, fu capace soltanto di dominare e di sfruttare. Ne sono la prova le conversioni degli ungheresi, dei bulgari e degli slavi. La loro cristianizzazione ebbe l’effetto di completare l’Europa, già formata nelle sue parti essenziali, ma incompleta a est.
Per contro, se ci si chiede quale fu la causa dei successi momentanei riportati dagli asiatici, si troveranno le divisioni fra le nazioni europee. Divisioni che furono spesso tradimenti. Quante volte principi cristiani e anche re cristianissimi hanno, attraverso impegni mercenari o attraverso alleanze formali, introdotto i saraceni o i turchi nei loro litigi! In fin dei conti, una tale politica, dopo successi apparenti e momentanei, affrettò soltanto l’indebolimento dell’Europa. Anche questo non dovrebbe assolutamente essere dimenticato.
Che cosa sarebbe necessario perché l’Asia giungesse a impadronirsi dell’Europa?
Tre condizioni: la prima, che il cristianesimo s’indebolisse definitivamente; la seconda, che con le divisioni e le guerre l’Europa si decomponesse a un livello tale da trovarsi impotente a offrire una resistenza efficace; l’ultima, che l’Asia portasse all’Europa un’idea nata in Europa e sufficientemente attraente per rivoluzionarla, essa stessa e il mondo.
Nota: Le toit chrétien, vol. VII de La formation de l’Europe, Plon, Parigi 1957, pp. 483-496. Traduzione e titolo redazionali.