di Dino Basili
L’esordio è stato mediocre, nonostante l’autoreferenzialità baldanzosa. Il governo di sinistra-centro non ha raggiunto l’obiettivo di dare subito il rapido «segnale di cambiamento» promesso. Anzi, la partenza è stata faticosa, con il motore ingolfato. Giù di giri. Le occasioni per migliorare non mancheranno…
Quasi un miracolo, realizzabile grazie al favore dei media. Naturalmente, non è squillato alcun allarme democratico davanti al proposito di andare in Parlamento il meno possibile, per il risicato margine in Senato, arrangiandosi con atti amministrativi. II governo doveva essere snello e «qualificato», invece ha battuto il record di poltrone e poltroncine, ben fornito delle discusse «competenze generiche», comprendente pure elementi che vonno imparà.
Inoltre è stata devastata la precedente razionalizzazione ministeriale della riforma Bassanini, spacchettando e inventando litigiosamente funzioni e strutture, incarichi e deleghe, con uno spreco di risorse in contrasto con il conclamato rigore e l’esigenza di ridurre i costi della politica (circa 500 mila persone a libro paga). Ancora. Per blindare la disomogenea maggioranza sono state riscoperte vecchie «logiche di partito», che non sono riuscite a impedire il frequente levarsi di voci stonate e vertiginosi esibizionismi: un susseguirsi di «strappi».
Di che cosa? A volte è poco comprensibile, perché il tessuto (cioè il programma effettivo) somiglia a un manto d’Arlecchino. «Fare squadra» è un’eccellente intenzione. Per l’alta classifica, però, non bastano un esperto allenatore, un acrobatico portiere e un robusto centrocampista di spinta. Sulla fascia sinistra piovono autogol. La partita riguardi la famiglia o le «frecce tricolori» (chissà, forse vorrebbero che lasciassero nel cielo solo strisce rosse).
Dei famosi «primi cento giorni» una parte cospicua è stata consumata per riparare le crepe della coalizione. Quanto reggerà alle intemperie lo stucco del potere? Il problema dei problemi, lunga o breve che sia la legislatura, è come rendere davvero «innocua» e «folkloristica» l’ala neocomunista della maggioranza, che evidentemente non accetta né l’una né l’altra etichetta e lotta contro la «deviazione moderata» dell’esecutivo. Nonostante le velature di regia, già ne risentono i provvedimenti per la ripresa di una matura economia di mercato in un mondo globalizzato e i doveri forti verso la.partnership occidentale.
Altra insidia rilevante: il laicismo ossessivo, quasi ansioso di umiliare il cattolicesimo, caratteristica (purtroppo) tutt’altro che esclusiva.
Gli autentici riformisti della maggioranza non hanno avuto e non avranno una vita facile. E così il governo, a prescindere dai tentativi del centro-destra di dare qualche «spallata» (per avere successo dovrebbe divenire meno fluido, rappresentare con maggiore convinzione i consensi ottenuti dalla metà dell’elettorato).
Un altro traguardo fallito, almeno per adesso, è l’avvio di un clima più propenso al dialogo bipolare. Tanti appelli verbosi, nessun comportamento distensivo. Il livello degli scontri quotidiani resta elevato, con una coda interminabile di delegittimazioni. Pare che l’insistita retorica anti-Berlusconi sia una colla insostituibile per l’Unione, dove sono affiorati perfino aspetti comici.
Esempio: chi è uscito dal seminato, nella maggioranza, è stato accusato di «berlusconismo di sinistra»… Sono indicativi, tra l’altro, gli eccessi allarmistici attorno al referendum costituzionale, spesso in malafede. Se è vero che la storia italiana è costellata dalle divisioni verticali, dobbiamo tenerci il cosiddetto «bipolarismo feroce»? Mai rassegnarsi.
Sarebbe già importante abbassare certe temperature: gli estremisti, per prosperare, hanno bisogno che siano infuocate. Il Paese invece deperisce senza mediazioni e convergenze virtuose, finalmente capaci di produrre equità sociale, diffuso benessere, sicurezza. Il partito democratico, si dice, sarà una panacea.
Diamolo per scontato. Ma si avvicina sul serio? Non sembra in corso un vasto e profondo processo politico-culturale che vada oltre il desiderio di «mettersi insieme» espresso ai vertici dei due partiti-base dell’Ulivo (Ds e Margherita). Molte dichiarazioni, diffidenze trattenute, amalgama scarso. Uno stop and go che indispettisce quei Ds che ormai «pretendono» la nascita del nuovo partito per scolorire ulteriormente le loro origini, per averne inevitabilmente la guida e arrivare in carrozza a Palazzo Chigi.